Una "strategia della disgregazione"? di Raniero La Valle

Una "strategia della disgregazione"? OPINIONI: RANIERO LA VALLE SULLA CRISI ITALIANA Una "strategia della disgregazione"? Bisogna riconoscere che l'emergenza economica, nella quale ci troviamo, imprime una forte accelerazione ai processi politici attivati dal voto del 20 giugno. La situazione è oggi assai diversa da quella in cui si costituì il governo delle astensioni, e le vecchie parole, anche quella del «confronto», non bastano più a fondarla e a descriverla. Il governo oggi chiede al Paese dei sacrifìci, e ha bisogno non solo di una passività, ma di un consenso; e il Paese vuol vederci chiaro, non solo per l'immediato, ma in prospettiva. Dunque, qualcosa di nuovo è accaduto, che mette in gioco non solo l'economia, ma anche la politica. Quello che è accaduto può assumere due diversi ed anzi opposti significati. Può avere il significato di un momento di unità, se la politica cresce alla misura della sfida che affrontiamo sul piano economico; ma può anche avere un effetto di disgregazione, nell'insufficienza della politica, se si pretende dalle classi popolari e dai loro partiti un consenso sui mezzi, ma non si cerca o addirittura si rifiuta un consenso sui fini. Il problema è allora di vedere come evitare che delle misure di risanamento economico si risolvano in un nuovo fattore di disgregazione sociale e politica. Ma la domanda rinvia a un'altra, che la precede: siamo tutti veramente convinti che bisogna opporsi alla disgregazione? Domanda niente affatto retorica, dal momento che vi sono gruppi e clientele nel nostro Paese che non si curano affatto dei risultati disgreganti prodotti dalla difesa corporativa dei loro interessi. La domanda tuttavia assume uno spessore ancora maggiore, se si ammette che, anche al di là di tali interessi corporativi, la disgregazione possa essere assunta in sede politica come una vera e propria strategia: non solo dunque effetto involontario di politiche sbagliate, ma effetto voluto in funzione di un obiettivo politico, o di conservazione o di rivoluzione. A questo proposito, sono del tutto d'accordo con quanto affermato da Carlo Tullio Altan, sulla Stampa del 6 ottobre, nel dibattito intorno alle tesi di Bobbio sul pluralismo: « E' ormai chiaro a tutti che la disintegrazione economico-politica dei Paesi collocati nell'area occidentale, e cioè inseriti nel sistema di economia di mercato, non porta affatto all'instaurazione di regimi politici rivoluzionari di sinistra, ma più che sicuramente a dittature di destra ». A chi giova Ma se l'immancabile risultato della disgregazione è questo, allora non ci sarebbe affatto da meravigliarsi se essa, anziché essere solo la conseguenza accidentale di azioni maldestre, fosse consapevolmente assunta e perseguita, in un Paese chiave come l'Italia, da forze interessate a quel risultato pur di bloccare e rovesciare i processi politici in corso. In realtà a me sembra che esauritasi senza successo (e anzi rivelatasi controproducente) la strategia della tensione, non manchino in Italia sintomi di una strategia della disgregazione. Il vantaggio di tale strategia, per chi la persegua, è che essa non deve direttamente provocare tutti i fatti disgregativi; basta che adotti ed ecciti quelli esistenti, anche involontari e spontanei, includendoli nella propria trama e potenziandone la portata. Cosi può accadere che una strategia della disgregazione gestita da destra possa integrare dentro di sé fattori disgregativi neolibertari, antistatuali, anarcosindacalisti aventi matrici di sinistra, possa servirsi dei « porci con le ali » e di Pannella, delle femministe come dei radicalismi della contestazione ecclesiale. Perciò bisogna stare attenti a non favorire questo gioco. E allora è lecito chiedersi a quale innesto in una possibile strategia della disgregazione possano prestarsi anche fatti politici maggiori, come ad esempio la teoria democristiana del «confronto», le scelte economiche o quello, così ampiamente dibattuto sulla Stampa, della cosiddetta libertà d'antenna e delle televisioni pseudo-estere. Riguardo al confronto, mediante il quale la de cerca gli utili del compromesso senza compromettersi, si può rilevare che se esso ha un valore aggregativo per la democrazia cristiana (e ne costituisce anzi la vera motivazione), ha certamente un significato disgregativo per le istituzioni; esso impedisce infat¬ ti la formazione di una vera maggioranza parlamentare e confina, almeno ufficialmente, al momento assembleare la ricerca del consenso necessario alla vita dei governo e al varo delle leggi. Ciò aggrava le carenze di funzionalità del nostro sistema, e ritualizza, ammettendone la celebrazione solo nel tempio di Palazzo Madama o Montecitorio, i rapporti tra le due maggiori forze politiche di governo, lasciate estranee e avverse l'una all'altra nel Paese. Scelte economiche Anche le scelte economiche, nella misura in cui chiedono sacrifici senza offrire partecipazione, possono portare germi di disgregazione proprio là dove più forte è stata la spinta unitaria in questi anni, cioè nel movimento popolare e nel tessuto dei ricchi e articolati rapporti tra le sue organizzazioni sindacali e le sue rappresentanze politiche. Infine è chiaro che può rientrare o essere integrato in una strategia della disgregazione il disegno di una mortificazione del servizio pubblico esercitato dalla Rai, e della consegna ad altri poteri, sottratti al controllo democratico, dell'egemonia radiotelevisiva in Italia. La discussione che si è accesa sull'argomento dimostra come anche ottime intenzioni di pluralismo e di apertura alle culture straniere possano essere confiscate a profitto di una strategia della disgregazione. La rimozione della riserva allo Stato, cioè alla universalità dei cittadini politicamente organizzati, delle trasmissioni circolari, non sta aprendo nuovi spazi di libertà, ma nuovi spazi di potere. Lo stesso editore Rizzoli, che pur non essendo notoriamente uno «straniero» e non potendo perciò contribuire a «sprovincializzare» la cultura italiana, si propone di coprire con Telemalta tutto il territorio nazionale (basta avere 200 miliardi), ha dichiarato che il nuovo regime di proliferazione televisiva provocherà « una diminuzione nel numero dei settimanali» mentre nel campo dei quotidiani « saranno sacrificati solo i quotidiani della sera ». Avremo dunque più pluralismo o semplicemente più concentrati e più invadenti padroni? Credo perciò che dovremmo stare attenti ai processi di disgregazione in atto, che si presentano sotto le forme più diverse e sono diversamente motivati, ma che alla fine possono essere ricondotti alla logica di un'unica strategia, che sa quello che vuole, Alle volte mi sembra che le forze che si sentono minacciate di dover cedere tutto o parte del loro potere, si comportine come gli operai che, prima dell'arrivo dei tedeschi, smontavano le macchine per rendere inutilizzabili le fabbriche. Ci può essere una strategia della disgregazione che non ha altro scopo che di distruggere quello che non si può possedere. L'unica differenza è che non stanno arrivando i barbari. Raniero La Valle

Persone citate: Bobbio, Carlo Tullio Altan, Pannella

Luoghi citati: Italia