Nelle città dell'Urss di Lia Wainstein

Nelle città dell'Urss Tra populismo ed avanguardia Nelle città dell'Urss Vieri Quilici: « Città russa e città sovietica », Ed. Mazzotta, pag. 367, lire 15.000. Marco De Michelis, Ernesto Pasini: « La città sovietica 1925-1937», Ed. Marsilio, pag. 266, lire 6000. Dopo l'abolizione della servitù della gleba (1861) e quindi la trasformazione della Russia da paese agricolo in paese prevalentemente industriale, un cambiamento importante si verificò nello sviluppo delle città. Qualche cifra potrà illustrare le dimensioni di questa tumultuosa crescita. Le città con più di centomila abitanti erano sedici nel 1897 e 220 nel 1970, il numero complessivo delle città russe aumentò da 709 nel 1926 fino a 1935 nel 1970, mentre nello stesso periodo la popolazione cittadina passava dal 18 per cento al 56 per cento. Nel corso dei due piani quinquennali dell'anteguerra (1929-1940) sorsero ben 500 nuove città, e altre 460 vennero fondate tra il 1950 e il 1967. Si tratta dunque di un fenomeno imponente, al quale la Grande enciclopedia sovietica, tra le voci « srorod » (città) e « gradostroitel'stvo » (costruzione della città) dedica 36 colonne. Anche in Italia vari specialisti si sono occupati di questo particolare aspetto dell'Unione Sovietica, e recentemente sono usciti i libri di Vieri Quilici e di Marco De Michelis ed Ernesto Pasini. In La città sovietica, frutto di ricerche svolte all'Istituto di storia dell'architettura di Venezia, i due autori, che hanno curato tre capitoli ognuno, pongono in rilievo l'ampia partecipazione della cultura architettonica europea alla nuova urbanistica socialista, sicché l'Unione Sovietica >< assume il ruolo di grande area di sperimentazione e contemporaneamente di specchio in cui possa riflettersi l'elaborazione teorica dell' avanguardismo europeo ». Al lettore profano il libro di V. Quilici, con le sue belle e spesso inedite illustrazioni, si presenta come uno studio approfondito sui caratteri contrapposti e comunque assai differenti, dell'antica città russa e dalla città sovietica. A Mosca, in primo luogo, sono discernitili anche oggi i tratti più tipici del passato, l'accostamento delle architetture dei vari periodi, le impronte lasciate sia dal potere sia dalle classi dominate, di origine soprattutto contadina. Questa « città-immagine » dalla « vocazione orientale » tuttora apparente, strutturata a « scatola cinese o a foglie di carciofo», ha conservato sostanzialmente intatto, fino agli inizi del secolo, il suo volto, non alterato né dal trasferimento della capitale a San Pietroburgo nel Settecento, né dall'incendio seguito alla invasione napoleonica (1812) né dalle ricostruzioni eseguite nell'Ottocento con l'avvento delle ferrovie e delle industrie. E' insomma « la città di sempre... ove è condensata la più antica civiltà russa anche nei suoi aspetti apparentemente contraddittori di civiltà fondamentalmente contadina, contrapposta a quella urbano-europea » e dove rimangono percepibili il rapporto con il paesaggio russo e i segni delle vicende storiche. Il contrasto è ovvio con San Pietroburgo, « città aulica » sorta in seguito ad un determinato intento pianificaterio. Un fatto, d'altronde, che non dovette colpire tutti con la medesima evidenza, se nel 1839 un turista irriverente, il celebre marchese de Custine, osò paragonare San Pietroburgo vista da lontano alla « linea tracciata dalla mano tremante di un bambino, che disegna qualche figura geometrica » e criticare « questi edifici spaesati, i templi greci caduti nelle paludi lapponi e troppo schiacciati per il luogo in cui sono stati trasferiti non si sa perché ». Nell'intenzione dei fondatori, San Pietroburgo doveva essere in grado di reggere il confronto con le capitali dell'Europa occidentale, e la sua crescita non spontanea ma attentamente pianificata implicò una più rigida separazione tra i quartieri, maggiori dislivelli sociali e l'ampia partecipazione degli architetti stranieri. Con la rivoluzione d'Ottobre, « la Città socialista » diventa un bene conquistato per la collettività, in cui il proletariato si sostituisce all'espulsa borghesia e in cui si dovrà instaurare un modo di vita nuovo. L'architetto si mette ora al servizio dell'ideologia rivoluzionaria. « Populismo ed enfasi proletaria si fondono nei progetti di un nuovo assetto del territorio, con cui si pretende che le tematiche ereditate dal riformismo borghese cambino di segno ». Nell'affrontare il problema decisivo degli alloggi, ricompare la tradizionale componente del modo di vita contadino e del ritorno alla natura. La vecchia utopia, infatti, mirante a cancellare ogni differenza tra città e campagna in questi ultimi anni non solo non si è avverata ma, come osserva nel Novyj mir un critico non specializzato, Feliks Novikov, citato da V. Quilici, si debbono ancora annullare « le differenze tra città e città ». Lia Wainstein

Persone citate: De Michelis, Ernesto Pasini, Mazzotta, Novikov, Vieri Quilici