Vanno avanti, ma con "imbarazzo,, gli approcci tra la Cee e il Comecon di Renato Proni

Vanno avanti, ma con "imbarazzo,, gli approcci tra la Cee e il Comecon Vanno avanti, ma con "imbarazzo,, gli approcci tra la Cee e il Comecon Il Comecon chiede una maggiore cooperazione commerciale - Ma la Comunità teme l'import a basso prezzo dall'Est, e non vuole riconoscere l'egemonia sovietica sul blocco orientale (Dal nostro corrispondente) Bruxelles, 14 ottobre. La Cee, sia per ragioni politiche sia per ragioni inerenti alla sua struttura commerciale altamente protezionistica verso l'esterno, si muove molto lentamente nel negoziato per un accordo con il Comecon (il Mec comunista). Ci sono reali motivi di ordine tecnico che impensieriscono i negoziatori europei, ma questi sono resi più rigidi dalla linea di fondo della Cee, contraria a sancire l'egemonia economica sovietica sul blocco orientale. Questo atteggiamento è ben rispecchiato nelle opinioni e nelle azioni del conservatore sir Christopher Soames, vicepresidente per gli affari esterni della Commissione europea. Mosca intanto preme, forte anche degli impegni della Conferenza sulla sicurezza e sulla cooperazione in Europa liberamente sottoscritti dalla Cee. La riluttanza europea a negoziare con il Comecon potrebbe, di fatto, essere giudicata una grave violazione della Carta dì Helsinki per il settore economico commerciale. Lasciato nelle mani della claudicante Commissione europea, in corso di disfacimento per la prossima scadenza del mandato, il problema non sarà risolto. E' necessario perciò che il Consiglio dei ministri degli Esteri lo affronti subito (lunedì stesso al Lussemburgo) senza giocare sui due tavoli dei rapporti con il mondo comunista di influenza sovietica e con la Cina, una tattica che invece trova qui velleitari sostenitori. E' probabile, comunque, che il Consiglio dei ministri dia alle 14 proposte del Comecon una risposta interlocutoria. Il Comitato esecutivo del Comecon sollecita il miglioramento della cooperazione commerciale ed economica tra i due blocchi, cioè lo «sviluppo stabile e continuo» del commercio, l'applicazione mutua della clausola della «nazione più favorita», la «non discriminazione», l'abolizione delle restrizioni alle importazioni e la creazione di una commissione mista. Sono tutte richieste negoziabili, ma l'elemento politico le rende difficili da accettare. Bruxelles e le altre capitali europee forse mirano ancora (irrealisticamente se si pensa soltanto alla «dottrina Sonnenfeldt») ad incoraggiare rapporti indipendenti e bilaterali tra la Cee e i singoli Paesi comunisti, una specie di dottrina del «roti back» economico che non trova riscontro nella realta né negli impegni di Helsinki. D'altra parie, il Comecon vuole tutto e subito, concedendo poco, e ha posto il problema mediante una rozza diplomazia che risale, nel suo atteggiamento di fondo verso la Cee, a vent'annì fa, quando questo germoglio dì unità europea veniva giudicato un semplice «strumento della Nato». In pratica la Cee, accedendo alle richieste del Comecon, conferirebbe un crisma giuridico alla conferenza di Helsinki, che tale caratteristica non ha. Per la clausola della «nazione più favorita», Da Cee vuole mantenere le numerose eccezioni che le permettono di affermare a parole la sua fede nel «free trade» e in pratica di applicare un rigido protezionismo (ne è prova l'alto costo di alcuni prodotti agricoli che noi dobbiamo importare dai Paesi comunitari mentre sarebbero ottenibili a prezzi inferiori all'esterno). Per questo capitolo, però, sarebbe opportuno che il Comecon presentasse concessioni equivalenti e non giudicasse la Cee come un pozzo dal quale estrarre a buon prezzo merci, tecnologie e finanziamenti per buttarci dentro quei prodotti a basso prezzo (anche politico, come nel caso delle automobili) e talvolta di infima qualità che la sua economia produce. Il Comecon, inoltre, pare esigente quando pretende di limitare l'autonomia comunitaria nel fissare eventuali contìngenti per le sue importazioni, anche se in realtà chiede soltanto una «consultazione». Per l'estensione delle preferenze generalizzate, già concesse alla Romania e a Cuba, la Cee non vuole essere vincolata da un obbligo globale. Ci sono, infine, problemi tecnici di notevole rilievo, come i crediti all'esportazione (regolati da Bruxelles), le questioni monetarie (le monete dei Paesi del Comecon non sono convertìbili) e differenze di fondo nel concetto dei ruoli dei vari attori nelle economie dei due blocchi che complicano ulteriormente il problema. Tuttavia, la Cee è soprattutto un «mercato» ed è nel suo interesse svilupparsi in tutte le direzioni, tenendo presente che il suo commercio rappresenta per il Comecon il 25 per cento dell'interscambio globale con l'estero. Renato Proni

Persone citate: Christopher Soames, Sonnenfeldt