Cosa si fa all'estero

Cosa si fa all'estero Cosa si fa all'estero Le proposte per l'«equo canone», il progetto governativo per la riforma del regime dei suoli, i rinnovati programmi di edilizia economico-popolare, l'aumento impressionante del costo della vita, hanno riaperto il dibattito sul grande tema della casa. Riteniamo utile fornire informazioni sintetiche sulle esperienze di Paesi europei (con sistemi politici ed economici simili al nostro) che hanno affrontato da tempo gli stessi problemi o li stanno riesaminando. In Francia si discute proprio in queste settimane la « réforme du financement du logement », in Gran Bretagna viene applicata una nuova legge che facilita l'acquisizione o l'esproprio di terreni da parte degli enti locali (« Community Land Act »). Abbiamo scelto tre Paesi più significativi e diversi: Francia, Gran Bretagna, Olanda. La Francia è in testa, nell'Europa occidentale, per il numero di abitazioni prodotte (514 mila nel 1975), ma è caratterizzata da situazioni di squilibrio analoghe a quelle italiane: prezzi e fitti saliti alle stelle, grande potere del settore privato con forti accenti speculativi, abbondanza di residenze di lusso, di seconde case (1.700.000 con più di 8 milioni di vani) e di abitazioni vuote (1 milione 600.000, con oltre 6 milioni di vani). Il 63% delle stame inutilizzate si trova nelle grandi città, dove più forte è la domanda di alloggi a basso costo. La politica francese per la casa, fondata su contributi finanziari per le nuove costruzioni («aide à la pierre») ha raggiunto i suoi traguardi quantitativi, con 8 milioni e 700 mila alloggi costruiti dal 1945 al 1975 e una media annua di 500 mila nell'ultimo quinquennio, ma ha ribadito la concezione della casa come bene rifugio, da acquistare per investimento. Nel confronto con la situazione italiana, quella francese resta di gran lunga migliore grazie alla robusta produzione di alloggi nel settore sovvenzionato e agevolato. Nel 1975 sono stati ultimati 111.500 alloggi HLM (paragonabili agli IACP) destinati all'affitto e 58 mila destinati all'acquisto rateale, contro 220.500 costruiti da privati per il mercato libero e 124.300 costruiti da privati con agevolazioni creditizie. Secondo Paese-campione la Gran Bretagna. La politica per la casa non è separata da quella per il territorio e per l'ambiente, come avviene in Italia. Le esperienze urbanistiche sono di vecchia data, originate nell'Ottocento dagli utopisti inglesi, fino al movimento dì Howard per le « città giardino ». Dopo la seconda guerra mondiale la politica per le città venne ancorata a successivi piani strategici (piano Abercrombie, Green Belts, piano di coordinamento del Sud-Est dell'Inghilterra), con precisi indirizzi a lungo termine: formazione di un grande patrimonio pubblico di abitazioni (6 milioni di villette e appartamenti sul totale di 20 milioni; il 31% delle famiglie occupa un'abitazione a « fitto sociale », soltanto il 17% affitta a privati), programmi pluriennali di edilizia sovvenzionata e costruzione di 32 « New Towns », facilitazioni per l'acquisto della casa in cui vivere e non della casa da affittare a terzi. Il 51% delle famiglie vive oggi in casa propria, generalmente una villetta o diversa abitazione unifamiliare (79 per cento dei casi). Lo sforzo pubblico è stato intenso nel dopoguerra, con 1.119.993 «abitazioni sociali» prodotte nel quinquennio 1951-1955 (335.538 costruite da privati nello stesso arco di tempo). Ha avuto un certo rallentamento negli ultimi anni. Su 278 mila alloggi ultimati nel 1974, il 48% era dovuto al settore pubblico, il 52% a quello privato. Per ridurre i costi e accelerare i tempi di costruzione si fa largo uso di metodi industriali, ricorrendo a prefabbricati e componenti standardizzati. Intere regioni, come la contea dello Yorkshire, hanno unificato metodi e prodotti di serie per l'edilizia. Va sottolineata l'importanza della ricerca nel campo delle tecniche costruttive, dell'urbanistica, della sistemazione ambientale. Il livello qualitativo degli insediamenti e delle architetture è di regola superiore nel