Jim Carter, lo sconosciuto di Vittorio Zucconi

Jim Carter, lo sconosciuto IL CANDIDATO DEMOCRATICO ALLA PRESIDENZA AMERICANA Jim Carter, lo sconosciuto Ignoto un anno fa, spinto da un successo improvviso ma ondulante, può arrivare alla Casa Bianca - Per governare come? (Dal nostro corrispondente) Washington, 29 ottobre. Siamo quasi alla fine del viaggio elettorale, ed è ancora uno sconosciuto. Se dovesse perdere le elesioni, il 2 novembre, sparirebbe dalla memoria americana come l'ombra di un sogno, mai ben definito. E' un impostore, un profeta, un politicante o un riformatore illuminato? Sta a sinistra e a destra, piace al Sud e al Nord? E' l'uomo più famoso, e meno conosciuto d'America: ancor oggi — a ore dal voto — rimane il signor Jimmy who?, Jimmy chi? « Mi chiamo Jimmy Carter e corro per la presidenza degli Stati Uniti »: lo ricordo nella neve di un paesino del New Hampshire, in febbraio, quando inseguiva elettori riluttanti, per toglier loro la mano dalla tasca, e stringerla in fretta, prima che gliela sottraessero per gelo e diffidenza. Dai giornalisti veniva trattato con la cortese condiscendenza riservata agli eccentrici: perché spende tanti soldi. Mister Carter? Che cosa farà dopo aver perduto le elezioni primarie? Quando, la sera di quel primo martedì elettorale nel New Hampshire, sì scoprì che aveva vìnto, gli archivisti dei giornali americani conobbero momenti difficili cercando pezzi e biografia della sua breve carriera di governatore della Georgia. Per dispetto E' emerso per sbaglio e per dispetto. Hubert Humphrey, il vecchio patrono del partito democratico, diede un party la sera di marzo in cui Carter vinse le primarie in Florida, sconfiggendo Wallace, e la destra sudista. Disse a Kennedy: « Questo Carter sta facendo tutto il lavoro per me: quando avrà ben sfasciato il partito, verranno a chiedermi di salvarli », e sta ancora aspettando. Quando più tardi Carter vinse in Pennsylvania, sfidando la coalizione dei leaders locali, il sindaco di Philadelphia, Rizzo, commentò: « La base elettorale di Carter è come un fiume larghissimo ma poco profondo ». Molta gente è rimasta seduta sulle rive del fiume Carter aspettando che l'acqua evaporasse. Ancora in giugno, quando già era a un passo dalla nomination democratica, i « boss » del partito congiuravano contro d' lui. « Se perde nell'Oregon — dice il capo dei sindacati. George Meany a Humphrey in un vertice segreto a Washington — noi lo ripudiamo ufficialmente, lo fermiamo corto di cento voti e poi spingiamo avanti te... ». « George, per l'amor di Dio — gli rispose Humphrey — quel bastardo ce l'ha fatta, 10 volete capire? ». Lo avevano deriso per il suo essere accanitamente « sudista » e Carter li punì, costringendoli tutti a Plains, 11 piccolo feudo georgiano intorno alla sua fattoria di noccioline. In giacca di velluto e jeans corti sfrangiati, ricevette i maggiorenti del partito, grisaglie accaldate sotto il sole della Georgia, costringendoli a pagare 25 cents per comprare la limonata della figlia Amy e sottoponendoli alle conoscenze familiari. La madre. Lilly Carter, 78 anni, vecchia signora inquieta che a 77 anni partì per l'India come volontaria del « Peace Corp ». Le due sorelle, Gloria che gira l'America su una Honda 500 con il marito e Ruth che guarisce imponendo le mani e ricondusse il fratello a Cristo con una passeggiata nel bosco durata due giorni. I figli. Chip, Jimmy junior e la diletta Amy; la moglie, Rosalynn, a 15 anni lavorante nel triste salone di bellezza dì Plains, a 19 sua moglie. I « boss » del partito tornavano dal pellegrinaggio stanchi e furiosi: « E' vendicativo e di memoria lunga come un eieiante » dice di lui l'ex direttore del giornale Atlanta Constitution, che oggi preferisce lavorare in California. Ma è il solo che possa vincere a novembre, aggiungevano le gerarchie democratiche, e il par- tito era da otto anni affamato di potere esecutivo. Più che il rancore, il digiuno convinse i « quadri ». Di contraggenio, ma irresistibilmente, gli intellettuali emarginati dalle amministrazioni repubblicane si raccolsero intorno a Carter. Arrivarono politici dal fiuto sottile, profughi del kennedismo e della « grande società » johnsoniana, come Theodore Sorensen, Jo Confano, Clark Clifford, ministro della Difesa con Johnson. Ancor prima si erano mossi