Sempre più soldi in banca sempre meno alle imprese di Mario Salvatorelli

Sempre più soldi in banca sempre meno alle imprese Due milioni di lire per abitante Sempre più soldi in banca sempre meno alle imprese L'alto costo del denaro e la sua scarsa disponibilità colpisce soprattutto la produzione, che vive (o può morire) di credito Roma, 25 ottobre. I depositi nelle banche continuano a crescere, anche se il ritmo -frenetico del 1975 si è dimezzato: l'aumento fu di oltre il 25 per cento l'anno scorso, con una media di 1600 miliardi in più al mese; si mantiene intorno al 10%, sugli 880 miliardi mensili, quest'anno. Pur con questa andatura più lenta — e se il « terrorismo economico » di chi mette in giro voci di un loro blocco non avrà conseguenze negative — alla fine del 1976 i depositi, a risparmio e in conto corrente (all'incirca fifty-fifty, metà e metà), arriveranno nelle banche a superare i 110.000 miliardi di lire e a sfiorare i 112.000, in media 2 milioni per abitante, quasi 7 milioni di lire per ognuna delle 16 milioni e mezzo di famiglie residenti in Italia. Sia in cifre assolute, sia in rapporto alla popolazione, ma anche in confronto agli altri paesi, questo livello di depositi è molto alto, n risparmio annuo netto delle famiglie va dal 4-5% del prodotto nazionale lordo della Gran Bretagna e degU Stati Uniti, al 7-8% della Francia e della Germania Federale, e arriva al massimo del 10% in Svizzera, Belgio, Olanda. In Italia, invece, supera il 12% del prodotto nazionale, una percentuale che trova riscontro solo in Giappone. Questa eccezionale disponibilità di risparmio privato coesiste in Italia, e sembra un controsenso, con 11 costo del denaro più elevato del mondo. Fino a qualche anno la, infatti, la parte di gran lunga maggiore dei depositi era disponibile per gl'impieghi. C'era solo il vincolo delle riserve obbligatorie da depositare presso la Banca d'Italia, nella misura del 22,50 per cento dei depositi, oltre ai normali vincoli operativi, come 11 2 per cento di liquidità di cassa, da tener disponibile sempre. Oggi, invece, 1 vincoli superano il 55 per cento dei depositi, e In pratica si avvicinano al 60 per cento. Le riserve vincolate sono scese al 15,75 per cento del depositi, e la liquidità di cassa è sempre del 2 per cento, ma a queste limitazioni si è aggiunto un vincolo di portafoglio, cioè l'acquisto obbligatorio per le banche di una certa gamma di titoli di Stato e obbligazioni. Questo «impiego» dev'essere pari al 42% dei depositi, in termini di valore nominale dei titoli da tenere «in portafoglio», e in pratica al 37 per cento del depositi stessi, in termini di denaro Impiegato nell'acquisto. Esempio: se devo comprare titoli per un miliardo di lire, ma li pago 95 lire ogni 100 di valore nominale, spenderò 950 milioni, invece di 1 miliardo. A questa «tosatura» del denaro in banca, disponibile per Impieghi fuori banca, si aggiungono ogni tanto altri obblighi. Quest'anno gli istituti di credito hanno già dovuto fare tre versamenti «straordinari» alla Banca d'Italia: i primi due In gennaio, per un totale dello 0,75 per cento dei depositi, 11 terzo In questo mese, per lo 0,5 per cento, pari ad oltre 500 miliardi di lire (11 valore totale dei depositi, compresi quelli destinati a portafoglio e a riserve vincolate, è attualmente intorno ai 110.000 miliardi di lire). Inoltre, è costante, anche se garbato, l'Invito all'acquisto di Bot, buoni ordinari del Tesoro, per almeno il 2 per lento del depositi. Sommiamo tutti questi vincoli, palesi o non palesi, comò 1 persuasori occulti, e arriviamo al 58 per cento dei depositi. Se poi aggiungiamo 1 prestiti ad enti e amministrazioni del settore pubblico, che «sebbene non diano tecnicamente luogo a casi di solferemo, celano l'insidia non minore dell'immobilizzo», come dice con morbido giro di parole Paolo Baffi, ecco che quell'oceano di denaro che sembrava richiedere solo l'intermediazione bancaria per essere canalizzato verso 11 sistema produttivo, si riduce a un modesto Mediterraneo