Andare in banca col cappello in mano di Mario Deaglio

Andare in banca col cappello in mano I GUAI DELLA STRETTA CREDITIZIA Andare in banca col cappello in mano La stretta creditizia, imposta dal governo con i recenti provvedimenti, è destinata ad incidere sull'economia molto di più della cosiddetta «stangata» di inasprimenti fiscali e tariffari. Essa modifica, in maniera sottile ma decisiva, i rapporti tra le banche e le imprese loro clienti; decine di migliaia di funzionari di banca, di direttori di filiale, hanno di fatto ricevuto l'incarico di gestire la più dura restrizione di credito dal 1963 in poi. Per anni le banche si erano sforzate, attraverso l'ammodernamento dei loro servizi e un radicale mutamento della loro immagine pubblica, di qualificarsi come le consulenti, le «amiche» delle imprese. Improvvisamente, e non certo per loro volontà, si ritrovano a svolgere il ruolo del controllore, dell'occhiuto erogatore di un credito divenuto molto scarso. 11 cliente della banca, che poco alla volta si era abituato a parlare abbastanza francamente dei suoi problemi finanziari con il direttore della filiale, superando un atavico muro di diffidenza, rischia di ritornare al livello di molti anni fa; di ridiventare il postulante, con il cappello in mano, che aspetta in anticamera e che rivolge rispettosa domanda per ottenere un'apertura di credito, difficile e problematica. La stretta creditizia impone al sistema bancario in generale, ed alle singole banche in particolare; di non superare ben precisi massimali nella concessione di credito ai clienti; il «tetto» creditizio viene deciso, in laboriose riunioni, per ciascuno sportello. E' il momento delle scelte dure e I dolorose. Più di centomila imprese italiane, per continuare a produrre, dipendono dal credito bancario nell'intervallo tra il pagamento delle merci acquistate e l'incasso delle vendite effettuate. Per esse le decisioni, a livello di ciascuna filiale, su quale credito accordare e quale invece negare possono rappresentare la differenza tra la continuazione dell'attività e la sua riduzione o cessazione. Il modo in cui il sistema bancario eserciterà il potere che gli viene messo in mano dai politici si rivelerà decisivo per l'evoluzione strutturale dell'economia italiana. Nei piccoli centri della provincia italiana si diceva una volta che un direttore di filiale di banca aveva più potere di un commissario di polizia; più di un commissario di polizia era a conoscenza delle segrete cose, e le sue decisioni erano determinanti per la prosecuzione e il successo di questa o quell'attività economica. Nell'ultimo decennio, anche di fronte ad una crescente concorrenza tra le banche, tale potere si era in gran parte attenuato. Ora esso rischia di tornare e di rappresentare un altro sintomo importante di un più generale processo di «chiusura» e di irrigidimento che coinvolge tutta la società. Le banche, infatti, nella situazione odierna non hann- solo la facoltà di richiedere un più elevato tasso di interesse per il denaro che prestano. Possono anche, di fatto, razionare tale denaro: negarlo a Tizio per concederlo a Caio. Possono erogarlo con relativa abbondanza oppure goccia a goccia. Il razionamento del credito è oggi purtroppo una realtà che le piccole imprese stanno constatando: si impone loro, mediante l'immediata restituzione degli interessi, una riduzione di fatto del fido bancario, si ritarda loro, magari di settimane, lo sconto delle cambiali, effettuando cosi una stretta quasi «selvaggia», che si riflette negativamente sull'intera dinamica della finanza aziendale; per le richieste di nuovi «fidi», concessi a tassi che ormai, con tutti gli oneri aggiuntivi, sfiorano spesso [ il 25 per cento, si prende tempo per rispondere, i che è un altro modo per effettuare, in pratica, una sorta di razionamento. Un uso poco meno che equilibrato del potere di decisione da parte delle banche può spezzare la struttura produttiva italiana. Siccome il denaro non basta per tutti, l'alternativa è, in definitiva, tra il sostenere questo o quel «grosso nome» dell'economia, anche quando è in difficoltà gravissime e senza vere prospettive, oppure dare i mezzi di sopravvivenza a migliaia di imprese più piccole, che non sono in grado di esercitare alcuna pressione n livello politico o sindacale. Il sistema bancario, se mai sarà costretto a scelte di questo genere, preterirà prestare il poco denaro di cui può in effetti disporre (dopo aver soddisfatto le richieste esorbitanti dell'amministrazione pubblica, alla quale, di fatto, non può dir di no) ad un'impresa come la Montefìbre, la cui crisi appare senza uscita, oppure ad un gran numero di piccole imprese che in crisi non sono ma per le quali il credito è vitale? In quest'ultimo decennio, la qualità dei funzionari di banca è molto migliorata; la loro comprensione della dinamica delle imprese è senz'altro superiore a quella del 1963, quando con la stretta creditizia si costrinsero disastrosamente a fallire imprese che dovevano invece essere aiutate. Ora, però, si arriva alla prova del fuoco. Dall'erogazione malaccorta del credito può derivare una valanga di fallimenti, proprio tra le imprese mediopiccole, che negli ultimi anni hanno mostrato maggiore vitalità ed un incorreggibile gusto a conseguire dei profitti. La logica della stretta creditizia è quella di costringere i piccoli imprenditori a far ricorso alle proprie «riserve occulte» di risparmio: al denaro talora indebitamente inviato all'estero, ai prestiti di famigliari e di amici, al patrimonio personale dell'imprenditore. Il direttore di filiale, che spesso si è guadagnato il ruolo di confidente dell'imprenditore, dovrà essere in grado di valutare le capacità degl'imprenditori, di distinguere tra imprese che hanno maggiore o minor bisogno di sostegno finanziario e imprese per le quali ogni sostegno è comunque inutile. Dalle sue capacità di discernimento nei prossimi mesi, dipenderà largamente il tipo di struttura industriale con cui l'Italia uscirà dalla crisi. Mario Deaglio

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