Amalrik parla del pci di Paolo Garimberti

Amalrik parla del pci AMBASCIATORE ITINERANTE DEL DISSENSO Amalrik parla del pci Vorrebbe che Berlinguer criticasse Mosca - Chi sono gli scontenti dell'Unione Sovietica Roma, 15 ottobre. In Sopravviverà l'Unione Sovietica fino al 1984?, un saggio storico-paradossale scritto nella seconda metà degli Anni Sessanta, Andrej Amalrik prevedeva una guerra tra Russia e Cina tra il 1975 e il 1980 e il conseguente collasso del regime sovietico, indebolito dalla sconfitta militare e quindi più indifeso di fronte alle eruzioni del dissenso interno. Firmerebbe ancora questo scenario orwelliano, oggi che Mao e Ciu sono morti e Mosca sembra giudicare Hua Kuo-feng un possibile interlocutore per una lenta riconciliazione? «In una prima fase — risponde Amalrik — mentre in Cina è in corso una ristrutturazione del potere, è possibile un riavvicinamento tra l'Urss e la Cina. Ma, secondo me, è un fatto innaturale, quindi non può essere duraturo. La conflittualità è un modo d'essere intrinseco del rapporto russo-cinese, dunque è indelebile, anche se le forme nelle quali si manifesta possono essere diverse e non necessariamente armate». L'Occidente sappia Da quando è in esilio in Olanda (aveva chiesto il visto per un anno, le autorità dell'Urss hanno preferito darglielo per sempre togliendogli anche il passaporto sovietico), Amalrik è diventato l'ambasciatore itinerante del dissenso russo. Roma è una delle tappe di questo periplo europeo, costellato d'interviste a giornali e televisioni, di conferenze, di lezioni nelle università. «Viaggiamo bez konzà (senza fine)», dice la moglie Guyzel, una splendida pittrice tartara, che sposando Andrej, durante il primo esilio siberiano, ha sposato anche la causa dei diritti civili. Quale ruolo può svolgere un dissidente sovietico che vive in Occidente, e quale influenza può esercitare nell'TJrss? «Un doppio ruolo — risponde Amalrik —. Egli informa l'opinione pubblica occidentale sulla situazione sovietica e, stando di qua, può farlo meglio che dallTJrss, da cui è difficile comunicare e dove è perfino difficile per noi stessi essere informati. Mi sono accorto, da quando sono in Occidente, che l'opinione pubblica è assai poco informata sulla situazione sovietica. Ad esempio, a Londra ho avuto un lungo colloquio con la signora Thatcher: tut¬ to quello che le raccontavo era nuovo per lei. In secondo luogo, i dissidenti sovietici devono imparare, a loro volta, a conoscere e comprendere meglio l'Occidente, affinché la loro azione possa essere più efficace, meglio sintonizzata sull'opinione pubblica occidentale. E quello che noi facciamo di qua viene poi conosciuto in Urss attraverso le radio straniere, che sono molto ascoltate». Ma che cosa è rimasto del dissenso sovietico dopo la durissima repressione degli ultimi anni, dopo la seconda emigrazione involontaria degli Anni Settanta (Solzenicyn, Chalidze, Zhores Medvedev, Pljusc, Maksimov, Nekrasov, Sinjavskij, Neizvestnyj, per finire a Amalrik)? «Ufficialmente il dissenso esiste da undici anni nell'Urss. Il fatto che sia sopravvissuto, che faccia parlare di sé è il segno d'una vitalità che va di là dai confini sovietici. Secondo me l'eurocomunismo non sarebbe nato senza il dissenso sovietico, senza l'opera di rottura verso il conformismo prosovietico. Molti sono spariti nei lager, molti sono esiliati; ma altri hanno preso il loro posto: Sacharov, Turchi, Orlov. E néll'intelligentsija c'è tutto un lavoro, ancorché confuso, d'elaborazione, di ripensamento politico-ideologico. Ci sono forze diverse che agiscono, che pensano, ma manca l'aggregazione. E' come la bomba atomica: è composta di due parti, che separatamente non possono