settore pubblico, contrariamente a quanto avviene in Italia. Massimo esempio le «New Towns», o città nuove, distribuite in Inghilterra, nel Galles, e in Scozia per diminuire la pressione demografica sulle grandi città e sulle aree congestionate, prima quella di Londra. A Milton Keynes, che entro tre anni darà casa e lavoro a 100 mila persone, il solo dipartimento dell'architettura occupa 200 persone. Su una superficie di 8800 ettari, acquisiti o espropriati, stanno nascendo parchi (600 mila alberi trapiantati), laghi, campi sportivi, servizi sociali, prima del completamento dei quartieri di abitazione e prima degli insediamenti industriali. Si formano colline artificiali per movimentare il paesaggio. Le strade di scorrimento hanno ai lati terrapieni verdi e alberati, per diminuire il fastidio del rumore e l'inquinamento. Come per le altre città nuove, l'iniziativa, la costruzione e la gestione sono affidate a una « New Town Development Corporation », che ha acquistato e espropriato i terreni con finanziamento statale e che si rifa in parte delle spese di urbanizzazione rivendendo aree fabbricabili a privati. Il po¬ tere pubblico rovescia così la situazione italiana, sostituendosi allo speculatore, a vantaggio della collettività (dopo il completamento ogni New Town passa nelle mani dell'ente locale, paragonabile al nostro Comune). Con un fondo equivalente a 2000 miliardi di lire sono state finora realizzate 29 nuove città, in cui vivono 2 milioni di abitanti. Anche in Olanda si attua una seria politica per la casa e per il territorio, con forte prevalenza del potere pubblico esercitato attraverso i Comuni. Il Comune di Amsterdam possiede tutte le aree ancora fabbricabili en. tro i suoi confini. Acquisti 1 in massa di terreni furono J cominciati nel 1896 dall'airiI ministrazione liberale. Oggi il demanio comunale è di 21.500 ettari, compresi 6.500 fuori dei confini. L'edilizia sociale sfiora il 100% della produzione ad Amsterdam, supera il 70% nel Paese, con costi inferiori a quelli delle | nostre case IACP e « convenj zionate », benché il consoli• damento dei terreni sabbiosi e acquitrinosi richieda opere imponenti. i Dell'Olanda segnalo ai noI stri governanti, parlamenta¬ ri, sindacalisti, amministratori locali, un fatto che in Italia sembrerà sbalorditivo: il sistema dell'« equo canone » è applicato alle abitazioni comprese entro una certa fascia di valore imponendo al proprietario l'inquilino scelto dal Comune. Altro fatto importante: gli espropri di terreni e di edifici sono abituali. Il programma di Amsterdam prevede l'esproprio di 1200 appartamenti nel quartiere storico di Kinkarbuurt, per risanamento e rialloggio di famiglie a basso reddito. Noi facciamo soltanto discorsi sui Centri Storici. A quando gli espropri consentiti dalla nostra legge 865? Annotazione comune per Gran Bretagna e Olanda: funziona bene il sistema dei sussidi-casa, a carico dello Stato, che consente agli enti locali di praticare affitti proporzionati ai costi effettivi. Altra annotazione valida anche per la Francia: si assiste a una svolta verso il ricupero del patrimonio edilizio di vecchia data. Il nuovo piano quinquennale francese prevede il risanamento di un milione dì alloggi, con sussidi agli inquilini. In Gran Bretagna 3.600.000 vecchie abitazioni sono già state restaurate con l'aiuto dello Stato, contro l'impegno dei proprietari a osservare l'equo canone. Una lezione di praticità e di capacità realizzatrice. Non dirò che gli inglesi e gli olandesi abbiano risolto il problema della casa. Ma resta, incontestabile, l'enorme sforzo pubblico per dare casa, servizi, ambiente ordinato s civile, a costi sopportabili. Mi hanno detto in Olanda: « Una buona polìtica per la casa diminuisce le spinte salariali, aumenta il rendimento dei lavoratori, rende più competitiva l'industria. Logica da capitalismo avanzato. In Italia non ci siamo ancora arrivati. Mario Fazio Amsterdam. Lo scorcio d'un quartiere tipico dell'edilizia pubblica olandese (Telefoto Articapress)

Persone citate: Abercrombie, Green Belts, Land, Mario Fazio, Milton Keynes