Un regime sempre più fragile

Un regime sempre più fragile Un regime sempre più fragile Dall'ottobre del 1973, quando il prem/er-dittatore Kittìkachorn fu cacciato e sostituito da un governo democratico, la Thailandia viveva In un clima di precaria libertà. E' vero che II « pluralismo » era garantito da ben quaranta partiti politici dalla destra all'estrema sinistra, che gli istituti fondamentali di un regime democratico erano esistenti e funzionanti, (elezioni comprese); altrettanto certo, però, che il governo di Bangkok riusciva sempre meno a contenere la ondata di violenze che insanguinava il Paese. Il punto > più caldo • era l'ambiente studentesco di Bangkok, agitato dallo scontro sempre più cruento tra partigiani del deposto dittatore e militanti del movimenti di sinistra. Quando il governo di Seni Pramoj autorizzò qualche settimana fa, il rientro nel Paese di Kittìkachorn, sia pure sotto le vestì di monaco buddhista, furono molti gli osservatori ad avvertire nella decisione un segno di debolezza del premier che poteva aprire la strada ai più preoccupanti sviluppi. Il colpo di Stato di ieri — ovviamente giustificato con il necessario ristabilimento dell'ordine dopo scontri e atrocità tra le opposte fazioni — ha confermato la fondatezza dei timori. Che il sessantenne ammiraglio Sangad sia l'uomo forte del momento è difficile crederlo; più verosimile l'ipotesi che si tratti del leader formale d'una « restaurazione » che si giustifica ufficialmente su motivi interni, ma che in realtà è fondata sulla posizione internazionale del Paese. Premuta a Nord e a Oriente dalla vittoria comunista nella penisola indocinese, la Thailandia, strettamente legata agli Stati Uniti, ha cercato un difficile equilibrio tra posizione filo-occidentale e nuova realtà del Sud Est asiatico. Nel '75 ha riconosciuto la Cina, poi ha tentato di stabilire relazioni amichevoli con i nuovi regimi di Laos, Cambogia e Vietnam: ardua impresa con la presenza delle basi americane dalle quali partivano i bombardieri pesanti durante la guerra del Vietnam. Pramoj chiese con insistenza a Washington di sgomberare le basi e di ritirare i cinquantamila militari e tecnici statunitensi. Dal 20 luglio di quest'anno in Thailandia rimanevano 270 « tecnici »: il governo americano aveva accolto la richiesta di Bangkok, forse anche per non turbare la positiva evoluzione del rapporti con la Cina, ovviamente interessata all'area mondiale cui la Thailandia appartiene. Che il > golpe - di ieri preluda ad un ritorno degli americani nel Paese è almeno prematuro affermare. Ma II « segno « degli avvenimenti appare comunque piuttosto chiaro. r. s.