"Li portai in Svizzera ma non li conoscevo" di Vincenzo Tessandori

"Li portai in Svizzera ma non li conoscevo" Processo per i fatti di Argelato "Li portai in Svizzera ma non li conoscevo" Uno solo degli imputati parla e ammette di aver favorito l'espatrio di quattro "brigatisti" (Dal nostro inviato speciale) Bologna, 7 ottobre. «Espropri» le rapine politiche, cioè come forma di sovvenzione per la stampa di controinformazione. Se n'è parlato oggi in assise a Bologna dove si tiene il processo per l'uccisione, ad Argelato, del brigadiere dei carabinieri Lombardini. Ma i termini usati non sono andati oltre le semplici illazioni. La dichiarazione più completa è di Stefano Bonora, l'autista del furgone bloccato dal sottufficiale in quel mattino di dicembre di due anni fa e dal quale partì la raffica mortale. Aveva dichiarato il giovane un mese dopo l'arresto: «Il bottino era destinato ad iniziative politiche, in favore di qualche gruppo di autonomia operaia nella zona industriale del Milanese. In particolare si trattava di appoggiare iniziative editoriali ». Queste iniziative, afferma nella requisitoria scritta il pubblico ministero Persico, erano «in particolare il tentativo di conquistare un'area di diffusione al periodico Rosso di Milano». Incaricato dell'organizzazione, a Bologna, secondo l'accusa, era Maurizio Sicuro. E' stato il primo imputato a piede libero ad essere ascoltato. E' accusato di associazione a delinquere e favoreggiamento per avere agevolato la fuga in Svizzera di Bartolini, Cavina, Franciosi e Rinaldi. «Respingo le imputazioni perché possono essere comuni a migliaia di persone non imputate in questo processo», ha detto. E ha continuato: «La mia è stata un'attività politica simile a quella di molti altri giovani, non è andata oltre». Il presidente gli ha contestato le attività per Rosso: lo diffondeva, evidentemente lo leggeva, un giorno dell'inverno scorso era anche stato fermato dalla polizia mentre ne trasportava numerose copie sull'auto. «Era roba in libera vendita. E poi, nel periodo in cui mi vengono mosse le accuse, ero militare e non mi era quindi consentito svolgere attività politica». Sulla fuga dei quattro ricercati oltre confine le uniche notizie le aveva apprese dai giornali. Secondo imputato a piede libero uno studente modello: con ammirazione il presidente ne ha scorso il libretto universitario. Si chiama Alessandro Bernardi, ha accuse di associazione per delinquere e furto d'auto. Ha negato di aver fatto parte del gruppo, anzi neppure ne aveva sospettato l'esistenza. Non ha idea di come siano potuti finire fra i suoi libri tre libretti di circolazione di auto rubate. La strada dei quattro per la Svizzera passò da Milano secondo l'accusa, Giorgio Solbiati, ragioniere, impiegato nella segreteria del ministro Marcora, e Maria Bruschi, un'insegnante di tecnologia grafica, avrebbero dato ospitalità ai fuggiaschi. Negano: conoscevano solo Cavina, ma in modo superficiale. Chi invece non ha negato quasi niente è Francesco Passera, un impiegato tecnico che vive presso Luino, a due passi dal confine. Con tono sincero ha raccontato: «E' vero, ho aiutato quattro persone ad andare di là, in Svizzera, ma i loro nomi proprio non li sapevo. Non li avevo mai visti e ignoravo che cosa avessero fatto. Me lo aveva chiesto un cittadino svizzero, Gian Luigi Galli, che conoscevo da molti anni: mi disse se volevo aiutare dei giovani che avevano seccature con l'ufficio politico. Avessi saputo di cosa si trattava non avrei mai accettato». Non si sarebbe, insomma, mai messo contro la legge, lui, marxista convinto e praticante, come si definisce, ma « conosciuto in paese come unua persona perbene, tant'è vero che canto nel coro della parrocchia ». Ha poi dichiarato: « Ho fatto per qualche anno lo spallone, quello che porta la bricolla con le sigarette, tanto per arrotondare ». Vincenzo Tessandori