Tennis, tennis uber alles di Vittorio Gorresio

Tennis, tennis uber alles Tennis, tennis uber alles Lo sport e non la religione — riconosciamolo una buona volta — è il vero oppio dei popoli. Naturalmente, intendo lo sport quale esiste, e vale a dire come spettacolo offerto a folle di insani che hanno perso persino la vergogna di riconoscersi appestati: tifosi, infatti, essi si chiamano da sé. Se fosse invece un esercizio praticato per cultura fisica, ispirato al concetto dei romani antichi secondo cui la mente deve essere albergata in un corpo sano per rimanere sana essa stessa, non avrei da obiettare. E ugualmente mi piace l'altra sentenza latina che additava al disprezzo colui che non avesse coltivato né l'istruzione né il nuoto: « nec didicit litteras nec natare ». Ma non mi piace la distorsione dello sport a spettacolo, la conseguente infatuazione degli spettatori, e tanto meno la strumentalizzazione di qualche gioco, esercizio o prodezza a fini trascendenti. Condivido l'opinione del poeta Eugenio Montale, forte nuotatore in gioventù, adesso senatore a vita e Premio Nobel 1975 per la letteratura: «Lo sport è accettabilissimo se praticato a livello dilettantistico. Quando diventa un commercio e un'industria si trasforma in un'attività che dovrebbe essere abolita ». Mi piace anche il giudizio di Giorgio De Chirico. Il grande pittore che da ra¬ gazzo faceva molta ginnastica e tirava di scherma: « Il calcio è noioso e monotono. Così come il tennis, che trovo addirittura comico. Che senso ha vedere due uomini grandi e grossi che faticano e sudano per rincorrere una pallina? ». Sono dichiarazioni di un anno fa, raccolte da Lamberto Artioli per un'inchiesta sui rapporti fra cultura e sport, che il Corriere della Sera cominciò a pubblicare il 2 dicembre 1975. Non hanno perduto nulla della loro validità e mi sembra giusto recuperarle in questi giorni di surchauffe, cioè della tensione eccessiva determinata dal cosiddetto « caso Cile ». Si sa di che si tratta: andare o non andare a Santiago per disputarvi l'ultima partita valida per l'aggiudicazione della Coppa Davis, massimo trofeo che si può conquistare con il tennis. Gli appassionati di queste esercizio che De Chirico giudica comico non hanno dubbi: bisogna andare in Cile, e fosse pure a costo di rendere un servigio a Pinochet, perché la Davis ha un'importanza incalcolabile, comunque superiore ad ogni possibile cons'.it razione politica, mor^, ideale e sociale. Tennis, tennis, ueber alles: sulle note della musica di Haydn negli ultimi giorni siamo stati rintronati da questo ritornello stupido, e non solo da parte di quanti nella.-sport hanno trovato — direbbe Montale — il loro commercio e la loro industria, ma anche di persone per altri versi stimabilissime, che esercitano con lode mestieri ben più nobili, il giornalismo per esempio. Tra noi stessi, Aldo Rizzo ha sostenuto su La Stampa di venerdì 1 ottobre che andare in Cile è giusto e quasi necessario, anche se Pinochet dovesse poi sfruttare la presenza dei nostri campioni nel suo paese come un riconoscimento dell'Italia al suo regime. « Così potrebbe far credere Pinochet. Può darsi, ma mi sembra francamente eccessivo », ha scritto Rizzo che è un esperto di questioni internazionali. « In ogni caso — ha proseguito — pur non riconoscendo la Giunta, non abbiamo rotto le relazioni diplomatiche fra Stati. E allora, se proprio si vuole non avere nulla a che fare coi cileni, bisognerebbe rompere anche quelle ». Quando si dice la passione sportiva: è veramente più che l'amore, è un travolgimento superumano alla Corrado Brando (cfr. la tragedia in due atti in prosa di G. D'Annunzio, rappresentata la prima volta nel 1906 da E. Zacconì) ed esso in Rizzo mi stupisce perché egli è accorto e cauto e sensibilissimo ai problemi degli interventi e delle assenze. Nel febbraio di quest'an¬ no, per esempio, Rizzo era incerto sull'opportunità che Berlinguer andasse a Mosca per il XXV Congresso del pcus: « Ci si chiede anzitutto — pubblicò su La Stampa del 24 febbraio — se la presenza a Mosca del numero uno del comunismo italiano non sia di per sé (...) un atto di solidarietà e dì omaggio ». In sostanza, elogiava Santiago Corrillo e Georges Marchais, i leaders comunisti spagnolo e francese, l'uno antesignano e l'altro neofita dell'eurocomunismo, i quali non avevano accettato l'invito al viaggio a Mosca. Era una tesi rispettabile, e in ogni modo denotava, come ho detto, alta sensibilità per i problemi degli interventi e delle assenze in sede diplomatica e politica. Ma quando è il tennis che « ditta dentro », la voglia di conquistare la Davis sopraffa. Se per Enrico IV Parigi valeva bene una messa, Santiago del Cile vai bene una coppa per gli aficionados. Tennis, e non amor, omnia vincit; tennis, anziché spiritus, durissima coquit. Da sempre, gli uomini politici italiani usano farsi belli con noi dicendo che sono giornalisti anche loro. In questi giorni è invalso fra giornalisti il costume di dire: « sono tennista anch'io ». Così il tennis è assurto a dignità di categoria kantiana, ed in forza di ciò « non c'è giocatore che sia discor¬ de nell'affermare che lo sport non deve essere strumentalizzato dalla politica». Sono moralissima parole di Lea Pericoli su II giornale nuovo del 30 settembre. Se ben ricordo, Lea Pericoli vinse campionati di tennis e quindi parla con conoscenza di causa. Dice ad esempio che «non dobbiamo dimenticare che i nostri tennisti hanno sacrificato complessivamente tre mesi di gare, per prepararsi e giocare in Coppa Davis. Per giocatori del loro livello significa rinunciare a cospicui interessi». La dichiarazione è di un'innocenza disarmante che farebbe sussultare Montale, se egli fosse lettore di Lea Pericoli. Questi nostri campioni ci presentano il conto dei sacrifici che fanno per conquistare alla patria la Davis, come se noi non sapessimo che le cifre dei loro ingaggi agonistici e le tariffe delle loro prestazioni pubblicitarie salirebbero in verticale nel caso di una conquista della Coppa. Disinteressati non sono, in altri termini, e hanno pure ragione dato che intendono lo sport, come denuncia Montale, nel senso di industria e commercio. E hanno ancora ragione a dichiarare che lo sport non deve essere strumentalizzato dalla politica: a strumentalizzarlo vogliono essere loro (e Pinochet, se gliene offrono il destro). Vittorio Gorresio