Un picnic da poveri di Giovanni Arpino

Un picnic da poveri Un picnic da poveri (Dal nostro inviato speciale) Lussemburgo, 15 ottobre. Quando ci vedono arrivare, nel minuscolo Granducato (una sola strada, cento banche) sbalordiscono. Non trovano neppure più la Forza di ridere. Che diamine, cinquanta giornalisti, fotoreporter, addetti alla radiotelevisione. Più numerosi di noi, da queste parti, sono arrivati solo gli evasori fiscali, nascosti sotto targhe, sigle, recapiti molto discreti. Una villetta di due piani in Lussemburgo è capace di occultare quintali di vergognose lirette. Mentre ormai a noialtri tocca girare e misurar gli spiccioli, sempre un caffè in meno, attenti al bicchiere, lasciamo perdere II vino, ripieghiamo tutti sulla birra del poveri. Fa conto parlare del gol? Saranno sei come azzarda Capello, cinque come ha scommesso Graziani? Importa poco, secondo me. Se mai — a fine girone — arriveremo ad una valutazione di gol fatti e subiti, certo non sarà a nostro favore. L'ho detto e lo ripeto: dobbiamo battere l'Inghilterra a Roma e resisterle poi, tra un anno, a Wembley. Far conteggi da ragioniere efficiente non porta mai buono, in football, e anche Giacinto Magno, pur devoto alle cifre, mi dà ragione. Il tirassegno contro i dilettanti lussemburghesi ha valore relativo. Qualunque squadra della nostra serie C darebbe più fastidio alla Nazionale. C'è da tener conto, invece, di una possibile qualità di gioco, le prestazioni di un Mozzini o di un Antognoni, chiamati a compiti non difficili ma che saranno esaminati con occhio critico dall'intera tribù. E' un momento di jella per il gioco italiano: molta gente si è fatta male, altri accusano malanni di piccola o rispettabile entità. All'orizzonte urgono i « babau ■ delle Coppe, club dal nomi ferrigni e famosi. E' appannato persino il ricordo di Gigi Riva, che nel 72-'73, qui nel Granducato e poi durante II ritorno a Genova, Infilò sei reti da solo agli studentl-operai-dentisti lussemburghesi. L'allenatore francese Legrand che ha In cura questi vecchi ragazzi (la loro età media li vede più anziani degli azzurri) Il convoca con un colpo di telefono, chiede alle ditte dove lavorano permessi speciali (da recuperare con ore « straordinarie ■) e quasi ignora il nuovo calcio italiano. Non sa chi sia Graziani, gli importa più o meno un fico secco di Antognoni. E' rimasto fermo alle prodezze dei suoi studenti-operaidentistl, che nel marzo del 73 resistettero per ben quarantun minuti a Marassi contro lo squadro¬ ne (ma non era certo talej del buon zio Ferruccio. Per pudore, evitiamo dunque di entrare in qualsivoglia congettura critica. Questa è una frettolosa scampagnata, un picnic da poveri. Dovevamo venirvi in tram. Solo le assurdità degli accoppiamenti pallonari possono mettere sullo stesso foglio formazioni, tradizioni, strutture tanto diverse. E già commettiamo peccato a sprecar parole, anziché sogguardare il vero dilettantismo dei giovani lussemburghesi, che dal calcio non ricavano una lira. Episodio degno di ricordo: quattro anni fa, quando un nostro giocatore, a fine partita, fece per sfilarsi la maglia e scambiarla con II suo avversario diretto, secondo il solito rituale, il ragazzo lussemburghese fuggi terrorizzato. Con quella maglia avrebbe infatti dovuto giocare ancora chissà quanti anni. E non ripeto più II profilo di quel mediano schierato contro Mazzola: odontotecnico, grasso, con occhiali fermati da un cerato. Il calcio di questo minuscolo Paese è ancora cosi, e merita rispetto. Tralasciamo dunque ogni discorso serioso, anche se i «nostri» farebbero bene a non scordare certe loro ■ magre », per esempio quella consumata a Nizza. I pericoli li inventiamo anche dove non esistono obiettivamente: siamo davvero favolosi, come nemici di noi stessi. E' forse per studiare questo comportamento che quindici giornalisti Inglesi si sono scomodati arrivando fin qui, vieppiù aumentando lo stupore dei pacifici indigeni. I lussemburghesi schierano un certo Philipp ed un certo Braun: per noi potrebbero quindi giocare i famosi « bombers ■ Remington e Gillette. Onestamente non possiamo sprecare spazio prezioso nell'esame delle previsioni. Fossimo seri — come i giocatori di biliardo d'una volta, come gli atleti del pallone elastico negli anni eroici — Antognoni e Causio dovrebbero andare in campo con un braccio legato dietro la schiena, o con un piede infilato in una macchina per inaffiare le viti. Così accadeva nelle Langhe, quando si aveva la decenza di regalare un « handicap » all'avversario. Bé, si giochi e sia vendemmia, stentata o no. Peccato che Bernardux e i suol accoliti non abbiano creato un'ennesima grana per divertire la vigilia. Ma chissà che non provvedano entro domani: il nostro scalcagnato destino deve oscil lare sempre tra farsa e tragedia. Vediamoci allora questa partita senza storia: se mai gliene fabbricheremo una, sarà solo per colpa nostra. Pochi giorni fa il gioco degli inglesi contro i nazionali di Finlandia è stato definito « incoerente ». Era questo un giudizio che spesso capitò più volte sulle nostre balde schiene. Cerchiamo di correggerlo a partire da oggi, almeno rivestendo la divisa delle buone intenzioni. In questo beato Paese nelle ultime ventiquattr'ore vi sono stati annunci per sette nascite, sei matrimoni e tre decessi: un ritmo dolce, invidiabile, da René Clalr o Jacques Tati di cara memoria. Noi forsennati, invece, discutiamo dell'eterno pallone azzurro Che la storia ci perdoni. Giovanni Arpino Giancarlo Antognoni

Luoghi citati: Finlandia, Genova, Inghilterra, Lussemburgo, Nizza, Roma