La giungla dei salariati di Manlio Rossi Doria

La giungla dei salariati L'occupazione agricola La giungla dei salariati L'accordo di Ferragosto sul contratto nazionale dei salariati agricoli offre l'occasione per mettere in luce alcuni essenziali aspetti strutturali della nostra agricoltura e I problemi che ne derivano. In un secondo articolo considereremo, da questo angolo visuale, i caratteri e il significato del nuovo contratto. E' opportuno, tuttavia, dedicarne prima uno all'esame della situazione. La cifra di un milione e mezzo di salariati agricoli, alla quale si è fatto riferimento nel corso e al termine delle trattative, lascia, a prima vista, perplessi. Essa equlvale, nella media nazionale, al 45 e più per cento di tutte le forze di lavoro rimaste in agricoltura. Tale percentuale, mentre scende al 23% nelle Regioni del CentroNord (con massimi del 33 In Emilia e nel Lazio) si innalza al 56% nel Mezzogiorno e nelle isole (con massimi del 75% in Puglia, del 68 in Sicilia, del 62 in Calabria). La cifra è, tuttavia, confermata dal confronto delle due fonti statistiche disponibili. Se, infatti, gli elenchi nominativi del Servizio Contributi Unificati (il cosiddetto Scau) indicano, per il 1971, 1672 mila lavoratori dipendenti e il censimento della popolazione sono 1314 mila, la differenza corrisponde quasi per intero a 300 mila donne classificate (per motivi forse ugualmente plausibili) come ■ giornaliere di campagna > negli elenchi e come « casalinghe » nel censimento. Solo un'analisi (faticosa, ma redditizia) di questi e di altri dati, consente di uscir fuori dalle incertezze e di comprendere la realtà. Senza entrare in dettagli di metodo, si riportano i risultati di due convergenti elaborazioni. Da un lato le giornate di lavoro a salario eseguite in agricoltura sono ripartite fra le tre classi in cui di fatto i salariati agricoli si suddividono: salariati fissi; giornalieri a impiego relativamente stabile (oltre 150 giornate di lavoro all'anno); giornalieri a lavoro precario o occasionale. Dall'altro le stesse giornate (quali sono indicate dal censimento dell'agricoltura 1970) sono ripartite nei quattro gruppi di aziende agricole nelle quali vengono effettuate: 1) aziende a salariati con oltre 20 ettari Sau (Superficie agricola utilizzata); 2) aziende a salariati con meno di 20 ettari Sau; 3) aziende coltivatrici che impiegano salariati per oltre il 50% delle giornate richieste; 4) aziende coltivatrici con minore impiego di lavoro a salario. I risultati di queste analisi (ovviamente grossolane) sono tanto diversi per le regioni del Centro Nord e per quelle del Mezzogiorno da rendere opportuna una separata loro presentazione. Nel Centro Nord, su 90 milioni di giornate a salario annue, 45 milioni (50%) sono eseguite da 160 mila salariati fissi; 18 milioni (20%) da 70 mila giornalieri ad alto impiego (con una media di 230 giornate all'anno); 27 milioni (30%) da 310 mila giornalieri ad impiego precario (con una media di 80 giornate all'anno). Mentre i salariati fissi e i giornalieri ad alto impiego sono quasi tutti uomini, i giornalieri a impiego precario sono per il il 60% donne. Passando a considerare la suddivisione del lavoro tra le aziende agricole, ossia tra I vari gruppi di datori di lavoro, la situazione risulta all'incirca la seguente. Del 90 milioni di giornate, 36 milioni (40%) sono eseguite In 20 mila aziende capitalistiche con oltre 20 ettari Sau (per un totale di un milione e mezzo di ettari Sau); 14 milioni (15%) in 60 mila aziende a salariati con meno di 20 ettari Sau; 18 milioni (20%) in 65 mila aziende coltivatrici ad alto Impiego di lavoro a salarlo e, Infine, 22 milioni (25%) in 320 mila aziende coltivatrici a basso impiego di lavoro a salario (con una media annua di 68 giornate per azienda). Sebbene anche nel Centro Nord l'occupazione sia notevolmente dispersa, si può, tuttavia, concludere che la categoria dei