Brzezìnsky, Gardner, Vance, gli uomini che da anni si preparano ad assumere la gestione della politica estera americana. Tutti si aggregavano con entusiasmo calcolato alla carovana carteriana, disposti anche a prendere ordini dai georgiani che accompagnano Carter ormai da otto anni: i due ragazzi prodigio trentenni, Jordan e Powell, l'avvocato Kirbo che è l'eminenza grigia del gruppo, Rafshoon, il mago della pubblicità che ha « costruito » l'immagine del candidato. All'inizio dell'estate, la certezza della vittoria aveva galvanizzato i quasi 400 intellettuali e politici che lavoravano per lui, e aveva fatto dimenticare le differenze strutturali fra il so- spettoso Sud e Z'establishment della costa atlantica. Carter, egli stesso mezzo « agricoltore » e mezzo establishment, incarnava la resurrezione dell'alleanza rooseveltiana: Dixieland e le città del Nord, i giovani e i sindacati, gli intellettuali e i contadini, Mark Twain e Scott Fitzgerald. I sondaggi confermavano l'esistenza di una maggioranza schiacciante e Gallup dava 35 punti percentuali di margine su Ford, in luglio. Un grave errore Ma le decisioni finali sono sempre rimaste riservate tutte a Carter. « Quell'uomo è solo — dice in privato Kennedy, che si è tenuto in disparte durante tutta la campagna — e vuol fare di testa sua. Mi preoccupa per questo ». Ha deciso infatti di « testa sua » l'intervista a Playboy, ed è stato il più grave errore di valutazione in tutta la campagna, per un Paese dove si censura la pubblicità televisiva dei reggiseni e sono le madri che decidono le elezioni, non le conigliette. « Ho peccato molte volte nel mio cuore, guardando con desiderio le donne altrui » confidò Carter a Playboy. « Il problema dell'omosessualità — aggiunse — mi rende nervoso, anche se non ho mai avuto esperienze omosessuali ». Ancora: « Un uomo fedele alla propria moglie non deve giudicare altri uomini che (fanno all'amore con) altre donne », usando in realtà un verbo assai esplicito. Aveva promesso di dire sempre la verità («. Se mi scoprite a dire una sola bugia, votate contro di me n), ma questa era una verità privata, inutile e quindi pericolosa elettoralmente. E' facile ora ironizzare sull'ipocristia moralista di un elettorato che proibisce ai candidati presidenziali sentimenti perfettamente umani: parlar di sesso, e soprattutto parlarne su Playboy è stato un peccato mortale, tanto più grave perché proprio Carter sapeva che questa sarebbe stata l'elezione delle « impressioni » e non dei « problemi politici ». Ha scritto il New York Times che « con l'intervista può. avere perso soltanto il voto degli ipocriti ». Dunque, milioni di voti. L'incontro con Playboy sta perseguitando Carter ancora oggi e accompagnerà gli elettori sino alla cabina. E' divenuto un momento di attrazione per tutti i potenziali oppositori, che non riuscivano a giustificare altrimenti la propria avversione al democratico. La realtà della crisi carteriana — una continua discesa dalla vetta della popolarità raggiunta in luglio sino ai tre punti percentuali di vantaggio attuali — è naturalmente da cercare altrove: i sociologi hanno scoperto (ma perché così tardi?) che la tradizionale coalizione dì Sud e Nord, di città e campagna, oggi non rappresenta più del 46 per cento dell'elettorato, e il centro di gravità democratico è nei sobborghi middle-class dove si misura la economia in termini di inflazione, non di disoccupazione. Gli intellettuali accorsi a luglio nel campo di Carter, ora che il vantaggio si riduce, esprimono dubbi sull'uomo e temono soprattutto per il loro futuro da quando si è saputo che non verranno necessariamente fatti ministri da Carter. « Se Brzezìnsky crede di diventare segretario di Stato è meglio che si disilluda » ha detto il manager della campagna elettorale, Jordan. Si dice che Carter stia così segretamente mettendo alla prova la fedeltà dei suoi discepoli e tenga nota accurata di chi dà segni di incertezza per far pagare il conto in futuro. Ma la verità è che all'undicesima ora il « fiume » che sembrava in piena è tornato ad essere acqua leggera, e qualcuno sta già all'asciutto, aspettando. Se perderà, gli opportunisti potranno sempre dire che è stata soltanto l'avventura di uno sconosciuto, « Jimmy chi? ». Vittorio Zucconi LURIE'S OPINION COME SI FA UN PRESIDENTE NEL 1976 COME SI FA UN PRESIDENTE NEL 1976