Utile dialogo tra affari e cultura

Utile dialogo tra affari e cultura INCONTRI ESEMPLARI AL SEMINARIO UMANISTICO DI ASPEN Utile dialogo tra affari e cultura Aspen (Colorado), ottobre. Sui verdissimi prati ben rasati e pettinati che contornano e ricoprono monticelli di terra a forma di zinne rivolte al cielo, disegnati da Herbert Bayer, si scorgono biondissimi adolescenti a torso nudo che si abbronzano al sole di oltre duemila metri. Più in là, sulle sponde di una piccola piscina, racchiusa entro un emisfero di Buckmunster Fuller e contornata da aspen — i particolari pioppi tremuli di questa zona delle Montagne Rocciose — incontriamo mogli e figli di businessmen o di intellettuali. Da una grande tenda rotonda — come quelle dei circhi — giungono i suoni delle prove di un concerto. Nell'interno di piccoli e semplici edifici si svolgono le attività molteplici ed intense di una curiosa officina della mente: lo «Aspen Institute of Humanistic Studies». In questa terra nordamericana, nella quale le interazioni fra i mondi dell'intelletto e degli affari sono state ben più intime e prolungate che da noi in Europa, si è pensato di j provocare incontri estesi fra personalità della politica, della amministrazione pubblica, delle università e degli istituti di ricerea con esponenti della finanza, dell'industria, del commercio e dell'assicurazione per discutere dei maggiori problemi del mondo contemporaneo con un approccio umanistico. Chi accetta di partecipare a tali seminari si deve impegnare di rimanere ad Aspen per almeno due settimane: un tempo più breve non consentirebbe di rimuovere le inevitabili barriere culturali e di comportamento che separano persone abituate a vivere in ambienti sostanzialmente diversi, quali quelli dei giovani e degli anziani, dei sindacalisti e del big business, dei medici e dei musicisti, degli scienziati e dei poeti. Nel corso degli ultimi ventisei anni più di quattromila imprenditori industriali e della finanza hanno preso parte ai programmi appositamente disegnati per loro. Una mattina, per esempio, ho assistito alla discussione fra una quindicina di uomini e donne d'affari e il filosofo Mortimer Adler sul significato della tragedia, esemplificata dall'Antigone di Sofocle e da Bìlly Budd nocchiere dì parrocchetto di Hermann Melville. Da noi, fino ad un recente passato almeno, una larga frazione degli uomini di affari avevano avuto qualche contatto con la cultura classica e moderna grazie al liceo. Temo che per le generazioni più giovani le cose siano andate altrimenti: forse un po' di Aspen farebbe bene anche a loro. Elogio meritato Gli americani che hanno avuto quest'esperienza ne sono soddisfattissimi: per esempio Gaylor Freeman, presidente del Consiglio di amministrazione della First National Bank di Chicago, ha commentato: «Quando ripenso agli ultimi venticinque anni della mia vita, l'esperienza singola che ha influenzato in maniera più significativa le mie successive attività è stata la mia prima partecipazione al programma di Aspen». Il termine studi umanistici viene inteso qui ad Aspen nel I senso più vasto, senza limita-1 zione per quello che riguarda i prodotti dell'intelletto e senza barriere geografiche. In qualsiasi momento si trovano qui contemporaneamente esponenti della musica, della fisica teorica, della sociologia, della finanza, della biologia, della architettura, della semiotica, dell'antropologia, e quasi d'ogni ramo dello scibile e della produzione. Si discute, ci si scambiano libri, si ride, si medita, si scrive, si ascoltano concerti o si passeggia al mormorio di limpidi torrenti. E' forse questo il tentativo meglio riuscito fino ad oggi di realizzare un nuovo tipo di torre d'avorio, i cui chierici son di discipline diversissime e più interessati a guardare ciò che accade nel mondo circostante che ad impegnarsi in squisite ed inani elucubrazioni. Nei giorni passati qui quest'anno ha avuto luogo la riunione del Consiglio d'amministrazione dell'Istituto. Han parlato di faccende finanziarie per il corso di una mattinata: ma le riunioni si son protratte ancora per due giorni interi, nel corso dei quali persone estranee come me sono state invitate alle sedute. C'erano donne e uomini indaffaratissimi, come Robert S. McNamara — presidente della Banca Mondiale; Thornton P. Bradshaw — presidente della Atlantic Richfield Company; la contessa Marion Doenhoff — editrice del giornale Die Zeit di Amburgo; Maurice F. Strong — presidente di Petrocanada; Saburo Okita — presidente dell'Overseas Economie Corporation Pund di Tokyo; e vari altri, Essi non sono scappati via appena terminata la prima se- duta, ma sono rimasti per l'intera durata della riunione ad ascoltare e commentare in dettaglio i vari programmi dell'Institute e a chiedere i commenti degli invitati. Discussione pacata e tranquilla, nel corso della quale uomini di notorietà mondiale come un McNamara non si vergognavano di chiedere precise spiegazioni su questioni culturali o scientifiche che gli sfuggivano. Le "teste d'uovo" Un anno fa circa l'Istituto di Aspen ci portò in Iran per apprendere e discutere i problemi di quel Paese in rapido sviluppo. A Persepolis come ad Aspen si sono sentiti chiarissimi l'impegno e la serietà di questa inusitata comunità di intellettuali ed operatori economici. Da noi questi indispensabili componenti della società spesso si guardane con reciproco sospetto, se pur non si sbeffeggiano aper tamente chiamandosi rispettivamente sfruttatori o teste d'uovo. Anche qui negli Stati Uniti si possono facilmente rintracciare esempi di vilipendio della cultura, come ai tempi di Lyndon Johnson e di Richard Nixon, o di svillaneggiamento del potere economico, nelle periferiche frange sopravvissute alla contestazione studentesca. All'epoca in cui ero studente nell'Iowa, prima della guerra, un mio insegnante mi raccontava che l'atteggiamento medio nei confronti del mondo accademico veniva espresso sinteticamente con j la frase: utramps and prof es sors», vale a dire «vagabondi e professori». Da allora — son passati quarant'anni — mi sembra che cultura, scien- tifica e non, si sia progressivamente integrata nel mondo della produzione, influenzandolo sempre più. Alexis de Tocqueville scrivendo nel 1835 della Democrazìa in America raccontava di aver incontrato energici imprenditori impegnati nel far quattrini, ma nessun «savant» dedicato al pensiero astratto che sentisse il bisogno di una tranquilla nicchia immune dalle passioni del giorno, entro una società gerarchica ed aristocratica. Una società democratica era orientata verso la tecnologia ed indifferente alla ricerca pura. De Tocqueville era convinto che la scienza pura richiedesse sul piano delle idee l'individualismo, il dramma dell'ordine aristocratico. In certo senso aveva ragione: l'ideale dell'Europa Occidentale di una scienza senza valori ed indipendente dalla società sembrò per parecchio tempo estraneo alla «American way of life». Ma non per nulla centoquarant'anni son passati, e durante gli ultimi cinquanta le culture dei due lati dell'Atlantico sono andate sempre più vicendevolmente influenzandosi. Oggi i confini fra scienza e tecnologia son divenuti più sfumati; oggi la produzione di cultura scientifica di questo Paese, e fors'anche di cultura senza qualifiche, domina il mondo. E gli americani se ne rendono conto e ne son fieri. A. Buzzati-Traverso