salariati agricoli ha contorni ben definiti con prevalenza di salariati fissi o a stabile impiego (70% delle giornate) e che la loro occupazione è abbastanza concentrata (75 per cento delle giornate in 150 mila aziende). Non è arbitrario dire che questi aspetti della situazione (diversi da quelli che erano un tempo) corrispondono ad alcune caratteristiche degli ordinamenti produttivi delle Regioni del Centro-Nord. Il forte peso degli allevamenti animali e della coltura promiscua determina, infatti, diagrammi di lavoro abbastanza uniformi, mentre le operazioni relative al riso, ai prati e alle colture estive, con diagrammi di lavoro irregolari, sono ormai largamente meccanizzate. Nel Mezzogiorno la situazione è molto diversa. Le stesse elaborazioni danno, infatti, i seguenti risultati. Su 80 milioni di giornate a salario annualmente prestate in agricoltura. 12 milioni (15%) lo sono da 50 mila salariati fllssl; 30 milioni (37%) da 200 mila giornalieri ad alto impiego (con una media di 150 giornate all'anno); 38 milioni (48%) da 850 mila giornalieri precari (per il 58% donne) con un impiego medio annuo di 45 giornate. La suddivisione delle giornate tra i vari gruppi di datori di lavoro, a sua volta, è diversa da quella del Centro-Nord. Su 80 milioni di giornate lavorate, 19 milioni (24%), sono esegutie in 15 mila aziende capitalistiche a salariati con oltre 20 ettari Sau (per un milione e mezzo di ettari Sau): 23 milioni (28 per cento) in 178 mila aziende a salariati con meno di 20 ettari Sau; 20 milioni (25%) in 112 mila aziende coltivatrici ad alto impiego di lavoro a salario e, infine, 18 milioni (23%) in 503 mila aziende coltivatrici a basso impiego di lavoro a salario ( con una media di sole 36 giornate per azienda). Questi dati stanno chiaramente ad Indicare come nel Mezzogiorno — salvo alcuni nuclei esattamente localizzabili — la struttura agricola sia tale da far prevalere tra i salariati agricoli (per l'80% « giornalieri a occupazione precaria ») le ■ figure miste » ossia lavoratori che sono, nello stesso tempo, salariati occasionali, piccoli imprenditori in proprio, pensionati o disoccupati. In questa struttura, d'altra parte, datori di lavoro sono in massima parte I titolari di una miriade di infime aziende agricole (oltre 800 mila) tale da giustificare ancora oggi per il Mezzogiorno la qualifica di « grande disgregazione sociale ». Questa situazione si spiega — oltre che con la complessa evoluzione delle campagne meridionali — con alcuni caratteri dell'agricoltura. Al forte peso delle colture specializzate sia estensive (grano) sia intensive (vite, olivo, agrumi, tabacco, colture orticole e frutticole) corrispondono diagrammi di lavoro molto irregolari e questi impongono rapporti di salariato avventizio con elevata instabilità. Dal quadro così sommariamente tracciato risultano chiare — ci sembra — alcune cose. Anzitutto, si può correttamente interpretare la impressionante cifra di un milione e mezzo di salariati agricoli. Per mezzo milione (metà nel Centro-Nord, metà nel Sud) si tratta, Infatti, di categorie sociali chiaramente definite simili alle categorie salariali dell'industria; ma per un milione e più di lavoratori si tratta di salariati agricoli che occupano solo una parte del loro tempo e sono, quindi, costretti a cercare altri modi per conseguire un reddito sia pure modesto. In secondo luogo è possibile comprendere perché la conflittualità sia stata sempre in questo settore molto elevata, il rispetto dei contratti sindacali molto difficile, il problema della occupazione mc'to acuto. In terzo luogo si comprende perché I rapporti salariali In agricoltura costituiscano oggi uno degli aspetti più gravi della ristrutturazione della nostra agricoltura e impongano alle organizzazioni sindacali di darsene costruttivamente e responsabilmente carico. Manlio Rossi Doria

Luoghi citati: Calabria, Emilia, Lazio, Puglia, Sicilia