Bosetti in scena "cerca,, Pirandello

Bosetti in scena "cerca,, Pirandello I "Sei personaggi,, a Milano Bosetti in scena "cerca,, Pirandello (Dal nostro inviato speciale) Milano, 28 ottobre. Nella messinscena di « Sei personaggi in cerca d'autore » tentata da Giulio Bosetti al Teatro dell'Arte, « personaggi » e « attori » sono nettamente distinti tra loro e, a loro volta, da chi assiste, ancora estraneo, allo spettacolo: né gli uni, creature nate vive e subito autonome dalla fantasia di Pirandello, sembrano uscire dalle file degli spettatori quasi proiezioni delle loro coscienze, come pure è stato immaginato, né gli altri — un mondo a sé — sembrano far parie del pubblico. 1 sei luttuósi fantasmi, ma poi altro che fantasmi, non salgono dalla platea né calano magicamente dall'alto, ma, semplicemente, sono lì, sul palcoscenico affatto nudo, sopra il quale è stato costruito un altro palcoscenico che sarà poi, in questo gioco di un teatro dentro l'altro che si svolge a sua volta in un teatro, il luogo dove i « personaggi », e solo essi, agiranno e vivranno il proprio dramma: il loro teatro dunque, quello vero, più vero persino della vita che essi rappresentano, mentre gli attori, seduti tutti intorno a questa pedana sulla quale salgono soltanto per imitare goffamente i loro inaspettati rivali, sono il vecchio teatro che non è vero, che non è vivo, che non è insomma teatro. La contrapposizione tra i due gruppi è sottolineata, anche troppo ma non sempre con plausibili motivazioni, da costumi di Sergio D'Osino al quale si deve anche il sobrio impianto scenico: candidi e di una moda degli inizi del Novecento quelli degli attori, neri, e di una foggia all'incirca degli Anni Venti, cioè del tempo della prima tempestosa rappresentazione, quelli dei personaggi che tuttavia, tranne la figliastra irrimediabilmente fissata in una Lulù alla Wedekind, sono giustamente meno datati, i loro abiti potrebbero anche essere dei nostri giorni. Sono queste, se non sbaglio, le idee di fondo della regìa di Bosetti il quale, per il resto, si attiene a una lettura del testo pirandelliano fedelissima, ma talvolta soltanto alla lettera, e onesta, anche se modesta, e che a tratti assume la solennità di una cerimonia come per ricordare, o celebrare, la convenzione del teatro nel teatro. Ma il merito del regista a mio parere, sta nell'offerta di un Pirandello non sofisticato al quale tutti, c in particolare i giovani ai quali lo spettacolo andrebbe su misura, possano accostarsi e conoscerlo. Certo, proprio per questo sarebbe preferibile che il regista di¬ sponesse di una compagnia più omogenea di quella del Teatro Mobile nella quale alcuni elementi, come quelli che compongono il coro, o il «pubblico» degli attori, non hanno smalto e presenza, c altri, come gli acerbissimi Patrizia Milani e Alberto Mancioppi, sono ancora impari alle impervie parti della Figliastra e del Figlio. Né la bravura di Giulio Bosetti, che è un padre misurato c tuttavia intenso, né l'esperienza di Marina Bonligli (la Madre) e di Lino Savorani, persuasivo capocomico di vecchio stampo, bastano ad evitare gli scompensi e gli squilibri di una recitazione convenzionale e complessivamente incolore. Eppure come vanno diritte allo spettatore le battute di Pirandello, come riescono a toccargli subito la mente e il oiore. L'apparizione dei sei personaggi c il loro silenzioso avanzare, alla fine, verso la platea, l'evocazione di Madama Pace, le grida della Madre, le strazianti risate della Figliastra, il pacato ragionare del Padre, sono sempre momenti di rara efficacia. Alberto Blandi

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