La febbre dell'Eldorado di Francesco Rosso

La febbre dell'Eldorado Avventurieri e mercanti esplorano l'Amazzonia La febbre dell'Eldorado Victor Von Hagen: « L'Eldorado », Ed. Rizzoli, pag. 350, lire 7000. Che la pazzia sia il sale della vita lo aveva già affermato Erasmo, ma nel caso dell'oro, della follia che travolse il mondo del secolo XVI, più che di sale dovremmo parlare di pepe, forse di qualcosa di ancor più bruciante perché la ferocia, gli stermini, i genocidi che furono consumati soltanto per il possesso del metallo satanesco, fanno inorridire ancor oggi, nonostante l'abitudine alle persecuzioni ed alle repressioni. Il folto volume di von Hagen lo testimonia con persino eccessiva abbondanza di dettagli; le navi che Hernan Cortez mandava in Spagna cariche dell'oro strappato agli aztechi con torture e massacri indiscriminati; quelle ancor più ricolme inviate da Francisco Pizzarro che all'inca Hatahualpa catturato, promettendogli la libertà, aveva estorto dicendogli: « Voglio questa stanza piena d'oro », avevano acceso la fantasia non soltanto agli avventurieri, ma anche agli uomini d'affari di quell'Europa mercantilistica che, attraverso primordiali società multinazionali, andava ad investire i proprii capitali nel Nuovo Mondo. Di fronte al tragico film che si dipana dinanzi alla fantasia leggendo il libro di von Hagen, la corsa all'oro del Klondicke all'inizio del nostro secolo, ed il film di Chaplin, sembrano davvero manifestazioni di una civiltà romantica e decadente. Colombo scopre « le Indie » nel 1492 e la leggenda dell'oro, di cui sembra pavimentato il continente appena intravisto, \ incomincia a germogliare attraverso il racconto di alcuni avventurieri partiti più tardi al seguito dei conquistadores. Del Messico si scopre tutto, o quasi, assai presto; poco dopo si scopre il Perù, ma l'un paese e l'altro, da cui provengono tonnellate d'oro e d'argento, sono solo due punti nella estensione del nuovo continente. Se da quei due punti viene tanta ricchezza, quanta ne può contenere il resto della sterminata distesa di terra? Incomincia a circolare la voce che oltre Panama, affacciato all'altro mare, ossia al Pacifico, ci sia un paese governato da un uomo tutto d'oro, cioè, in lingua castigliana, El Dorado, l'uomo d'oro, che governa una città con le case tutte d'oro, le strade lastricate d'oro. In questa follia d'un visionario si innestano gli interessi dei grandi capitali europei, spagnoli da prima, quindi tede¬ schi, infine inglesi. Sono primi i tedeschi a organizzare spedizioni costosissime ottenendo da Carlo V, del quale hanno finanziato l'elezione a Sacro Romano Imperatore, concessioni nelle Terre Nuove, e poiché Messico e Perù sono già stati sfruttati abbondantemente, si cercano nuove strade, quella tra l'altro che conduce al Pacifico per via di terra. E si scoprono, si esplorano, si occupano stabilmente, sempre in nome dell'imperatore più tedesco che spagnolo, il Venezuela (piccola Venezia, dal lago di Maracaibo, ricco di oro nero, oggi) e la Colombia. Lo El Dorado, l'uomo d'oro, esisteva realmente, era il capo dei chibcha, ma era soltanto indorato in occasioni solenni. Prima lo spalmavano con una certa resina, poi gli soffiavano addosso polvere d'oro, sì che nel sole delle Ande risplendeva come una statua tutta d'oro. Poi, con rituale solennità, saliva su una zattera di balsa ed andava ad immergersi nel laghetto di Guatavita, poco lontano dall'attuale Bogotà. Il racconto di quelle solennità religiose, fatto da indios catturati, si trasformò rapidamente nella delirante descrizione dì ricchezze favolose nascoste chi sa dove. Coi quattrini forniti dai Fugger di Augusta, e dai Welser di Norimberga, i folli del Vecchio Continente andarono alla ricerca dell'Ei Dorado, divenuto poi l'Eldorado, la città tutta d'oro, attraversando foreste inviolate, creparono al sole dell'Equatore, tra le zanne dei giaguari, sotto il morso dei serpenti, per le punture di insetti invisibili e velenosi, tra il volteggiare dei vampiri che succhiavano il sangue degli animali, ma anche degli uomini stremati. E non c'era pietà nemmeno per i compatrioti incontrati lungo le rotte del fantomatico Eldorado, e se Jimenez de Quesada incontrava altri spagnoli sulla sua strada, non esitava a massacrarli, non diversamente da come faceva Sebastian de Belàlcazar. E se i cercatori d'oro erano co-sì feroci fra di loro, è im- maginabile che cosa abbiano fatto nei confronti degli indigeni. In pochi mesi, alcune centinaia di spietati masnadieri europei, annientarono decine di migliaia di chibcha, praticamente distrussero tutta una popolazione e la sua civiltà solo perché il loro capo, col corpo indorato, andava a fare abluzioni rituali nel laghetto di Guatavita, che doveva essere una variante dei riti Maya nello Yucatan: accanto ai templi dei Maya venivano scavati dei vasti pozzi simili a laghetti nei quali, oltre alle vittime umane sacrificate agli dei, venivano gettati oggetti d'oro e pietre preziose. I chibcha facevano altrettanto nel laghet- to di Guatavita, in cui getta- vano oggetti d'oro e smeraldi per placare le loro divinità. Qualcuno tentò di prosciugare il laghetto per recuperare il tesoro, e qualche risultato lo ottenne, ma non tale da ripagare le spese sostenute. La folle corsa all'oro, con lo sterminio degli indios, le esecuzioni sommarie, le teste che cadevano sotto man- naie più o meno legali, non diedero l'oro sperato, ma regalarono alla Spagna ed all'Inghilterra possedimenti coloniali che procurarono ricchezze ben più consistenti dei tesori aztechi e incaici. Perché sul finire della leggenda dell' Eldorado, V Inghilterra che aveva battuto i mari coi galeoni corsari di sir Francis Drake, dando la caccia alle navi che portavano oro e gemme in Spagna, mandò nei Caraibi sir Walter Raleigh con il compito di carpire agli spagnoli il segreto dell'Eldorado. Ed anche sir Raleigh finì sul patibolo, con la testa mozzata. Ma la follia dell'Eldorado non si è interamente conclusa; anni addietro, a Ciudad Bolivar, sull'Orinoco, ho conosciuto dei folli moderni, tra cui un paio di italiani, che risalivano in canoa il Rio Coroni alla ricerca di diamanti; indifferenti alle ciclopiche acciaierìe costruite da altri italiani sulle sponde dell'Orìnoco, in Venezuela, avevano pir fiducia nella sognata ricchezza dei diamanti. Inizialmente un po' lento e denso, il libro di Von Hagen diventa via via il più folto e romanzesco documento della crudeltà degli uomini bramosi di ricchezza, un'avvincente lettura che procura ore di svago non privo di meticolo- i sa cultura teutonica, Francesco Rosso

Persone citate: Carlo V, Chaplin, Francis Drake, Francisco Pizzarro, Hagen, Hernan Cortez, Jimenez De Quesada, Von Hagen, Walter Raleigh, Welser