Troppi gli incidenti mortali in Sardegna durante le manovre (a fuoco) della Nato di Filiberto Dani

Troppi gli incidenti mortali in Sardegna durante le manovre (a fuoco) della Nato Una protesta del presidente della Regione al governo italiano Troppi gli incidenti mortali in Sardegna durante le manovre (a fuoco) della Nato Le disgrazie più recenti : una donna e un bimbo travolti e uccisi da veicoli militari - Ma, in passato, vi sono stati parecchi episodi: pescatori mitragliati, civili uccisi da sentinelle, 12 aerei da caccia caduti su paesi (Dal nostro inviato speciale) Cagliari, 19 ottobre. A Capo Teulada., punta estrema della Sardegna, settanta chilometri da Cagliari, le truppe della Nato sbarcano non meno di una volta al mese tra le raffiche di mitraglia degli aviogetti, le esplosioni delle mine e le fiammate del napalm. Sono manovre a fuoco in grande stile che il linguaggio militare definisce «guerre simulate», ma qui di simulato sembra ci sia poco o niente. I proiettili delle mitraglie sono autentici, come lo sono le mi¬ ne e il napalm; altrettanto autentico è il fracasso provocato dalle picchiate dei caccia, dallo sferragliare dei carri armati, dal rombo di migliaia di motori. Ventimila ettari di territorio trasformati per giorni e giorni in un vero e proprio campo di battaglia. Succede così che ogni tanto ci scappi il morto. L'ultimo, in ordine di tempo, è un bimbo di 18 mesi, Michele Pantani, travolto da un autocarro dell'esercito americano impegnato nella «guerra simulata» di Capo Teulada. L'incidente è avvenuto a Porto Pino, da- vanti a un bar, mentre il piccino stava giocando: le ruote del veicolo gli sono passate addosso. Dieci giorni prima, a Masainas, un'anziana donna ha fatto la stessa fine: anche lei è stata schiacciata da una jeep. L'altro ieri poco c'è mancato che un'intera famiglia, quattro persone, concludesse l'esistenza nel fondo di una scarpata: l'auto su cui viaggiava è stata violentemente speronata da un automezzo militare lungo la provinciale tra Villamassargia e Siliqua. Come sempre accade in questi casi, c'è stata uno fioritura di proteste. «Quelli se ne fregano di noi: considerano la Sardegna come una terra di conquista», dice con rabbia Giampaolo Massa, sindaco di Sant'Anna Arresi, il Comune più interessato dalle «guerre simulate» di Capo Teulada. Aggiunge con asprezza Teresa Diana, vicesindaco: «Siamo arcistufi della presenza militare stranieri! e dobbiamo liberarci, una volta per tutte, da questa gravosa servitù». Si è mosso anche, con un telegramma al capo del governo, il presidente della Regione, Pietro Soddu, democristiano: «Ribadisco la necessità di adottare immediatamente misure precauzionali al fine di eliminare un assurdo tributo di sangue delle genti sarde». In Sardegna, insomma, la guerra continua. E non potrebbe essere altrimenti, visto che un decimo del territorio dell'isola, quasi 185 mila ettari, è in mano ai militari che vi hanno installato basi navali, basi aereee, rampe lanciamissili, poligoni di tiro, depositi di munizioni, impianti radar e chissà cos'altro ancora. «L'assurdo tributo di sangue» di cui parla il presidente della Regione è documentato da un incredibile numero di incidenti che le forze politiche sarde hanno ripetutamente denunciato (ma senza ottenere soddisfazione) negli ultimi anni. E' un elenco impressionante. Spulciamolo: pescatori mitragliati per un errore dai caccia a reazione; due civili uccisi a raffiche di mitra per avere inavvertitamente oltrepassato i limiti di zone pro¬ tette da segreto militare; l'esplosione di una polveriera a 40 chilometri da Cagliari; almeno una dozzina di aerei precipitati in fiamme nei campi intorno ad altrettanti paesi, davanti alla sede di una banca e a pochi metri da un grosso stabilimento industriale; l'incendio provocato allo stadio cagliaritano, fortunatamente vuoto, dalla rottura di una tubatura per il trasporto del carburante militare che passa sotto la città. E non ci sono soltanto morti e feriti (anche se basterebbero questi per chiudere il discorso), ci sono anche i pesanti vincoli militari che cagionano danni economici non indifferenti. E' il caso per citare un esempio, dell'interdizione di vaste fasce costiere durante le esercitazioni a fuoco. «Per parecchi giorni al mese le zone più pescose sono vietate alle barche: l'alternativa è rinunciare alla giornata o andare a pescare lo stesso giocando a mosca-cieca con le pallottole», dice Mario Melis, proprietario di un piccolo peschereccio che batte la zona di Capo Teulada. Adesso la morte del bimbo di Capo Pino ha elevato una nuova ondata di sdegno, da più parti si reclamano energici interventi politici per restituire le. pace all'isola; non c'è strada, piazza o quartiere in cui non appaia la scritta spray che ammonisce «A fora sos milàtares», fuori i militari. Filiberto Dani

Persone citate: Giampaolo Massa, Mario Melis, Michele Pantani, Pietro Soddu, Porto Pino, Teresa Diana