Come nei tempi di guerra

Come nei tempi di guerra Voi e noi di Mcola Adelfi Come nei tempi di guerra Devo una risposta pubblica a un amico socialista, Italo Pietra, già direttore di importanti quotidiani. Giorni fa sul Messaggero egli scrisse: «Nicola Adelfi sottolinea diligentemente due notiziole. La prima riguarda l'aumento di salari e stipendi dal 1973 al 1975 nei maggiori paesi industriali. Il primato spetta all'Italia: fu dell'80 per cento. La seconda notiziola riguarda gli scioperi. Anche qui noi italiani manteniamo saldamente il primato». Osserva il collega Pietra: «A mio avviso, qv.ssta non è che una faccia della medaglia. Il nostro paese mantiene saldamente tanti altri primati. Ecco per esempio le "morti bianche" e la mortalità infantile, i capitali in fuga e le evasioni fiscali, le risorse assorbite dalla burocrazia e l'inefficienza burocratica, gli enti inutili e la mafia, l'agricoltura trascurata e i salassi imposti dall'importazione di derrate alimentari, le carceri all'antica e le università che scoppiano, gli scandali soffocati e le acque inquinate, gli ospedali che fanno pietà e le cliniche che arricchiscono i baroni delle cattedre, le industrie di Stato senza seri controlli e coi passivi alle stelle e le industrie private senza freni e povere di investimenti e coi capitali all'estero». Dopo altre considerazioni, questa la conclusione: «E' in questo gran contesto che va considerato ed affrontato il problema del primato negli scioperi e negli aumenti delle paghe». In linea generale, Pietra mi trova d'accordo. Ciascuno di noi, solo che si guardi intorno, può allungare l'elenco delle cose che vanno male o malissimo in Italia. Per conto mio, non ho scrupoli. Ritengo di non avere mai esitato nel denunciare scandali, abusi, sprechi e malesseri di ogni genere: quelli accennati da Pietra e molti altri. Tuttavia non penso che ci tireremo fuori dai guai limitandoci a imprecare contro coloro che hanno contribuito a guastare l'economia italiana. Al punto in cui siamo, occorrono rimedi immediati ed efficaci. Lo dicono tutti. Il comunista Amendola arriva a temere che la bancarotta dell'azienda Italia rappresenti il pericolo maggiore per la sopravvivenza della democrazia nel nostro Paese. Al riguardo non ho il minimo dubbio. Nel caso di bancarotta, due sono le ipotesi più verosimili. I comunisti vanno al governo? In quel caso, per non fare la fine di Allende nel Cile, saranno costretti a governare con metodi duramente staliniani, sia pure controvoglia e con lacerazioni interne. La seconda ipotesi è un colpo di Stato compiuto dalle destre con l'appoggio di forze militari. Comunque vada, i consumi sarebbero ridotti al minimo, i salari bloccati, gli scioperi repressi con i carri armati. Con prospettive così buie davanti a noi, a me pare perdita di tempo, addirittura una esercitazione retorica, mettersi a sognare un'Italia che d'un tratto viene ripulita e ammodernata, senza più enti inutili, senza più università sovraffollate, senza più fughe di capitali all'estero; e viceversa con un'ottima burocrazia, con ospedali decorosi e senza baroni, industrie di Stato con bilanci limpidi e imprese dove i privati investono ogni loro avere. Caro Pietra, i sogni placidi e belli, lasciamoli agli ignari e ai sonnolenti. Viceversa spalanchiamo gli occhi e cerchiamo di concentrarci contro il nemico più pericoloso tra quanti insidiano la sopravvivenza della democrazia. Si chiama inflazione. E' una divoratrice cieca, spietata, e dappertutto si lascia dietro terra bruciata. Per respingere un mostro così potente basta davvero tentare di recidere le mille e una ramificazione della mafia? Oppure vogliamo impegnare le nostre residue risorse nella lotta antica e sempre persa contro gli enti inutili? E possiamo in poco tempo, mentre l'in¬ flazione incalza vorace, mettere ordine in quell'immenso coacervo di disordini ch'è la pubblica amministrazione? No, per parte mia non ci sto. Per parte mia dico: o si frena l'inflazione oppure si va diritti alla dittatura. Non vedo alternative: da nessuna parte. Questa è un'ora decisiva: con una espressione che non mi piace, aggiungo che questa è l'ora della verità. Ci siamo scoperti un Paese povero e dobbiamo obbligarci a vivere da poveri. Il parmigiano costa troppo? Cerchiamo di consumarne il meno possibile. Chi sa, prima che marcisca nei magazzini forse gli accaparratori si decideranno a tirarlo fuori e a venderlo a un prezzo giusto. Se il prezzo dei combustibili per riscaldare le case aumenta più delle nostre possibilità, ricordiamoci degli anni della guerra e difendiamoci dal freddo stando col cappotto anche nelle nostre stanze. Economie di questo genere non sono la fine del mondo. L'importante è convincerci che devono essere fatte allo scopo di vincere la grande nemica, l'inflazione. Questo è l'importante: non indugiare a piangere sul latte malamente versato negli anni delle vacche grasse, ma persuaderci che siamo poveri, comportarci come tali e lavorare dì più e meglio di ora. In altre parole, dobbiamo limitare gli aumenti salariali e diminuire considerevolmente il numero delle ore scioperate. Mi si può obiettare che, così dicendo, la mia convinzione è che anche questa volta la crisi debba essere superata sulla pelle del popolo lavoratore. E' esatto: intendo proprio questo. Ho presente che nella storia del nostro Paese è stato sempre il popolo lavoratore a fare i sacrifici maggiori nei periodi di più grave pericolo, in guerra e in pace. Tuttavia, se metto a confronto le condizioni economiche, sociali e politiche dei lavoratori con quelle dei loro genitori, vedo che quei sacrifici diedero sempre frutti reali, sostanziosi, fuorché in tempi di dittatura. E sono certo che anche ora, se ce la faremo a superare la crisi, avverrà lo stesso: avremo domani un'Italia senza più i triiti primati esemplificati dall'amico Pietra. Voglio dire un'Italia più civile, più giusta e benestante di ieri e di adesso.

Persone citate: Allende, Amendola, Caro Pietra, Italo Pietra, Nicola Adelfi

Luoghi citati: Cile, Italia