Diagnosi lamalfiana di Carlo Casalegno

Diagnosi lamalfiana Diagnosi lamalfiana Ci sarà un consenso pressoché unanime sulla diagnosi senza indulgenze della crisi italiana, che Berlinguer ha fatto nel lungo rapporto al Comitato centrale comunista; la controversia può nascere sulle responsabilità del passato, ch'egli addossa soprattutto alla de, ma si deve rilevare che non mancano nel discorso riconoscimenti apprezzabili su errori dei sindacati e del suo stesso partito. Sul programma a breve e medio termine ch'egli propone per superare la crisi, sembrano possibili larghe convergenze. Ci sono seri motivi per discutere sia le condizioni cui Berlinguer vincola l'appoggio del pei al governo Andreotti, sia l'obiettivo comunista d'un cambiamento profondo nella società e nella direzione politica del paese; tuttavia occorre riconoscere alla linea del segretario due pregi: la chiarezza e il rifiuto della demagogia. Nella diagnosi della crisi italiana, Berlinguer ha dimostrato un pessimismo lamalfiano. Ha parlato del rischio di « catastrofe », economica e politica, se l'inflazione non è domata con misure severe e sacrifici collettivi. Ha redatto un pesante catalogo dei mali italiani, dalle distorsioni dell'economia (dove solo un cittadino su cinque pro¬ duce ricchezza) alla disgregazione della macchina pubblica, dagli egoismi corporativi alla carenza di guida politica. Ha insistito sugli aspetti morali delle crisi: il lassismo a scuola, l'assenteismo in fabbrica, la caccia a milioni di piccoli privilegi, « la lenta ma continua corrosione delle coscienze ». Ci troviamo, come collettività nazionale, in uno stato di pericolo da cui non si esce con medicine blande, né con limitati provvedimenti anticongiunturali. Il partito comunista riconosce che sono necessarie misure d'austerità, e le accetta a tre condizioni: che non abbiano soltanto effetti recessivi, ma s'inseriscano in un piano di sviluppo; che i sacrifici siano distribuiti con equità; e soprattutto che siano collegate a « un programma di trasformazione del Paese attraverso un nuovo tipo di sviluppo economico e sociale e un cambiamento della direzione politica ». Questi sono gli obbiettivi a lungo termine, « al centro dell'iniziativa comunista in ogni campo »: il governo di solidarietà democratica, con la partecipazione del pei, per creare una nuova società, di contorni peraltro mal definiti. Nei tempi brevi, il pei chiede una programmazione democratica, che rico- nosca le leggi del mercato e i compili delle imprese; rapidi interventi per i trasporti, la scuola, la sanila, la casa; e una moralizzazione della macchina amministrativa, perché i sacrifici sono più facili quando il Potere è una casa di vetro. La protesta anarcoide, le utopie rivoluzionarie e gli scioperi generali (la condanna berlingueriana appare implicita) non servono per raggiungere questi obbiettivi: il distacco dall'estrema sinistra, politica e sindacale, sembra assai netto. Al governo Andreotti, più operoso ed aperto di quelli che l'hanno preceduto, il segretario del pei offre un appoggio critica che non è identificazione, non è sostego, ma consenso a provvedimenti «che ci sembrano giusti e necessari ». E le riserve verso il monocolore possono attenuarsi, se si troveranno « nuove forme di consultazione e di collaborazione » che, senza togliere all'esecutivo le responsabilità proprie, consentano una più larga partecipazione del pei e degli altri partiti mentre si preparano e si attuano le decisioni governative. Per Andreotti è un aiuto o un cappio, un'apertura di credito o una larvata minaccia, l'accettazione d'uno stato di necessità o una conferma del « compromesso strisciante »? Forse è tutte queste cose insieme. Berlinguer ha ribadito che il pei non vuole una crisi ministeriale « oggi nefasta » (lo dice Napolitano), e non intende « lasciarsi irretire in un atteggiamento inerte di pura diffidenza »; incalzerà l'esecutivo con il vigore d'un partito « di massa e di combattimento » che vuole trasformare il Paese, ma agisce « con la mentalità di una forza di governo » e fa pesare la sua « astensione determinante ». Inutile nascondersi che il governo è, dunque, condizionato in una certa misura dal pei; ma è altrettanto vero che potrebbe trarre forza, e quindi autonomia, tanto dalla sua insostituibilità quanto da una migliorata efficienza. Si direbbe che il governo Andreotti non abbia sfruttato in pieno queste risorse. Prima delle decisioni importanti e onerose per la collettività, non può non consultare i sindacati e i partiti: ma non conviene a nessuno che annunci e revochi decisioni affrettate, assuma impegni e accetti rinvìi, tolleri dichiarazioni contraddittorie o imprudenti dei ministri. Proprio l'alleanza anomala che lo sostiene, impone al governo di essere efficiente e di assumere fino in fondo le proprie responsabilità. Lo stesso patriottismo di partito vieterebbe oggi, alla de e al pei, d'affrontare i rischi d'una crisi. Carlo Casalegno

Persone citate: Andreotti, Berlinguer, Napolitano