Chiesto l'ergastolo per i banditi di Ivrea che uccisero l'orefice: stasera la sentenza

Chiesto l'ergastolo per i banditi di Ivrea che uccisero l'orefice: stasera la sentenza La requisitoria del pubblico ministero sul delitto del Lungodora Chiesto l'ergastolo per i banditi di Ivrea che uccisero l'orefice: stasera la sentenza La massima pena detentiva a Pira, Avenoso e Pietro Cappello - Proposti 25 anni a Malivindi e quattro a Ugo Cappello - Gli imputati hanno rifiutato di assistere alle udienze - Oggi parlano i loro difensori (Dal nostro inviato speciale) Ivrea, 13 ottobre. Mai sentita tante volte la parola « ergastolo » nell'aula di questa Corte d'Assise. L'ha pronunciata per tre volte, questa sera, il P.M. Cerasoli: ergastolo per Nino Pira, 24 anni, sardo d'origine ma residente — come gli altri imputati dell'uccisione dell'orefice Claudio Blessent — a Savona, per Nicodemo Avenoso, 29 anni, p.:r Pietro Cappello, 29 anni. Venticinque anni di reclusione per Salvatore Malivindi, ventiduenne, l'autista del «commando della morte» che la sera del 29 gennaio scorso irruppe nell'oreficeria di via Cavour; quattro anni di reclusione, per furto e porto abusivo di armi, all'ultimo complice, Ugo Cappello, 24 anni, fratello di Pietro. Il processo agli assassini dell'orefice è tutto qui. Domani, in serata, la sentenza, che probabilmente non si scosterà molto dalle richieste della pubblica accusa, la quale ha trovato oggi conforto nelle arringhe dei difensori di parte civile, gli avvocati Gianni e Giorgio Oberto per il vigile Alfieri e la commessa Renza Cervino, sequestrati dai banditi, e l'aw. Chabod, rappresentante di Dino e Federico, i due figli orfani di Claudio Blessent. Un processo che si preannunciava caldo, ma che molte cose hanno presto smorzato, riportandolo nel suo alveo naturale. Si temeva l'ira della folla, ma ressa vera non c'è stata, e quindi il massiccio servizio d'ordine pubblico predisposto ieri per frenare eventuali gesti inconsulti, oggi è rientrato. Clima sereno, dunque, in primo luogo. E' così caduta nel vuoto la richiesta di spostare il processo in altra sede per « legittima suspicione », istanza avanzata dagli avvocati Borri e De Santis (difensori di Salvatore Malivindi) e illustrata a lungo dagli avvocati Perla e Coniglio, patrocinatori di Pira e Ugo Cappello. Cosi pure è caduta la carta giocata all'ultimo momento da Nino Pira, la carta cioè dell'accusa « politica ». Queste le sequenze principali dell'udienza, che è stata la più movimentata e degna di cronaca. Il processo incomincia con cinque ore di ritardo. Pietro Cappello, uno dei protagonisti della rapina all'oreficeria Blessent, dice di star male, il medico conferma una febbre a 40° che impedisce il trasferimento dell'imputato. Salvatore Malivindi, arrestato alla fine d'agosto, a sua volta, per un contrattempo, arriva tardi dal carcere di Alessandria. Sono le 14 passate quando la Corte rigetta l'istanza di legittimo sospetto. Nino Pira, a questo punto si alza, e accusa: « Non vi conosco e non potete giudicarmi. Mi sento già condannato all'ergastolo, e quindi il processo non è che una farsa. Claudio Blessent l'avete ucciso voi: potevate soccorrerlo in tempo, ma l'avete lasciato morire ». Ricusa anche il difensore, Gian Claudio Andreis, e poi chiede di andarsene. E' un suo diritto. Lo seguono gli altri, con diverse motivazioni. Avenoso: « Non ho potuto consultarmi con i difensori ». Ugo Cappello: « Ritornerò quando ci sarà mio fratello, che può testimoniare sulla mia innocenza ». Malivindi balbetta frasi incomprensibili. Il pubblico rumoreggia. Avenoso, Ugo Cappello e Malivindi si dissociano, però, dalle dichiarazioni poitiohe di Pira. L'imperturbabile presidente della Corte, dott. Bracchi, sminuzza con calma le dichiarazioni degli imputati, dettandole al cancelliere. L'udienza riprende senza scosse. La parola è ai testimoni. Arriva per primo Dino Blessent, il figlioletto della vittima. Risponde con voce rotta dall'emozione. Poche parole, gli occhi lucidi per il ricordo di una notte infame. Gli chiedono chi ha sparato al padre: « Nino Pira voleva far fuori tutti, e per primo il "vecchio", ossia papà. Ha passato la pistola a Pietro Cappello, e lui ha sparato ». E' la volta di Silvana Quagliotti, la commessa sedicenne sequestrata e rimasta per ore in balìa dei banditi. Ha riportato una ferita alla testa: « Un colpo sparato dalla polizia ». Conferma che i rapinatori, presi in trappola, minacciavano una strage. Renza Cervino, l'altra commessa: « Mi hanno sfilato l'anello di fidanzamento ». L'anello (vale un milione) non è stato più ritrovato. « Chi l'ha preso? », si informa la teste. Il vigile Alfieri racconta: « Sono entrati e ci hanno fatto sdraiare a pancia in giù. Poi ci hanno legati. Sparavano ». Quel che è successo do¬ po è storia di ieri, ben viva nel ricordo di tutti. Ecco. Da un lato ci sono i sopravvissuti, che del doporapina portano ancora addosso lo choc. Silvana Quagliotti, oggi baby sitter, deve ricorrere periodicamente alle cure di uno psichiatra: «Quel colpo alla nuca continua a farmi male, di notte ho spesso degli incubi ». Il vigile ha anche lui i nervi a pezzi. Ha spiegato il suo difensore, Gianni Oberto: « Chiediamo il rimborso delle spese sostenute per cure ». E poi c'è Dino, i più provato, il ragazzo che ha visto com'è facile uccidere e terribile morire. Dall'altra parte gli altri protagonisti, gli imputati, con la loro arroganza e la consapevolezza di non aver nulla da perdere. In mezzo, i di¬ fensori, che puntano su un solo spiraglio: strappare Avenoso, Pira e Pietro Cappello all'ergastolo prospettando la accidentalità dell' uccisione dell'orefice, la non volontà, insomma, dei rapinatori di sparare alla vittima. Gli imputati non sono stati, per la difesa, di alcun aiuto. Ieri hanno protestato, volevano Pietro Cappello in aula. Oggi Pietro Cappello è venuto, ma mancava Malivindi (Pira era assente perché del processo, come ha detto, non gliene importa). Allora, i fratelli Cappello e Avenoso hanno avuto l'ultima impennata: « Non c'è Salvatore, ce ne andiamo ». E sono usciti. Cosa la Corte? Lo sapremo domani, dopo le arringhe dei difensori. Pier Paolo Benedetto Ivrea. Da sinistra, i tre imputati: Ugo Cappello, Nino Pira e Nicodemo Avenoso (Foto « La Stampa », Ugo Liprandi) Ivrea. Dino Blessent, figlio della vittima (f. Liprandi)

Luoghi citati: Alessandria, Ivrea, Savona