Quali le conseguenze del nuovo contratto di Manlio Rossi Doria

Quali le conseguenze del nuovo contratto Dopo l'accordo per i salariati Quali le conseguenze del nuovo contratto Il primo grartc-e sciopero nazionale dei salariati agricoli dell'estate 1947, alla ripresa del libero movimento sindacale, fu impostato sugli stessi temi sui quali sono stati condotti gli scioperi e le trattative di questa estate. La struttura contrattuale, il contenuto delle rivendicazioni, il problema dell'occupazione ora,io allora come oggi al centro della « vertenza bracciantile ». Su ciascuno di questi temi, tuttavia, in trentanni, sono cambiate le posizioni dei sindacati, perché cambiata è la struttura economico-sociale delle campagne ed i problemi dei salariati agricoli si pongono oggi In termini diversi. Nell'articolo precedente abbiamo visto l'eccezionale peso, l'eterogeneità, la dispersione, la precarietà di occupazione che caratterizzano ancora oggi la situazione dei salariati agricoli in Italia. Si può Immaginare quale fosse la situazione trent'annl fa. Tra I salariati agricoli il numero degli uomini era allora doppio dell'attuale e nelle regioni del centro-nord il rapporto, era ancor più elevato. Le donne, al contrario, erano ali 'incirca nello stesso numero di oggi. La disoccupazione e la sottoccupazione infierivano duramente. Le remunerazioni, dopo un ventennio di salari di fame, presentavano un notevole distacco da quelle delle altre categorie salariate. In queste condizioni II movimento sindacale, forte in alcune zone e province, restava molto debole in altre, specialmente meridionali. I sindacati furono, pertanto, costretti ad impostare le loro vertenze e trattative con l'obiettivo di stipulare non un contratto nazionale, ma quei contratti provinciali, vari da caso a caso e di breve durata, per aver modo di rafforzare le organizzazioni e di conquistare gradualmente quel miglioramenti che, nel breve periodo, non erano allora conseguibili ed estendibili all'Intera categoria. Il « patto nazionale », che concluse ogni tappa di questa evoluzione, aveva pertanto un significato più simbolico che reale, serviva — come si disse — da « cappello » ai contratti provinciali e da pretesto per accordi politici diretti ad assicurare l'applicazione effettiva dei contratti e l'estendimento di essi ad altre province. Su questa linea di condotta I sindacati si sono mantenuti fino a quest'anno. La decisione, sanzionata dall';:'cordo di Ferragosto di - rovesciare » — come si è eletto — le posizioni sinora tenu te e di passare dal « patto » al « contratto nazionale » — attribuendo a questo valore principale e ai contratti provinciali una fun zione accessoria, anche se dotata di larghi poteri — corrisponde pertanto a un mutaménto maturato negli anni dei rapporti di forza e delle prospettive. Questo mutamento va attribuito — oltre che al progressivo rafforzamento e all'unità di azione delle organizzazioni sindacali — ai complessi effetti dell'esodo rurale sul mercato del lavoro e sulla qualificazione dei salariati agricoli. E' questo un tema che non è stato, forse, sufficientemente approfondito, ma che merita molta attenzione. Senza pretesa di esaurirlo, basta indicare alcuni dei cambiamenti avvenuti negli ultimi decenni: 1) la progressiva riduzione della domanda di lavoro non qualificato per effetto della crescente meccanizzazione; 2) un contemporaneo aumento della domanda di lavoro qualificato, in corrispondenza delle aumentate esigenze qualitative della moderna tecnica agricola; 3) uno spostamento della domanda di lavoro stagionale da alcune colture ad altre e specialmente a quelle ortofrutticole a forte impiego di lavoro e In continua espansione; 4) una cresciuta domanda di manodopera salariata da parte delle aziende coltivatrici, la cui forza di lavoro si è drasticamente ridotta per effetto dell'esodo rurale. Poiché si tratta di mutamenti con effetti contrastanti sull'occupazione, non