provocare l'esplosione, ma unite sì. Ecco, noi siamo ancora al primo stadio della bomba ». Prima di lasciare l'Urss, in luglio, Amalrik ha fatto un lungo viaggio nelle repubbliche, dal Caucaso all'Asia Centrale. Al di là degli intellettuali e degli attivisti del dissenso, esiste una presa di coscienza da parte della popolazione, dei ceti medi? « C'è uno scontento diffuso — dice Amalrik —. Però è uno scontento molto distante da una vera e propria opposizione politica. E' piuttosto una forma di mugugno perché mancano i beni di consumo, perché il potere è sempre più distante, isoiato e insensibile alla domanda che sale dal basso. Sono sentimenti che ho riscontrato perfino nell'apparato medio-basso del partito. Eppoi, nelle repubbliche, c'è il nazionalismo, l'irritazione perché tutto si decide a Mosca e l'autonomia delle repubbliche è inesistente. Ma non bisogna sopravvalutare l'importanza di questi stati d'animo: non c'è alcun rischio, o speranza, di esplosioni a breve scadenza. Il potere è ancora solido, controlla la situazione. Però, ed è un segno importante, ha avuto paura ad aumentare i prezzi dei beni di consumo: la lezione polacca s'è sentita a Mosca. Ha paura, questo duro potere, che intellettuali e popolazione trovino un dialogo, un filo diretto. Sono tutti indizi, ma il quadro complessivo è ancora oscuro ». I due socialismi Letto il discorso di Berlinguer al XXV Congresso del pcus, Sacharov mi disse che condivideva la linea del pei. Amalrik è d'accordo? Ha fiducia in Berlinguer? « E' un problema molto arduo. Non credo che Sacharov condivida al cento per cento l'impostazione del pei. Certo, il socialismo dal volto umano di Berlinguer è una forma di transizione verso un vero socialismo democratico. Però, è curioso che Berlinguer predichi il socialismo con il volto umano in Italia, ma ritenga accettabile per l'Urss il socialismo del Cremlino. Sarebbe molto utile, per il pei e per il dissenso sovietico, se il pei formulasse un'analisi critica del sistema sovietico, del socialismo di Breznev ». Il colloquio finisce su questo rimprovero e invito per il pei. Amalrik è chiamato alla televisione, dove deve registrare un dibattito: « Andrej Amalrik: il perché di un dissenso ». L'incontro (che sarà trasmesso domani sera, sabato, sul primo canale) è stimolante. Da una parte ci sono Enzo Bettiza, Arrigo Levi, Alberto Ronchey, tutti e tre corrispondenti a Mosca agli inizi degli Anni Sessanta, quando il dissenso cominciava e prendere timide forme — con le riviste clandestine Praksis e Sintaksis — sull'onda della destalinizzazione krusceviana. C'è Giorgio Bocca, autore, un paio d'anni fa, d'una critica « alzo zero » al sistema sovietico dopo un viaggio in Urss carico d'amare delusioni. E c'è lo storico Paolo Spriano a rappresentare il pei in un dialogo scomodo per un comunista. Dall'altra parte, c'è Andrej Amalrik, 38 anni, uno degli esponenti di quel gruppo d'at¬ tivisti del dissenso che, alla fine degli Anni Sessanta, tentò invano di svolgere un'azione di rottura in difesa dei diritti civili dell'Urss: finirono tutti, uno dopo l'altro, nel terribile carcere di Vladimir o nei lager della Siberia. Amalrik tornò, nella primavera del 1975, dal suo secondo « Viaggio involontario in Siberia » (così intitolò il libro, dedicato al primo soggiorno coatto tra il 1965 e il 1967). Riprese subito l'azione per i diritti civili: la Conferenza per la sicurezza europea, che doveva svolgersi qualche mese dopo a Helsinki, apriva in lui, e in molti altri, grandi speranze. Invece, nonostante le promesse che gli Stati si scambiarono in Finlandia, la repressione del dissenso sovietico non è mai cessata. Il caso d'Amalrik è emblematico. Paolo Garimberti