L'ombra delle multinazionali dietro la guerra dei coloranti di Mario Deaglio

L'ombra delle multinazionali dietro la guerra dei coloranti L'ombra delle multinazionali dietro la guerra dei coloranti L'industria alimentare è gravemente colpita dalla campagna allarmistica - Finora né assoluzione, né condanna per i prodotti sotto accusa - Incriminato anche il vecchio "amaranto" La recente decisione del Ministero della Sanità di proibire l'uso di dieci coloranti per alimenti, in armonia con le direttive della Cee, ha dei risvolti che vanno ben al di là del campo puramente sanitario. Se è vero che essa si inquadra in una mutata sensibilità dell'opinione pubblica nei confronti degli alimenti, è altrettanto vero che vi sono molti interessi economici in gioco ed una battaglia senza esclusione di colpi per il controllo di questo settore della chimica. I coloranti alimentari ammessi in Italia e negli altri paesi della Cee erano, fino a poco fa, trentuno. Ora è stato proibito l'uso di dieci di questi coloranti, non com'è stato erroneamente scritto, perché sia dimostrato che sono nocivi, ma perché non è stato possibile dimostrare in maniera definitiva che sono innocui. Con questa esclusione si riduce il «margine di manovra» delle industrie che usano coloranti, ma è ancora possibile, impiegando prodotti ammessi al posto di quelli incriminati, ottenere gli stessi colori di prima. All'orizzonte, però, vi sono nuove limitazioni. Per altri sette coloranti, dichiarati innocui dall'Organizzazione | Mondiale della Sanità, la Cee ha richiesto ulteriori studi. Se gli studi non saranno completati entro due anni — ed è poco probabile che lo siano perché si trovano nelle fasi iniziali e richiedono molto tempo — anche questi coloranti saranno proibiti. A questo punto l'equilibrio dei colori si romperà: sarà ancora possibile ottenere dei colori gialli, ma diventerà molto difficile usare i rossi ed i blu. Il principale colorante rosso permesso, l'eritrosina, dopo un po' scolorisce; l'indigotina, che rimarrebbe l'unico colorante blu autorizzato, diventa gialla alla luce del sole. Sembra una cosa da poco, eppure non è così. Alcuni prodotti vengono venduti proprio per il loro colore. Questo è vero soprattutto per il rosso: un'intera categoria di bevande, dagli aperitivi agli analcolici hanno fatto del rosso il loro distintivo; il rosso è tradizionalmente usato da moltissimo tempo per gli insaccati e nell'industria dolciaria; la proibizione potrebbe facilmente estendersi ai cosmetici, come è già successo negli Stati Uniti e colpirebbe i rossetti e le ciprie. In sostanza, alla colorazione rossa dei prodotti risultano direttamente collegati, in un modo o nell'altro, nella sola Italia decine di migliaia di posti di lavoro e prodotti per centinaia di miliardi di lire, buona parte dei quali esportati. II problema della carenza di coloranti rossi sta diventando acuto in tutto il mondo. Negli Stati Uniti è in corso una vera e propria battaglia a proposito del principale di questi additivi, l'amaranto. Si tratta di uno dei coloranti sintetici più antichi, estratto dal catrame, ed usato nel commercio da più di settant'anni. Soggetto ad innumerevoli controlli chimici e tossicologici, ne era stata ripetutamente accertata l'innocuità. All'inizio di quest'anno la Food and Drug Administration, il severissimo ente americano che controlla medicinali e ingredienti alimentari, l'ha però proibito. L'amaranto causerebbe il cancro. Fin qui, tutto regolare. Se non che sono emersi particolari curiosi. In primo luogo, la Food an Drug Administration ha agito su istanza di uno dei giganti della chimica, la Allied Chemical. Si tratta della stessa società che è stata condannata un paio di giorni fa all'astrono¬ mica multa di undici miliardi di lire per inquinamento. La Allied Chemical aveva presentato alle autorità alcuni studi sovietici da cui risultava la pericolosità dell'amaranto. Si dà il caso che la stessa società avesse brevettato un altro colorante rosso, ammesso negli Stati Uniti, che si chiama «rosso 40» o «rosso allura». La Allied Chemical si avvia così al monopolio dei coloranti rossi in America, e potrebbe cercare di estenderlo all'Europa. La Cee ha finora vietato il «rosso 40 », perché l'innocuità non sarebbe dimostrata ma non si può escludere che nuovi studi modifichino il giudizio; passata l'ondata di ostilità ai coloranU presso l'opinione pubblica (in Francia è stata organizzata dalle associazioni dei consumatori una vera e propria campagna di boicottaggio), questo potrebbe diventare l'unico «rosso» permesso. A questo punto si è scatenata la battaglia tra grandi società. Gli altri produttori americani di coloranti rossi, ed in particolare Warner Jenkinson e Monarch Nugrape, sono ricorsi in tribunale contro le decisioni sanitarie. Un «esperimento definitivo» ha avuto strani inconvenienti tecnici per cui le cavie cui era stato iniettato l'amaranto sono state analizzate snlo in stato dì avanzata pvtrf.fazione. Nel frattempo il Canada ha proclamato che l'amaranto è innocuo. Per contro molti governi europei, tra cui la Francia e la Svezia, ne hanno limitato l'uso. La battaglia è ancora in corso, a suon di perizie e di citazioni ed il suo esito appare molto incerto. L'Italia è solo una pedina, un mercato di sbocco nel grande gioco dei coloranti: si tratta di uno di quei redditizi settori della chimica secondaria in cui la nostra industria non è mai riuscita ad entrare in forze. Tra le grandi imprese chimiche italiane, la sola Montedison produce, ed in piccola quantità, coloranti per alimentivi sono circa trenta piccole imprese specializzate che però producono prevalentemente coloranti naturali, di impiego limitato. La maggior parte del mercato italiano è rifornita dall'estero, ed in particolare dai grandi della chimica mondiale; oltre alla Allied Chemical, sono attivi sul mercato italiano l'inglese lei e la tedesca Hoechst, ed altre società dal grande nome come la Bayer. In questo modo l'industria alimentare italiana risulta quasi presa in ostaggio. Rischia così di vedere aggravata la crisi strutturale, in cui si dibatte da tempo e che sta venendo alla luce in queste settimane nel settore dolciario con la vertenza dell'Unidal. E questo perché potrebbe venir privata entro breve tempo di ingredienti, non certo dimostrabilmente dannosi, e finora considerati quasi del tutto innocui -uolle dosi appropriate, sui quali, bene o male, ha costruito una parte notevole del proprio successo commerciale. Essa sconta così la sua scarsa organizzazione e per alcuni settori ed alcune imprese il futuro rimane condizionato a qualche esame tossicologico compiuto in lontani laboratori. Anche la nuova coscienza del pubblico sui problemi dei coloranti alimentari rischia di essere strumentalizzata, di giocare a vantaggio di questo o di quel grande della chimica. Mario Deaglio

Persone citate: Warner Jenkinson