Spazio, «mania» di Fontana e il rigorismo di Hartung

Spazio, «mania» di Fontana e il rigorismo di Hartung LE MOSTRE d'ARTE di Marziano Bernardi Spazio, «mania» di Fontana e il rigorismo di Hartung • L'avventura spaziale di Lucio Fontana» è il titolo della mostra che riunisce a «La Bussola» di via Po 9 una trentina d'opere dell'artista che, morto sei anni fa, continua ad essere chiamato, popolarmente [perché il suo nome, infatti, gode d'una larga popolarità) il pittore del «buchi» ed anche dei «tagli». Di queste opere ben 27 hanno per titolo «Concetto spaziale»: ripetono cioè l'intitolazione che Fontana per circa trentanni ha dato, fino all'ossessione e con poca fantasia, a quasi tutti i moltissimi oggetti che produceva e che pare gli costassero, stirando la tela e maneggiando il punteruolo ed il rasoio, gran tormento Intellettuale. «Concetto spaziale»: una mania, un chiodo fisso. Come un violinista che per tutta la vita traesse con l'archetto dal violino una nota sola. Ma quale nota! Sublime: da scatenare il delirio, di concerto in concerto, degli ascoltatori. E intomo i critici a scoprire, acclamando, in quella nota unica l'anima dell'Universo. Come se il Tiziano dell'«Uomo dal guanto» (citiamo lui per via del centenario) nei settantanni della sua attività avesse dipinto, non già l'«Uomo», ma soltanto quel «Guanto», più o meno calzato, più o meno marrone, affidandogli la gloria della sua pittura. Strani tempi i nostri, che basta una «trovata», magari casuale, poi ripetuta con successive modificazioni, per conquistare la celebrità e vendere i quadri a decine di milioni. Ma cos'è il «concetto spaziale» di Fontana? Risponde il suo critico «ufficiale», Enrico Crispolti: «Nello spazio fisico della superficie pura, bucandola. Fontana introduce un'ulteriorità. Lo spazio non è più terreno, né prospettico, né di pura fisica imminenza: è invece cosmico. Non è la superficie a definire e chiudere lo spazio... bensì è una frattura in quella superficie ad aprire una dimensione ulteriore, infinita, di spazio...». Dunque, se abbiamo ben capito, e dato e non concesso che lo scopo supremo dell'arte sia fornire l'idea dello spazio, è mediante la «frattura» (buchi o tagli o appiccicatura di frammenti vetrosi) della superficie, che chi contempla l'opera assume l'Idea dello spazio «cosmico». Davvero II procedimento — del buco che apre «una dimensione ulteriore» — ci sembra un po' infantile, fa pensare a un bambino che bucherella un cartone per scoprire, guardando attraverso i buchi, quello che c'è dietro. Se invece dimentichiamo, di Fontana, il suo famoso «concetto spaziale» (e ci scusiamo d'avere finora detto male di Garibaldi), troviamo in lui lo squisito fornitore di oggetti decorativi, d'un gusto artigianale così raffinato ch'è difficile scoprire l'uguale nell'area delle più audaci ricerche artistiche. In questo campo Fontana fu un maestro fin dal tempo che, scultore, idoleggiava un fantasioso «rococò» in chiave modernissima. Lasciamo da parte il teorico d'una ingarbugliata poetica confusamente espressa nelle sue dichiara¬ zioni programmatiche (il «Manifiesto Bianco» del '46), e stiamo con Roberto Salvini che già molti anni fa («Scultura italiana moderna», Milano, 1961) si rifiutava di scorgere, come un apologeta di Tontana, nelle crateriformi sforacchiature «il ritmo magico degli spazi astrali», e definiva semplicemente le sue opere «cose apprezzabili come studi di soluzioni decorative». Hans Hartung, tedesco di nascita, cittadino francese dopo la sua lunga opposizione al nazismo, ferito e mutilato d'una gamba nel 1944 combattendo contro i tedeschi nella Legione Straniera davanti a Belford. si fece conoscere |a Torino fin dai 1951 nelle mostre «Pittori d'oggi, Francia-Italia», poi esponendo in gallerie come «La Bussola» e la «Narciso», e soprattutto con la grande mostra dedicatagli nel '66 dalla Galleria Civica, a sei anni dal gran premio di pittura della Biennale di Venezia ch'egli divise con Fautrier. Ora lo si rivede a «L'Arte Antica» (via Volta 9) con una serie di re centi litografie che sono lo specchio grafico dei suoi dipinti. Ciò che distingue Hartung fra I tanti convinti della non-figurazione è il rifiuto della casualità propria della pittura «gestuals» (che è anche la sua), è il rigore mentale che guida il «gesto» di un artista il quale tuttavia, per il generoso empito del sentimento, resta in fondo un romantico. Ma soprattutto, dietro la sua azione pittorica che a prima vista parrebbe istintiva si sente l'assidua meditazione di un uomo d'immensa cultura che mentre traccia il segno simbollstico della «AbstractlonCréation» ha ancor presente la lezione del suo primo giovanile accostarsi a Rembrandt e ad Hals, a El Greco ed a Goya, da lui a lungo studiati e persino interpretati con inchiostro di china prima di volgere il cammino sui sentieri seguiti dalle avanguardie contemporanee, dal cubismo all'espressionismo astratto. Egli stesso ha parlato della necessità d'«une longue, très longue réflexion» per «se concentrer sur l'essentiei» pur sforzandosi «de conserver à l'exécutlon le carectère frais, direct, spontané». Come Hartung abbia saputo far propria codesta riflessione e freschezza di esecuzione lo si vede dalla straordinaria eleganza, segnlca e spirituale, del suo disegno ora a linee rette filiformi, ora a grovigli capricciosi, era a reticoli e matasse. Parrebbero immagini grafiche prive di significati. Ma vi si sente invece la storia umana di un artista che in sé ascolta le voci che gli provengono da un mondo misterioso, un mondo ch'è al di là d'ogni apparenza fisica.

Luoghi citati: Milano, Torino, Venezia