Baumgartner e i maestri di Norimberga di Marziano Bernardi

Baumgartner e i maestri di Norimberga due mostre di arte tedesca nelle gallerie torinesi Baumgartner e i maestri di Norimberga ggFebbrile inventore di miti, esploratore di Torino barocca - Le preziose, microscopiche stampe degli allievi di Durer Fritz Baumgartner, nato 47 anni fa in Austria ma cittadino tedesco che vive e lavora a Monaco di Baviera, è di casa a Torino dove per la quinta volta dal 1967 espone a « L'Approdo » (via Bogino 17), seguito con crescente interesse dagli amatori d'arte torinesi che ricordano anche i suoi « Nuovi disastri della guerra » presentati pochi mesi fa nella Galleria Civica, e va i rie ajtre mostre al Centro culturale tedesco di Torino ed in tutte queste circostanze si parlò di lui su La Stampa, talché non sapremmo come non ripeterci. Ma sulla traccia delle bellissime pagine scritte da Lorenzo Mondo per il catalogo di questa riapparizione di Baumgartner ci sembra oggi, meglio d'altre volte, di poter individuare una componente essenziale del gusto, dello stile, del linguaggio di questo originalissimo artista: cioè la visione « barocca » nella quale prendono forma le sue metafore plastiche ed i suoi sim- bolismi. Orbene, dice il nostro collega a proposito dei dieci straordinari disegni di Baumgartner che parafrasano con le loro volute altrettanti monumenti torinesi: « Tutti i sogni e la vita inconscia di una città nata tardi sembrano adunarsi e addensarsi da ere lontane nel preminente barocco ». Perché nata tardi? Perché Torino, che pur già esisteva da secoli, prende appunto il suo tipico volto architettonico nel clima dell'epoca barocca, e in questo ritardo stilistico si deve scorgere la fonte di tutte le sue ambiguità, delle sue contraddizioni tra passato e presente (l'avvenire non lo possiamo prevedere): si devono individuare — seguita Mondo — « le sue radici antiche che nessuna audacia innovativa ha saputo sradicare, la divergenza affascinante e inquietante tra modernità e provincialismo ». Il prodigioso virtuosismo manuale del baroccheggiante disegno di Baumgartner appare dun- | que in perfetta sintonia con i n a e é a l , a e : i a à e o n- un'immagine di Torino ancor popolata di fantasmi barocchi, ancora stregata dai miracoli del Guarini. Questa « Torino magica » figurata, anzi trasfigurata unicamente col bianco e nero, con una dialettica di luce ed ombra d'incredibile maestria, persino meglio dei dipinti accesi di splendenti colori, ci dà, a parer nostro, l'esatta misura dell'arte di Baumgartner, febbrile inventore di miti e di utopie, ora il mito solare d'una Grecia omerica, ora l'utopia di un Eden sede di «iniziazioni dionisiache». Sensualità ed intellettualismo s'alternano, si fondono nelle sue figure sempre misteriosamente emblematiche, che rasentano l'allucinazione formale stilizzandosi in ondose cadenze decorative che talvolta prendono a prestito, nei contorni, le eleganze lineari di Matisse. ★ ★ Mostra preziosa, raffinata a «L'Arte Antica» di via Volta 9. Vi sono riunite circa 150 incisioni — silografie e bulini — di Albrecht Altdorfer (1480-1538), Hans Sebald Beham (1500-1550), Jacob Binck (c. 1500-1569), Georg Pencz (c. 1500-1550), del Monogrammista IB (attivo 1523-1530), di Barthel Beham (1502-1540), Heinrich Aldegrever (1502verso 1558), detti i «Piccoli maestri di Norimberga » non tanto — avvertiva Ferdinando Salamon nel catalogo della grande mostra dell'incisione europea presentata a Torino nel 1968 — perché a Diirer si ispirarono, «quanto per il piccolo formato delle loro stampe». E addirittura microscopiche, infatti, sono alcune che si vedono a «L'Arte Antica», delle dimensioni press'a poco di un francobollo, per esempio il bulino « Putto sul delfino » di Barthel Beham che non supera i 33 millimetri nel maggior lato. Anche quando trattavano la silografia, come di preferenza l'Altdorfer, questi incisori riusci¬ vano a comporre scene popolate di personaggi in spazi minimi con un intaglio di estrema finezza. Usando poi il bulino la minuzia dei particolari, la caratterizzazione delle figure, gli sfondi paesistici, giungevano a nitidezze sorprendenti su tanto esigue superfici di legno o di metallo. E' chiaro che a tale acutezza disegnativa non si poteva pervenire che con un lungo esercizio applicato alla pratica dell'oreficeria, ed è il caso dell'Aldegrever, di cui vediamo nella mostra alcuni splendidi bulini destinati a decorare dei foderi di pugnali; ma in genere queste stampe piccolissime erano opere d'arte fine a se stesse come quelle di più ampio formato, narravano storie sacre e profane a un pubblico vastissimo accendendo, meglio che la parola scritta, la sua immaginazione. Marziano Bernardi