Ma è permesso parlare col pci? di Furio Colombo

Ma è permesso parlare col pci? POLEMICHE Ma è permesso parlare col pci? Non so se i dirigenti comunisti hanno notato che in Italia, nei giornali, alla radio, alla televisione si parla poco rivolgendosi in modo diretto al pei. Ci sono le interviste, che sono soprattutto un altimetro del successo. C'è un fittissimo chiacchierare, ipotizzare e scrivere sui comunisti. Ma ai comunisti, in modo diretto, ed esplicito, ormai i professionisti dell'informazione si rivolgono poco, i columnisls fanno lunghi viaggi intorno ai problemi, i fondisti squadrano da lontano lo schieramento del nuovo potere. Quale è la ragione? Nessuno vuole cadere all'indietro, nello sbarramento e nella discriminazione. Questa è una buona ragione. Nessuno (o pochi) vuol essere scambiato per un avversario irragionevole. Prudenza, realismo e coscienza della situazione italiana suggeriscono attenzione anche a coloro che non aspettano la locomotiva con le bandiere rosse, rispetto anche a chi si è sempre tenuto a distanza. Più delicata è la situazione di coloro che sono giunti per strade diverse a testimoniare le dolorose realtà del Paese, senza discendere da Lenin e dalla Rivoluzione d'ottobre. Il pericolo di essere additato come un nemico del popolo non fa piacere a nessuno. Eppure il pericolo esiste. Si sta creando, lentamente, un timore di essere « anticomunisti » simile a quello di essere scambiati per comunisti intorno agli Anni Cinquanta. Io non so se questo pericolo sia calcolato dal pei, specialmente dai quadri. Non credo. Dopotutto non è colpa del pei se una parte degli intellettuali e dei leaders d'opinione che rappresentavano « la terza Italia », quella non catto¬ lica e non marxista, ha sgombrato il campo, sottraendo la propria voce a un grande dibattito che avrebbe arricchito il Paese. Credo anche che, in molti casi, l'asprezza delle reazioni sia un riflesso tipico di chi si è difeso per tanto tempo. Ma se adesso il pei è — come dice Longo — « un partito di governo », deve rendersi conto che, nonostante tutte le ragioni e le spiegazioni psicologiche, il problema esiste. E che intorno ai conformismi silenziosi si forma l'impasto dei regimi, non il rinnovamento di cui si parla, non il pluralismo a cui la gente viene invitata. Il caso che riguarda questo giornale può servire come un piccolo esempio. Martedì La Stampa ha pubblicato una nota sul convegno di «psichiatria democratica». Tutti ricordano che una certa tensione, in quel congresso, è nata dalla proposta di inserire nel nuovo direttivo del gruppo due scienziati lontani dalle posizioni della nuova psichiatria ma iscritti al pei. In nessun punto dell'articolo si suggeriva una strategia del pei in quella vicenda infelice. Ciò che balzava agli occhi era la preoccupazione — organizzativa più che ideologica — che nessun organismo, oggi, in Italia possa funzionare senza un aggancio con il partito forte della sinistra. « Psichiatria democratica » è nata nell'opposizione, dunque a sinistra, data la storia di questo Paese. Ma colpiva la ricerca (da parte di alcuni leaders del gruppo, non del pei, diceva l'articolo) di una formalizzazione del rapporto, come mettersi un distintivo. Il giorno dopo l'Unità è stata pronta e durissima, voltandosi al sussurro con l'istinto di chi sta in guardia e fa fuoco prima di verificare se il presunto avversario è armato. Il colpo è partito subito ed è andato lontano. Ha mirato verso accuse che non c'erano, verso fatti che non erano stati discussi, e poi si è prontamente diretto — trapassando l'argomento e venti anni di vita italiana — verso « gli anni oscuri di Valletta e dello scelbismo imperante ». Il messaggio è stato semplice e chiaro: non immischiarsi. Oppure essere messi in lista con Sceiba. Raffiche di questo genere, che puntano a colpire la legittimità stessa di una obiezione o di un dubbio, si incrociano con l'argomentare pubblico di Amendola e Napolitano. E rischiano di fare il vuoto intorno a quelle argomentazioni, per quanto esse suonino ragionevoli. Più che il vuoto, provocano il mormorio di un impreciso consenso che forse non è il materiale da costruzione necessario per mettere insieme un'Italia diversa. Nei momenti giusti ci saranno le interviste con i leaders, per ascoltarne la voce, i servizi « di colore » sui Festival, e, a cicli ricorrenti, le inchieste sui rapporti tra il partito e la base, fra il partito e le forze sindacali, qualche « pezzo » su quel che pensano gli stranieri dei comunisti italiani. Ma il discorso diretto tenderà a farsi rado. I suoi dirigenti dovranno chiedersi se è possibile denigrare e dialogare, associare il sarcasmo e l'invito alla collaborazione, l'accusa secca alla strategia del lavoro comune. Entrare nell'area del potere e rifiutare duramente la critica, e persino il sospetto di critica, in un Paese democratico parlamentare non è possibile. Furio Colombo

Persone citate: Amendola, Lenin, Longo, Napolitano, Prudenza, Valletta

Luoghi citati: Italia