Il liberale Cuoco di Giuseppe Galasso

Il liberale Cuoco Napoli, Rivoluzione e Santa Fede Il liberale Cuoco Vincenzo Cuoco: « Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799 », E<i. Laterza, pag. LVI-315, lire 3900. Il Saggio del Cuoco, che è uno dei più importanti documenti della storiografia e del pensiero politico italiano nell'età del risorgimento, non aveva avuto negli ultimi tempi molta fortuna. La ripubblicazione laterziana dell'edizione 1929 negli « Scrittori d'Italia », accompagnata ora da un'ampia introduzione di P. Villani, se non vale a sostituire l'edizione curata da Nino Cortese nel 1926, fornisce finalmente un testo, e soprattutto una introduzione alla lettura di esso, di cui lettori e studiosi possono avvalersi con tranquilla sicurezza. Ciò che nel caso del Cuoco è sempre necessario ripetere, e su cui non si insisterà mai abbastanza, è il suo giudizio sulla rivoluzione francese. Il vezzo di presentarlo come un critico della rivoluzione, un polemista le cui punte più acuminate debbano essere viste nell'attacco ai principii e alle conquiste del 1789, è un vezzo che ha avuto (e in alcuni continua ad avere) un preciso risvolto politico, ideologico nel senso deferiore del termine. In realtà, come fa osservare opportunamente il Villani, « i rilievi di astrattezza mossi dal Cuoco alla Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino non debbono trarre in inganno: i principii dell' '89 nel senso dell'eguaglianza giuridica di fronte alla legge, del riconoscimento della proprietà privata, con la conseguente abolizione degli ordini privilegiati e del regime signorile e feudale, sono il fondamento di tutto il sistema politico del Cuoco ». Fare di Cuoco il compagno ideologico di un De Maistre o anche di un Burke, ossia della riflessione conservatrice o reazionaria sulla rivoluzione, è operazione irricevibile, anche se dovuta soltanto ad incomprensione o distorsione della prospettiva cuochiana autentica. In realtà, « accettazione delle grandi conquiste civili della rivoluzione, comprensione dell'evento rivoluzionario, rifiuto di ogni svolgimento egalitario e "giacobino" » collocano « la posizione del Cuoco nel grande filone del liberalismo moderalo europeo, dal gruppo degli idéologues a Constant »; ed in questa prospettiva è possibile affermare che la forza della sua interpretazione sta « nell'aver reinterpretato e presentato Machiavelli e Vico, e la più recente cultura settecentesca napoletana, alla luce della rivoluzione francese ». Con una ispirazione così moderna ed europea, pur nel radicato fondamento napoletano e italiano della sua riflessione, Cuoco potè percepire appieno la positività e i limiti del processo che nell'ultima decade del secolo XVIII portò gli eserciti della repubblica francese a diffondere gli ordinamenti rivoluzionari in tanta parte del Continente. Non che, nelle deduzioni che dalla critica all'espansione rivoluzionaria cosi attuata gli sembrava di poter trarre, tutto fosse egualmente visto con lucidità e pertinenza di giudizio. Villani richiama giustamente la vera e propria illusione ottica consistente nel vedere le amministrazioni municipali del Regno di Napoli come la migliore base possibile per la formazione della rappresentanza politica e popolare del paese, quando esse erano « dominate da potenti consorterie locali, o oppresse dalla prepotenza del barone, o dilaniate da profonde e faziose divisioni, senza che il governo riuscisse ad esercitare alcun efficace controllo ». Qui era il Cuoco ad assumere una posizione dottrinaria; ma è altrettanto indubbio che questi momenti di meno vivida intelligenza del mondo su cui si esercitava il suo intervento politico-culturale sono pienamente trascesi nel complesso di un pensiero estremamente vivo e fecondo. Questo pensiero è definito dal Villani « moderatismo borghese ». Meglio sarebbe parlare di un liberalismo ancora condizionato da influenze derivanti non tanto dal pensiero quanto dalla concreta esperienza politica del riformismo settecentesco e della rivoluzione. La sua sincera adesione alla monarchia napoletana » il graduale appannarsi dell'ideale delle « libertà repubblicane », così come l'insistenza sulla « forza degli ordini pubblici », vanno riportati a queste esperienze. La scottatura sanfedistica bruciava ancora (brucerà sempre) nei riformatori napoletani, mentre l'attività riformistica dei sovrani napoleonidi a Napoli era stata particolarmente felice. La « monarchia amministrativa », ti modello napoleonico cioè di istituzione politica moderna, veniva, in questo contesto, a rap¬ edesmèaicltli«btlddtp presentare la forma più valida e accettabile per gli uomini del sentire, delle esperienze e del pensiero di Cuoco in vista dell'auspicato ammodernamento della vita meridionale. Nella introduzione di Villani è possibile, tuttavia, cogliere ancora un secondo motivo di interesse specifico del pensiero cuochiano in rapporto agli sviluppi anche posteriori della lotta e del dibattito politico-sociale a Napoli. Villani mette bene in rilievo come Cuoco assegni « ai ceti proprietari e ai notabili la funzione di necessari intermediari tra il " popolo " e la classe politica, in un'opera di riscatto nazionale e di graduale progresso civile ». E' interessante seguire su questo piano le differenze tra la pri¬ ma e la seconda redazione del Saggio a proposito dei diritti feudali, che mostrano un graduale attenuarsi della posizione antifeudale del Cuoco. Ma non si tratta di una involuzione conservatrice. Va ribadito, lo fa già Villani, che si tratta invece di una più coerente apertura liberistica, e, in questo senso, progressista. Per questo verso il Saggio si può, anzi, definire senz'altro « un contributo importante alla presa di coscienza della classe politica del nostro risorgimento ». Ed è ancora ammirevole e istruttivo seguire come in esso la suggestione metodologica storicistica si fonda con l'attualità profonda e incisiva nel dibattito del suo tempo. Giuseppe Galasso

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