Torna il lino di fiandra e la biancheria fine '800

Torna il lino di fiandra e la biancheria fine '800 Novità al salone del prèt-à-porter a Milano Torna il lino di fiandra e la biancheria fine '800 Milano, 16 ottobre. Trenta ditte in calendario nella cinque giorni delle collezioni di prèt-à-porter, sfilate a Milano in due alberghi cittadini, in rivalutate hall liberty, in affollati atelier. Presenti compratori di tutte le lingue, compresi il giapponese e l'arabo, entusiasta la stampa di mezzo mondo e beninteso quella francese, qualche nome nuovo tra gli stilisti, come Cesare Sciunnach e le sue gonne di ampiezza esasperata in iuta, sacco e marrone-frate. Clamoroso arrivo, con un salto a pie pari da New York a Milano, di Geoffrey Beene, venuto a confrontare la sua crescente fortuna di creatore con tessuti italiani, con la patria di quei tessuti, a cercare la manodopera italiana, «la più qualificata che ci sia», per tradurre in un sensato prét-à porter semplice e casual, più uno stile di vestire che modelli. Milano è cresciuta di colpo come capitale della moda e il suo abito nuovo le va un po' stretto, l'egida della Camera nazionale della moda italiana non la salva dai disguidi delle sfilate concomitanti, dalla ressa paurosa, porte sbarrate e ire funeste degli esclusi alle collezioni più famose. Ferma allo show balletto, con palloncini candidi e coriandoli come a carnevale, accompagna con dischi porno teorie di fluidi abiti da monaco tibetano passato in Sangallo a far razzia di entre-deux e ricami, di gonnellone in cotone da lenzuolo, in fiandra da asciugamano. Ma recalcitra all'idea giustissima e funzionale di raccogliere tutte le sfilate in una sede naturale come quella della Fiera. Caotica e ardita, divisa fra un ruolo internazionale e un individualismo caparbio, Milano è riuscita tuttavia a fornire un'immagine della donna di primavera ben delineata in un inno al cotone, al bianco, ai tessuti rustici, alla suggestione popolare, mantenendola ugualmente distante dal folk e dai soliti revival di turno. Esile e minuta, un po' spersa nell'abito, nel blouson, nella gonna «fuori misura», avanza incontro alla bella stagione una donna che ha conquistato il diritto alla scioltezza del passo su bellissime scarpe dal tacco minimo e largo e non intende distaccarsi dal volume dell'abito, dalle scoperte esotiche, anche se la cadenza è verticale. Il bianco, il grezzo, i toni naturali della corda, della canapa sono i suoi colori non colori, anche se le tinte accese possono talora esplodere in accostamenti del più acuto pittoricismo. Laura Biagiotti usa il burroso cotone cellulare, quasi una felpa lieve e feltrosa, la fiandra di lino greggia della buona biancheria fine Ottocento per i suoi insieme di gonnona, camiciola e spolverino di maglia, il lino leggero e trasparente per gli abiti sbilenchi a trapezio sospeso alle spalle da stringhe di maglia, accompagnati da borse-federe e grandi fazzoletti-tovaglioli con frange e orlo a giorno. Beene suggerisce la tela medievale, il canovaccio per realizzare bluse sciolte e blouson da marinaio, le tasche romanticamente ricolme di margherite, Lux International impiega la vecchia tela da colare il latte nei caseifici inizio di secolo per lunghi sai ieratici e Enrica Sanlorenzo intreccia la corda all'uncinetto per vestitoni, cardigan, taglia gli abiti alla caviglia nel tessuto dei lenzuoli. Ma se il bianco accecante della sabbia degli atolli illumina le amplissime gonne di Basile a ruota libera con balze e ruches, c'è sempre una grande tovaglia grembiule di madras, portata come le donne di Portorico annodata sul bacino, ad enfatizzare il volume delle sovrapposizioni, due, tre gonne con corpino svelto, coloratissime con zafferano e giallo, felce e mango, rosa e viola. La gonna regna, più ampia che diritta e la giacca ultramascolina che talora la completa è un contrasto divertente, ironico che sta dalla parte opposta della delicata saggezza dei tailleur in lino o gabardine, ritornati alla ribalta, gonna a portafoglio e giacca smilza, d'un'unica tinta pastello o compose di tono sordo, o nitido, come da Basile il bordò con il viola, da Mila Schoen il bianco con il nero. Ci sono, da Baila, la collezione di rigorosa ricerca geometrica disegnata dal più sofisticato stilista del momento, Gianfranco Ferré, pantaloni dalle ampie tasche a drappeggio sui fianchi, appese come fazzoletti ad un cinturone da caccia, che si trasformano in abiti femminilìssimi: al posto delle cartucce pendono da uncini l'ombrellino d'emergenza, il pacchetto breve dell'im¬ permeabile estivo, quasi una serie d'oggetti-memoria dell'ormai trascorso folk. Come per caso, approfittan- \ do della stagione, la lunghezza mini scacciata dalla porta rientra dalla finestra graziosissima di diritte camicie con spacchi da ripiegare o annodare alla vita, di tunichette fantasiose che raggiungono appena la misura degli short, delle tutine pagliaccetto in seta come l'abito elegante di cui fanno parte o in maglia dì cotone, di quello che una volta | usavano le donne di campagna per rifare il calcagno alle calze di lana consumate dagli zoccoli. La voglia di mantener vivo il gusto delle sovrapposizioni, fa il resto: il pantalone che sembra una gonna, da clown, sotto una giacca da uomo come la portava Giulietta Masina ne «La strada», si restringe a fisarmonica nel più pazzo degli short: le gonnone di garza si sfilano, si annodano, diventano scialle, fazzoletto, e la donna ne esce minuta, con le gambe nude, in gonnellino e brassière, evocando la spiaggia e la sua passione per la biancheria. Quella d'un tempo, troppo bella per dormirci e basta. Lucia Sollazzo \ | j Milano. Un modello primavera-estate 77 (Telefoto)

Persone citate: Enrica Sanlorenzo, Geoffrey Beene, Gianfranco Ferré, Giulietta Masina, Laura Biagiotti, Lucia Sollazzo, Mila Schoen

Luoghi citati: Milano, New York