Alcuni aeroporti non sono sicuri? di Marco Tosatti

Alcuni aeroporti non sono sicuri? Una denuncia della Fulat Alcuni aeroporti non sono sicuri? Roma, 15 ottobre. Nubi si addensano nuovamente sull'aviazione civile italiana, almeno a sentire la Fulat, la federazione della gente dell'aria che fa capo a Cgil, Cisl, UH. E' in gioco, secondo i portavoce dell'organizzazione, la sicurezza del volo su tutto il territorio nazionale, e non è escluso che nel prossimo futuro le chiusure per «motivi tecnici» di molti aeroporti si facciano più frequenti, con evidenti conseguenze per il traffico e l'economia del settore. Il nocciolo del problema sono le «radiomisure». Per funzionare la rete aerea italiana ha bisogno di apparecchiature che da terra assistano i velivoli, in atterraggio e in decollo, e che indichino la rotta ai piloti durante il volo. Naturalmente si tratta di impianti elettronici altamente sofisticati, e la loro importanza è tale che a scadenze fisse l'esattezza dei messaggi che inviano nell'etere deve essere controllata. Questa operazione viene svolta da aerei particolarmente attrezzati allo scopo; secondo le norme Icao (l'organizzazione mondiale dell'aviazione civile) questi aerei devono avere caratteristiche «medie» rispetto a quelli che normalmente usano gli aereoporti e le aerovie interessate. I controlli spetterebbero all'Aeronautica militare, anche se le spese relative vengono addebitate al ministero dei Trasporti. Nel '75, per mantenere in efficienza il complesso sistema sono state necessarie 4322 ore di volo degli aerei «controllori»; ma non tutti erano militari, anzi. L'Aeronautica è stata in grado di svolgere il suo compito in meno della metà dei controlli necessari (2022 ore), mentre il resto del lavoro è stato fatto dall'Ati, (2300 ore) con tre «Fokker 27» ed un «DC9 S». Sin dal '71 i militari hanno dichiarato la loro impossibilità di coprire tutta l'area delle verifiche, e le hanno demandate, prima alla Federai Aviation Administration americana, e successivamente (nel '73) all'Ati, stipulando una convenzione con questa compagnia dell'Iri. L'Ati ha attrezzato i suoi aerei, investendo notevoli capitali, e specializzando circa sessanta dipendenti in questo tipo di operazioni; oltre alla messa a punto degli impianti italiani, la sua opera è stata richiesta all'estero, e secondo i sindacati solo le tariffe troppo alte pretese dalla compagnia hanno impedito uno sviluppo in questa direzione. Attualmente sono necessarie dalle 5 alle 6 mila ore di volo in Italia. All'improvviso, però, nel luglio scorso l'Aeronautica militare ha comunicato con una lettera all'Ati che la compagnia non avrebbe dovuto effettuare, negli anni '76, '77 e '78 più di 1700 ore di volo annue. Secondo i sindacati, i conti non tornano. Per la Fulat i militari sono in grado di svolgere più o meno la stessa mole di controlli dell'anno scorso, cioè 2000 ore, per di più con aerei inadeguati: «C 45» e «C 47», la versione militare dei «DC 3», che stanno scomparendo gradualmente, per raggiunti limiti di età. I sostituti, cioè i «G 222», attrezzati per questo compito, non entreranno in funzione prima del gennaio 1979. Aggiungendo le 1700 ore di volo dell'Ati, si arriva ad un totale di 3700: mancano ancora 1300 ore di volo necessarie per mantenere in efficienza il sistema di aiuti a terra. Se non le coprirà nessuno, la chiusura di alcuni aeroporti è inevitabile: infatti, secondo le norme Icao, ogni 3-4 mesi a seconda del tipo, (e con una tolleranza di 15 giorni-un mese) è necessario verificare l'efficienza delle radio-assistenze. Se la verifica non viene compiuta, la radioassistenza è dichiarata «inefficiente», con la conseguente chiusura dello scalo. Oppure si fa finta di nulla, ma ne scapita la sicurezza del volo: la Fulat afferma che da tre anni i radar italiani non sono più controllati «in volo», conti ariamente alle disposizioni; che da anni la rete di radioassistenze militari non viene controllata secondo le norme, che, addirittura, i radar della difesa Nato non sono sottoposti a verifiche e che, i ■afine, ci sono state basi aeree Nato prive delle radioassistenze minime previste per garantire la sicurezza del volo e, quindi, il funzionamento di tali aereoporti «strategici». Una situazione del genere può far pascere sospetti sgradevoli. Ha dichiarato stamane un sindacalista: «Abbiamo la sensazione che dietro la vicenda delle radiomisure ci possa essere la possibilità di un appalto a terzi di questa attività, magari ad una società creata apposta. Non abbiamo per ora una documentazione, è solo un'intuizione nostra, tenendo conto che siamo nel campo "Crociani"». E ha proseguito: «Perché si è imposto allora ad una compagnia di investire in un certo settore, se poi le si impedisce lo sviluppo? Siamo veramente di fronte ad un esempio di spreco nella spesa pubblica». La Fulat propone, invece, che l'Aeronautica militare concordi un programma con l'Ati, affidandole un certo numero di ore di volo per i prossimi anni, per un periodo di tempo tale da rendere possibile una programmazione di tipo economico, e non che la costringa a vivere alla giornata. Inoltre propone che sia evitato lo smantellamento di questo servizio da parte dell'Ati: sono stati effettuati investimenti, la compagnia può essere concorrenziale anche all'estero, la necessità di ore di volo «di controllo» crescerà sempre di più. In ultima analisi — sottolinea la Fulat — fra qualche anno si arriverà ad una divisione netta dei compiti fra militari e civili; è saggio che la compagnia sia pronta, quando verrà il momento, a prendere la sua parte di carico. Marco Tosatti

Persone citate: Crociani

Luoghi citati: Italia, Roma