Il brigadiere di Argelato da quale arma fu ucciso? di Vincenzo Tessandori

Il brigadiere di Argelato da quale arma fu ucciso? Il processo alla corte d'assise di Bologna Il brigadiere di Argelato da quale arma fu ucciso? La difesa sostiene: "Non esiste certezza che i due colpi mortali siano stati sparati da qualcuno degli imputati" - Chiesta una superperizia (Dal nostro inviato speciale) Bologna, 13 ottobre. Quando, la mattina del 5 dicembre 1974, il brigadiere dei carabinieri Andrea Lombardini cadde ucciso, ad Argelato, sotto una raffica di mitra, nessuno mise in discussione che, ad aver raggiunto il sottufficiale, fossero stati i proiettili sparati dai giovani che, goffamente, avevano tentato un «esproprio». Tale la certezza, che una perizia balistica sui proiettili, soprattutto sui due mortali, non venne neppur disposta. Eppure, quel mattino, tre armi avevano fatto fuoco: il mitra Sten, impugnato da uno dei giovani che sognavano di sviluppare anche nella rossa Emilia la «lotta armata»; il mitra Mab del carabiniere Gennaro Sciarretta, che accompagnava Lombardini nel servizio di controllo; la pistola d'ordinanza del brigadiere. Quattordici colpi raggiunsero Lombardini, in varie parti del corpo, i due mortali lo colpirono in basso alla schiena, con traiettoria inclinata dal basso in alto. Secondo l'autopsia, i fori d'entrata sarebbero stati a settanta-ottanta centimetri dal suolo: più bassi, e non di poco, dei buchi fatti nella lamiera del furgone dai colpi sparati all'interno dai giovani. Di qui il sospetto, formalmente insinuato in aula alla corte d'assise di Bologna dall'avvocato Decio Bozzini, di Parma, difensore di Claudio Vicinelli, imputato di concorso in omicidio e associazione per delinquere. L'istanza dell'avvocato si articola in vari punti e prende in esame le perizie eseguite nel corso delle indagini. «E' inammissibile che in una situazione come quella di Argelato, dove un uomo rimase ucciso dopo una sparatoria nella quale avevano fatto fuoco tre armi, si sia trascurato l'unico esame per stabilire da quali armi fossero partiti i proiettili che avevano rag giunto il sottufficiale», dice Bozzini. Dallo Sten, imbracciato, secondo l'accusa, da Ernesto Rinaldi, erano stati sparati 15 colpi; sei, hanno stabilito i periti, hanno colpito il furgone dei carabinieri dietro al quale si riparava Sciarretta. Ha osservato Bozzini: «Il brigadiere venne raggiunto da dodici colpi. Anche ammesso che gli altri nove sparati dallo Sten lo abbiano raggiunto, avanzano tre proiettili: è quindi indispensabile stabilire da quali armi siano stati sparati». L'istanza presentata da Bozzini, motivata nei dettagli, chiede anche una ricostruzione, sul posto, di quella tragica mattinata. «Noi non diciamo che ad uccidere Lombar- dini siano stati i proiettili sparati dal carabiniere Sciarretta, che si trovava alle sue spalle, ma pretendiamo di sapere con esattezza da quali armi siano partiti: è doverosa, crediamo, una precisazione del genere». Ha aggiunto Bozzini: «Sciarretta, lo ha precisato nella deposizione in aula, quando sparò le raffiche col Mab, si era abbassato, per proteggersi il più possibile. Ed anche questo dettaglio la difesa non può trascurarlo». L'iniziativa del difensore, preannunciata da una serie di domande rivolte al giovane carabiniere nel corso della sua deposizione, hanno colto di sorpresa accuse pubblica e privata. Il dottor Persico, che aveva diretto la prima fase di indagini, e pubblico ministero in aula, si opporrà alle richieste; dal canto suo il presidente della corte, dott. Giovanni Abis, sì è riservato di decidere: lo farà al termine delle deposizioni dei testi. Benché l'imputazione di «banda armata» sia cancellata dal processo, il significato politico della tragedia di Argelato viene rivendicato dai gruppi dell'area che fa capo ad «Autonomia operaia». Diceva uno dei dirigenti: «E' un episodio della lotta armata, un fatto non legato ad organizzazioni clandestine, ma spontaneo, provocato da un gruppo autonomo dì proletari: per questo si è cercato in ogni modo di sminuirne l'importanza politica, di presentare i compagni che ne sono imputati come delinquenti comuni. Questo processo è il primo contro l'illegalità diffusa che caratterizza l'area autonoma. E' significativo, in questo senso, che a rappresentare la parte civile ci sia anche un qualificato esponente del partito comunista». Vincenzo Tessandori

Luoghi citati: Argelato, Bologna, Emilia