casalingo, e scende sotto 11 40 per cento dei depositi. Alla compressione della liquidità disponibile corrisponde la dilatazione del costo del denaro, cioè dei tassi attivi che le banche fanno pagare sui prestiti accordati alla clientela, primaria («prime rate») e non primaria. Questo perché una buona parte di quel 60 per cento dei depositi «vincolati» rende poco, come le riserve obbligatorie, che la Banca d'Italia remunera con il 5,50 per cento, e come 1 titoli di vecchia emissione da tenere in portafoglio, e il cui reddito non arriva al 10 per cento. Se la media del tassi passivi, quelli pagati sui depositi, è dell'8,50 per cento, si può calcolare che la media del tassi attivi, quelli incassati dalle banche sui loro impieghi, debba essere dell'll per cento, per pareggiare i conti, e del 13-14 per cento per avere un utile. Infatti, se devo impiegare 50 lire ogni 100 della raccolta al 7 per cento — pari al 3,5 per cento su 100 lire — le altre 50 dovrò Impiegarle all'I 1 per cento — pari al 5,5 su 100 — per ottenere, insieme, quell'8,5 per cento che è il costo della raccolta. Si calcola che oggi il tasso medio passivo sui depositi sia un po' più dell'll per cento. Se si aggiunge 11 costo della raccolta si arriva al 13-1-1 per cento. I tassi attivi, quindi, dovrebbero essere Intorno al 15-16 per cento. In realtà 11 «prime rate» ufficiale dal 10 giugno scorso, è stato portato al 19,50 per cento, e da qualche giorno alcune banche hanno preso l'iniziativa di portarlo al 21 per cento (più un ottavo a trimestre, pari allo 0,5 per cento annuo, per commissione). Questo margine più elevato trova la sua giustificazione nel maggior rischio che oggi incontra l'attività bancaria, anche per l'estendersi di quell'area, non solo pubblica, dove i debiti, per usare le parole di Baffi, tendono all'Immobilizzo. Ad accrescere la tensione del costo del denaro hanno giocato due cause, ambedue di natura politica, nel senso, è ovvio, di politica economica. La prima è che il tasso di sconto — cioè l'Interesse che pagano le banche di credito ordinario quando cedono (scontano) alla Banca d'Italia cambiali con scadenza non superiore a 4 mesi, e munite di due firme di persone notoriamente solvibili — è passato in meno di 12 mesi dal 6 al 15 per cento (e al 18 per cento se il ricorso è frequente). La seconda causa è che l'espansione del credito è stata limitata, sia per accordi internazionali, sia per decisioni interne, in misura drastica. La vittima di questo doppio processo di contenimento del credito — per l'alto costo del denaro, per il basso limite del denaro disponibile — è il sistema produttivo. Le banche, Invece, e 1 risparmiatori privati possono anche superare indenni, o con lievi perdite, 11 difficile momento. I risparmiatori privati ottengono interessi che riducono di molto gli effetti dell'Inflazione; le banche possono giovarsi non solo del margine esistente tra tassi passivi e tassi attivi, cioè tra quel che costa e quel che rende loro il denaro, ma anche della «velocità» di circolazione del denaro a prestito. E' sufficiente, per esempio, impiegare la stessa somma quattro volte in un anno per ottenere, grazie alla «capitalizzazione» degli interessi, un reddito assai supcriore. Cosi, se impiego 100 milioni al 19,5 per cento («prime rate») quattro volte In un anno, con la capitalizzazione del 4,875 d'interesse trimestrale, ottengo un reddito del 20,97 per cento, anziché del 19,5. Se poi impiego quella somma al 25 per cento, quattro volte in un anno, ottengo il 27,5 per cento. La restrizione del credito, in conclusione, colpisce soprattutto le aziende che di credito hanno bisogno, non quelle che di credito vivono. C'è da sperare che le conseguenze di questa politica deflazionistica non siano, a breve termine, troppo negative. Perché se è vero che oggi il sistema produttivo Italiano (industriale, ma anche di servizi, come il turismo e 11 commercio) vive di credito, è vero anche che di credito può morire. Mario Salvatorelli

Persone citate: Baffi, Paolo Baffi