sì possono arrischiare giudizi complessivi. Si ha, tuttavia, l'impressione che — con tutte le inevitabili diseguaglianze da luogo a luogo — l'insieme di questi mutamenti abbia più rafforzato che indebolito la forza contrattuale del salariati agricoli e abbia ridotto anziché accresciuto — come avveniva in passato — la diversità di situazioni tra zona e zona e tra provincia e provincia. Il passaggio dai contratti provinciali al contratto nazionale, pertanto, impossibile un tempo, è ora non solo possibile, ma indispensabile per ■ rompere —- come è stato detto — le gabbie provinciali » e per impostare i problemi di fondo dei salariati agricoli, legati ormai alla generale ristrutturazione dell'agricoltura. Lasciando da parte le innovazioni del nuovo contratto per quanto riguarda il trattamento economico e i miglioramenti delle altre clausole — delle quali La Stampa ha dato a suo tempo esaurienti informazioni — la seconda grande novità dell'accordo sindacale di Ferragosto — quella sulla quale maggiori sono stati i contrasti — è stata (come tutti sanno) quella relativa alla politica degli investimenti in agricoltura. La formula sulla quale l'accordo è stato raggiunto è nota: « Sindacati e imprenditori — essa dice — si incontreranno a livello comprensoriale e zonale per esaminare preventivamente le linee e I programmi che le aziende intendono adottare e per i quali in tendono valersi di qualsiasi tipo di finanziamento pubblico ». E' una formula insieme impegnativa ed elastica; ma è principalmente una formula che rovescia le posizioni del sindacati dei lavoratori agricoli in tema di occupazione. Trenta e vent'anni fa, quando il tema della disoccupazione massiccia dominava la scena del rapporti salariali in agricoltura, sindacati e governo furono costretti a porre al centro degli accordi conclusivi delle vertenze bracciantili la regolazione del famigerato « imponibile di manodopera ». Questo — già introdotto sotto il fascismo ai tempi della grande depressione — fu, infatti, restaurato nel settembre 1947, dopo il grande sciopero di quell'anno e — abrogato con la sentenza della Corte Costituzionale del 30 dicembre 1958 — fu in qualche modo sostituito da una Jarga applicazione dell'assicurazione contro la disoccupazione. Il problema della disoccupazione in agricoltura — malgrado alcuno contrarie indicazioni — è oggi tutt'altro che superato. L'ana¬ lisi sviluppata nel precedente articolo ne ha mostrato le perenni radici. D'altra parte la crisi economica in corso — facendo rifluire nelle campagne dall'estero, dall'industria e in particolare dalle categorie edili molti lavoratori — tende a renderlo di nuovo grave. I sindacati, tuttavia — senza rinunciare ad eventuali provvedimenti di emergenza —, hanno saggiamente posto il problema nel termini in cui esso si pone, che sono quelli del riassetto territoriale e della ristrutturazione agricola nell'ambito dei piani di sviluppo. E' una politica nuova, per la quale mancano ancora leggi, organi e procedure adatte. Ma è l'unica politica con la quale sia possibile ridurre il disordine e lo sperpero che l'attuale struttura delle campagne comporta. E' l'unica sulla quale i salariati agricoli — malgrado gli inevitabili reciproci contrasti — possono edificare una solida alleanza con i coltivatori diretti, interessati più degli altri alla concreta realizzazione della cosiddetta » politica delle strutture ». L'accordo di Ferragosto — formulando per la prima volta in termini adeguati quella che i sindacati da qualche tempo chiamano la « vertenza di zona » — ha, quindi, aperto una strada, a percorrere la quale tutti sono interessati. Si tratta, tuttavia, di una strada lunga e difficile, sulla quale non mancheranno contrasti e sulla quale ci si potrà considerare avviati solo dopo che quegli altri passi saranno stati fatti nella medesima direzione. Manlio Rossi Doria

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