L'uomo del bitter è in "licenza" parla poco ma scaglia molli sassi

L'uomo del bitter è in "licenza" parla poco ma scaglia molli sassi Visita (si fa per dire) all'ex veterinario di Barengo L'uomo del bitter è in "licenza" parla poco ma scaglia molli sassi Il dott. Ferrari nel '64 è stato condannato all'ergastolo per aver avvelenato con l'aperitivo alla stricnina il marito dell'amante - I suoi concittadini sono convinti che sia innocente (Dal nostro inviato speciale) Novara, 23 ottobre. Cinque giorni di «licenza premio» per Renzo Ferrari, 56 anni, il veterinario di Barengo (Novara) che nell'agosto del '62 uccise con un «bitter» alla stricnina il marito della sua amante, Tranquillo Allevi, un commerciante di Arma di Taggia (Imperia) padre di una bimba che allora aveva 13 anni. Cinque giorni di permesso che Ferrari ha deciso di trascorrere chiuso in casa, assieme alla madre di 85 anni, per non incontrare quei «curiosi dì giornalisti». Dopo quattordici anni di carcere (è stato condannato all'ergastolo) «non ho ancora dimenticato tutte le cose che scrissero su di me — dice —; non hanno uvuto rispetto per il dolore di mia madre». Urla queste cose nascosto dietro le persiane della finestra al primo piano e informa che uscirà di casa solo mercoledì, per ritornare in carcere. «Vi avverto per risparmiarvi un inutile soggiorno a Barengo — dice con voce tonante —. Ho altro per la testa, ho un morto in casa (il cugino Aldo Gino Ferrari, che è stato sepolto ieri mattina)». La sua voce copre le nostre, sovrasta addirittura lo scoppiettio di un trattore che passa. Evidentemente, Renzo Ferrari ha i nervi tesi perché scende in cortile, apre il portone ed esce sulla strada come fosse spinto da una molla. Ha tre o quattro grossi sassi in mano che lancia addosso alla gente senza preoccuparsi di mirare almeno in basso. Sentiamo i ciottoli fischiare vicino alle orecchie, quelle tre o quattro persone che si erano fermate davanti al suo cancello scappano o si riparano dietro le macchine. Vediamo Ferrari che allunga il braccio indietro per prendere lo slancio prima di scagliare la pietra. Il suo volto è teso, sembra di leggergli la soddisfazione che prova in quel momento il ragazzino che sta per colpire il gatto con una fionda. La sua apparizione tra i battenti del cancello dura pochi attimi: ha un giubbotto marrone, un maglione girocollo, i capelli pettinati all'indietro sono grigi, sembra ingrassato. La piccola battaglia dell'ex veterinario non finisce: rientra in cortile e si tira dietro il pesante cancello in lamiera che per l'effetto dell'urto tra i battenti si mette a vibrare con violenza. Protetto dallo sbarramento, continua a lanciare, con effetto parabolico, sassi sulla strada; sono proiettili grossi come una mezza mela che rimbalzano sull'asfalto e uno finisce sul lunotto posteriore di un'auto in sosta e lo scalfisce. Veniamo alla vicenda del «bitter». Nella seconda decade dell'agosto '62 il commerciante Tranquillo Allevi riceve una confezione con un «bitter». Nella lettera di accompagnamento c'era scritto che la ditta produttrice lo invitava a un assaggio per diventare, in seguito, rappresentante della zona. Allevi dice: «Chissà che per me e la mia famiglia non sia l'inizio di una grossa fortuna». Stappa la bottiglietta, divide in tre parti (era con due amici) e bevono. Appena bagnate le labbra, gli amici di Allevi sputarono, il commerciante invece ingoiò tutto. Morì tra atroci sofferenze: gli altri due si salvarono. Le indagini scavarono nella vita della moglie, qualcuno sospettò avesse un amante e che la relazione fosse iniziata quando la famiglia Allevi ri- siedeva ancora nel Novarese. La donna, Renata Lualdi, fu interrogata, fece capire di sospettare il dottor Ferrari, veterinario a Barengo, e le ricerche si orientarono attorno a questo personaggio. I carabinieri scoprirono che la lettera che accompagnava il «bitter» era stata battuta con la macchina per scrivere del municipio di Barengo, dove Ferrari era assessore. Indagini lunghe e difficili che alla fine portarono il veterinario sul banco degli accusati. L'uomo si dichiarò sempre innocente e si è sempre detto vittima di un errore giudiziario, anche se le prove contro di lui sono state gravissime. Si scoprì che Ferrari aveva acquistato sei fiale di stricnina nella farmacia di Momo, ed egli non seppe dare spiegazioni plausibili dell'uso fattone. La carta usata per la lettera di accompagnamento era dello stesso tipo che l'imputato, alla vigilia del delitto, si fece consegnare dal messo comunale di Barengo. La carta gommata che servì per sigillare la confezione con il bitter, era dello stesso rotolo trovato in casa del veterinario. E altre prove ancora. Dopo un processo che fece molto scalpore, Renzo Ferrari fu condannato a trent'anni e, in seguito, in appello, all'ergastolo. Parte della pena, Renzo Ferrari l'ha scontata a Porto Azzurro e recentemente è stato trasferito a Parma perché la sua vecchia madre, Clementina Massazza, possa andarlo a trovare una volta al mese, accompagnata in auto da parenti. A Barengo tutti o quasi sono convinti che il veterinario sia innocente. Dicono che ormai ha scontato quattordici anni, che è un uomo distrutto, dovrebbero lasciarlo fuori. Che lo difendano, non c'è dubbio, prova ne sia che oggi pomeriggio un decoratore di Momo, visto un fotografo sulla piazza Diaz di Barengo, gli si è avvicinato e puntandogli l'indice sotto il naso ha urlato: «Lasciate tranquillo quel povero uomo. Non avete nessun diritto di fotografarlo. Poi è uno che non ne sa niente», ha concluso. Don Giovanni Panza, il parroco, allarga le braccia. «Non conosco Ferrari, sono in questa parrocchia da appena un anno. Ricordo che avevo letto qualcosa sui giornali, ma è passato così tanto tempo... Conosco invece la madre del veterinario, una brava donnetta. L'altro giorno mi ha detto: "Penso che sia la fede che mi aiuta a sopportare questo brutto periodo di vita". E' una donna vecchia che avrebbe molto bisogno del figlio: chissà se prima di morire riuscirà a stargli ancora un poco assiemeu. Aldo Popaiz