A pezzi dopo Seveso il mito della Regione di Alfredo Venturi

A pezzi dopo Seveso il mito della Regione S'è dimesso il presidente Golfari A pezzi dopo Seveso il mito della Regione (Dal nostro inviato speciale] Milano, 6 ottobre. C'era un assessore da sostituire perché eletto al Parlamento; c'era un posto in giunta chiesto dai socialdemocratici come compenso per quello che già avevano, ma che poi era passato ai socialisti con l'assessorato e tutto, il «transfuga» Peruzzotti; c'era il gruppo socialista che voleva un compagno di più lunga data sulla poltrona del transfuga medesimo. C'erano, insomma, nel governo regionale della Lombardia, le condizioni del «rimpasto». A questo punto si trattava di stabilire chi del rimpasto avrebbe dovuto occuparsi. I quattro partiti che già sorreggevano la giunta dall'interno, vale a dire democristiani, socialisti, socialdemocratici e repubblicani, o anche, accanto a costoro, quel partito comunista che formalmente è fuori dal governo lombardo, ma che in pratica ne ha sin qui condizionato l'esistenza, dall'assemblea e dalle commissioni, secondo la formula della «giunta aperta»? Su questa alternativa è scoppiata la grana, che ha portato, la notte scorsa, alle dimissioni di Cesare Golfari, e della sua giunta. In pratica, è lo stesso concetto di «giunta aperta», termine considerato restrittivo dagli oppositori, che preferiscono parlare di «minicompromesso storico», che viene messo in discussione. No alla partecipazione dei comunisti alle trattative per il rimpasto, tuonano i repubblicani Bucalossi e Moscheri, incuranti del fatto che il loro rappresentante al consiglio regionale, Olcese, è invece quanto mai «aperturista». No ai patteggiamenti col pei, rilancia Gino Colombo, assessore democristiano agli affari generali, uno dei notabili che il giugno scorso vennero cancellati dalle liste elettorali dopo la polemica «rivolta della base». E' stato proprio di fronte a questa «convergenza anticomunista» di una parte del pri e di una parte della de che Golfari ha scelto la via delle dimissioni, illustrandola con la necessità di un chiarimento generale. Questi i fatti, ai quali si deve aggiungere un commento critico dei comunisti, che parlano di «crisi al buio». E' evidente che, dietro le difficoltà del governo regionale lombardo, c'è, sul piano strettamente politico, il peso di due risultati elettorali che, in qualche misura, sono contraddittori. Il 15 giugno del '75 il primo rinnovo delle assemblee regionali vide un'impetuosa avanzata della sinistra, di cui la «giunta aperta» a Milano è stata una delle conseguenti caratterizzazioni politiche. Il 20 giugno scorso le elezioni del Parlamento, se da un lato hanno confermato la tendenza dell'anno precedente, dall'altro hanno visto manifestarsi in seno alla demoorazia cristiana una più accentuata pressione anticomunista. Si pensi alle valanghe di voti ottenuti, qui a Milano, da candidati esplicitamente ostili al pei come De Carolis o Ciellino Borruso. In questo senso, il 20 giugno corregge il 15 giugno, e l'atteggiamento di Gino Colombo sconta questa correzione. Il fatto paradossale è che tutto questo potrebbe portare proprio ad una giunta rossa in Lombardia, numericamente possibile; e il fatto più paradossale ancora è che, della giunta rossa, pei e psi non ne vogliono sapere, per evidenti ragioni di contrasto col «quadro politico nazionale». Ma di questi paradossi, come ben sanno gli osservatori stranieri, la politica italiana è tradizionalmente intessuta. Altro fatto di rilievo, dietro questa crisi, la profonda insoddisfazione, se non la cocente delusione, per le «speranze tradite» dall'esperienza regionale. Non c'è dubbio che qui a Milano, dopo Seveso, il mito della regione è in pezzi. Si è visto, attorno a quella tragedia, un organismo regionale incompetente, impotente, inefficiente. La formula della «giunta aperta» ha privilegiato il ruolo delle commissioni consiliari, mortificando quello dell'esecutivo. L'attività si è cosi paralizzata. Si dice che Golfari aspiri ad un seggio nel parlamento europeo. Poiché è prevedibile che nel '78 toccheranno, alla de lombarda, due seggi sicuri e un terzo incerto a Strasburgo, e che potranno scendere in lizza uomini come Marcora, Bassetti, Granelli, è chiaro che Golfari non può presentarsi al giudizio degli elettori e dei parlamentari europei con un «curriculum» così poco lusinghiero. Di qui, secondo un'interpretazione abbastanza diffusa, la decisione di smuovere le acque. Quali le prospettive? Sono tre, sulla carta: la giunta rossa fra comunisti e socialisti, che come s'è detto incontra la resistenza degli stessi interessati, una nuova giunta quadripartita con l'appoggio esterno del pei, e qui si tratterebbe di risolvere il problema della partecipazione comunista alle trattative sul rimpasto; una giunta «costituzionale» dalla de al pei attraverso i partiti minori. Quest'ultima ipotesi sembra sorretta dal desiderio diffuso proprio fra gli avversari più accaniti del pei (il che è un altro dei paradossi che infiorano questa vicenda) di vedere i comunisti assumere direttamente la propria parte di responsabilità. Alfredo Venturi

Luoghi citati: Lombardia, Milano, Seveso, Strasburgo