Quali sono i "lacci e lacciuoli,, che frenano lo sviluppo industriale di Mario Salvatorelli

Quali sono i "lacci e lacciuoli,, che frenano lo sviluppo industriale Che cosa dicono gli industriali sulle difficoltà del Paese Quali sono i "lacci e lacciuoli,, che frenano lo sviluppo industriale Costo, durata e mobilità del lavoro, fiscalità, costo del denaro, procedure amministrative sono gli aspetti naturali dell'attività delle imprese, ma che diventano innaturali quando ne ostacolano l'andamento Roma, 9 ottobre. Le misure decise dal governo, e le altre in programma, seguono una logica economica che non è di espansione, ma neppure di deflazione indiscriminata, di repressione dei con- | sumi fine a se stessa. Si potreb- ! be definire una «politica di contenimento» quella scelta da Andreotti: contenimento del tasso d'inflazione, del passivo dei conti con l'estero, dei disavanzi delle amministrazioni centrali e locali, e delle aziende di servizi pubblici. Se dal contenimento potrà scaturire una ripresa economica più solida e duratura, come la compressione di una molla troppo allentata può «immagazzinare» elasticità per un nuovo slancio, lo si potrà vedere in un secondo tempo, che si spera a breve scadenza. «Non riesco a concepire un sistema economico che possa rilanciare gl'investimenti deprimendo i consumi», ho sentito dire giorni fa a Milano da Nino Andreatta, professore di economia e senatore democristiano. E Guido Carli, presidente della Confindustria, nel dibattito televisivo di giovedì sera, ha previsto che nel 1977 avremo ancora una flessione. Sarebbe, per gl'investimenti, il terzo anno consecutivo, un «fenomeno» mai accaduto negli ultimi trent'anni, né forse in questo secolo, guerre escluse. Si può parlare, dunque, di «economia di guerra»? In un certo senso lo è, anche perché non da oggi si afferma che ormai le guerre si combattono sui campi dell'economia, e non su quelli militari. Ma limitiamoci alla politica di contenimento e ai suoi tre obiettivi, di cui forse il più importante, certo quello che può e dev'essere raggiunto per primo è il riequilibrio della bilancia commerciale, ottenuto spostando verso l'estero una parte delle risorse assorbite attualmente dai consumi interni. Non si tratta solo di aumentare le nostre esportazioni, ma anche di ridurre le importazioni, e non tanto per l'effetto «negativo» di una minor richiesta di materie prime e semilavorati necessari alla nostra industria trasformatrice, quanto per l'effetto «positivo» di sostituire prodotti finiti importati con analoghi prodotti «fatti in casa». Per attuare questo trasferimento di risorse e questa sostituzione, cioè per vendere agli altri Paesi più di quanto compriamo da loro, occorre essere competitivi: per qualità, prezzi, distribuzione commerciale, assistenza tecnica, con i prodotti stranieri. I nostri imprenditori non lasciano cadere la sfida, ma chiedono di essere li- berati dai «lacci e lacciuoli che impacciano l'attività delle imprese», come ha scritto il loro rappresentante, Guido Carli, presidente della Confindustria, in una recente «lettera» a questo giornale. Non solo, ma senza questi impacci, essi sono convinti che sarebbe possibile raggiungere oggi, in questo mo| mento, non domani, il pieno impiego in Italia. Il condirettore generale della Confindustria, Alfredo Solustri, mi anticipa i primi risultati di un'inchiesta che la Confederazione degli industriali privati italiani sta compiendo tra i suoi associati su questo argomento. Solustri distingue tra vincoli che derivano da leggi o norme vigenti, e vincoli che de¬ rivano dal comportamento del- | le parti sociali. Un esempio dei 1 primi, il costo del denaro, il i più alto d'Europa; un esempio dei secondi vincoli, le giornate I perdute per conflitti di lavoro | ogni mille dipendenti dell'indù- i stria, che nel 1974 sono state i 1800 in Italia, contro 250 in Francia e 60 nella Germania Occidentale. • COSTO DEL DENARO — Costo, durata e mobilità del lavoro, fiscalità, costo del denaro, procedure amministrative, sono tanti aspetti naturali, indispensabili, dell'attività della imprese e del mondo nel quale agiscono, ma diventano «lacci e lacciuoli», sono causa di strangolamento quando cessano di essere oneri propri per diventare impropri, quando ad essi si mescolano costi e vincoli che nulla hanno che fare con quell'attività d'impresa. Solustri chiarisce: «E' evidente che quando il tasso di sconto è al 15 per cento, non si può avere un "prime rate" (il costo del credito per i clienti primari, n.d.r.) del 6,75 per cento, quale si ha in Germania, e neppure del 12,5 per cento, come in Olanda. Quello che, però, potremmo pretendere è che il costo del credito non si allontani troppo dal tasso di sconto, per ejjetto dei vincoli che lo Stato impone al sistema bancario e che, rendendo il costo del credito molto caro, rispetto alla volontà espressa dalle autorità politiche e mone- (arie attraverso il tasso dì sconto, diventano oneri impropri per le imprese che ricorrono al credito». Il costo del credito, infatti, è in proporzione inversa alla percentuale di depositi che le ban che possono impiegare, cioè :mB™»fll.e nain che le hanche ""Prestare. Uato che le Dancnc pagano un interesse sul totale dei depositi, maggiore sarà la parte di questi depositi dispo nibilc per il credito, e minore sarà la differenza del costo del credito sia con il tasso di sconto, sia con gli interessi pagati sui depositi. • STRUTTURA DEL COSTO DEL LAVORO. «La nostra linea — dice il Condirettore della Confindustria — è abbastanza chiara. Gli oneri sociali che l'industria paga non solo in funzione dei propri lavoratori, ma anche di quelli che non sono occupati nell'industria, sono oneri impropri, che dovrebbero essere pagati dagli altri, o dall'intera collettività, come avviene all'estero». Cita cinque oneri impropri e l'incidenza di ciascuno di essi ogni 100 lire di retribuzione del lavoratore. Li riportiamo, mettendo tra parentesi l'incidenza: tubercolosi (2,1 lire ogni 100 di retribuzione lorda), tutela delle lavoratrici madri (0,53), contributo ordinario disoccupazione (1,31), prestazioni sanitarie assicurazione malattia (10,85), solidarietà lavoratori agricoli (0,58). Totale: 15,28 lire ogni 100 di retribuzione, destinate a coprire prestazioni e servizi che in parte non riguardano l'industria. Un altro esempio: per l'Inps (Istituto nazionale previdenza sociale) e per l'Inani (Istituto nazionale assicurazione malattie), l'industria paga, sempre in rapporto alle retribuzioni, il 52,40 per cento, il commercio solo il 46,43 per cento. Le prestazioni sono identiche: qual è il motivo di questa differenza? Solustri fa altri esempi come gli assegni familiari, a totale carico dello Stato in Gran Bretagna e Irlanda, in Danimarca, in Germania, come la disoccupazione, che è carico dello Stato in Francia e in Lussemburgo. «Questi esempi — mi dice — sono fatti per dimostrare che quando noi produciamo, ogni unità di prodotto italiano è carica di questi oneri, e deve fare concorrenza con l'analoga unità di prodotto francese, tedesca, inglese, che invece non ha questi oneri. Si può obiettare che qualcuno deve pur pagare. D'accordo, ma la collettività paga attraverso le tasse, per esempio con l'Iva, ma l'Iva viene scaricata all'esportazione, quindi l'industria esportatrice non paga». Mario Salvatorelli

Persone citate: Alfredo Solustri, Andreotti, Costo, Guido Carli, Nino Andreatta, Solustri