Sono nocivi ma si possono usare ancora per mesi di Ezio Minetto

Sono nocivi ma si possono usare ancora per mesi Sono nocivi ma si possono usare ancora per mesi Coloranti con licenza d'uccidere Sino a ieri, certi splendidi gialli e scarlatti e rossi e neri ed arancioni — comprati alla spicciola, nei negozi, al banco o dai freezers — erano cose con cui dar consueto tono alla mensa, o abbellire pelle e viso, o premiare, come si deve, i bambini buoni. Da oggi invece — dopo il «no» del ministro della Sanità ai 10 ubiquitari coloranti artificiali — la gente vivrà timida e spaurita anche per ogni troppo vivace colore di merce: e ridotta, almeno per un anno — sino al previsto esaurimento di ogni scorta di magazzino — a controllare con la lente, lista della sospetta «serie E» alla mano, il quasi sempre introvabile elenco degli ingredienti di scatole e scatolette, liquori ed aperitivi, brioches e caramelle, gelati e gelatine, dolci e fondenti, scorze di caciotta ed autarchici caviali: per non parlar di rossetti e di dentifrici, di rimmel e di saponette e di altre cose correnti ancora. Potevano addirittura fare a meno di comunicarcelo, questo loro prudente e tardivo sospetto di un anche minimo rischio nascosto nella policroma nostra «cosmesi» alimentare. Tanto, anno più anno meno, questo «statistico rischio» — che, dopo lunghissima indifferenza, improvvisamente diventa babau, a tutti i livelli ed a tutti i proposi¬ ti — è già un bel po' che ce lo fanno correre. Mentre da oggi, ormai, si soffrirà anche solo a dar le 100 lire del più pallido dei gelati al più innocente dei bambini. Che il poverino — fatte salve le proporzioni tra i due voluttuari consumi — rischi tanto quanto il padre che fuma? E' da tempo che si dice (La Stampa, 28 novembre 73) che son troppi e troppo rischiosi e troppo poco studiati, globalmente considerati (coloranti, aromatizzanti, stabilizzanti, preservanti, edulcoranti, antiossidanti, eccetera), questi benedetti additivi alimentari che — in misura di ben 3 chilogrammi sul totale dei 540 della sua alimentazione — ciascuno di noi beatamente manda giù, ogni anno, di sotto banco. Ed è dal 1966 che esistono direttive («Specification for identity and purity and toxicological evaluation of food colours» Food and Agriculture Organisation of the United Nations 1966. Fao Nutrition Meetings Reports Series n. 38B WHO Food Add 66.25) per lo studio tossicologico dei coloranti alimentari. Tutti procedimenti molto complessi che — proprio come si fa con i farmaci e con i loro effetti secondari —, dalle sperimentazioni di base (determinazione del «no effect level» per l'animale) arrivano a stabilire, per ciascuno dei colorati companatici dell'uomo d'oggi, il «fattore di sicurezza» (concentrazioni massime tollerabili) e «dose giornaliera accettabile». Ma chi ce lo fa fare — vien voglia di chiederci — tutto questo grosso lavoro (che, in casa nostra, evidentemente, non è mai stato fatto) solo per poter impunemente colorare, un po' alla Walt Disney, l'ormai squallida «non genuinità» originaria del nostro cibo? Per un fine che, in fondo, è senza senso come il volere a tutti i costi un superfluo canale a colori anche per l'alimentazione: e per il quale, per definizione, non sarebbe giustificato il minimo rischio? Problema diverso, questo, da quello dei farmaci: perché il colorante alimentare è solo allodola per il consumatore, è inutile, stupido e non innocuo sottoprodotto dell'insincerità come costume: e l'arrivare a predosarlo, a programmarlo, a omeopatizzarlo, son solo tempo e lavoro buttati via. Perché il giallo dell'uovo — che ormai, complici i mangimi industriali, viene al mondo pallido e vergognoso — dev'essere artificialmente rinforzato? Perché bibite e gelati — secondo un certo tipo di caroselliera mentalità — non tolgono nemmeno più la sete se non son tutti da tavolozza? Perché caramelle e compagnia bella devono ac¬ contentare innanzitutto l'occhio, a costo dei più falsi colori di smalto? Non c'è dubbio che si tratta, di volta in volta, di davvero omeopatiche dosi, una per una forse relativamente innocue: e nel complesso, si direbbe, non solo ben tollerate ma addirittura ad azione «lievitante» per le nostre splendide e forse mitridatizzate nuove generazioni. Ma chi può giurare che — a quella tal dose dei 3 chilogrammi di additivi totali l'anno — non succeda poi qualcosa d'antipatico, alla lunga, nel non già più così tranquillo mare interno delle nostre cellule? Il fegato, per esempio, che cosa deve dire, poveretto — fin nei lisosomi dei suoi epatociti — per tutto questo lavoro in più da «induzione enzimatica»? Ed il midollo osseo e gli epiteli e gli organi di escrezione? Che abbia poi davvero ragione — tanto per fare un altro esempio — quel tale esperto che si chiede se tutto questo enorme aumento dei calcoli biliari (c'è ancora qualcuno, al di sopra dei 30, che non ne soffra o che non li abbia già lasciati al chirurgo?) non possa anche essere il risultato del continuo stillicidio dei 20 mila additivi che — coloranti compresi ma non primissimi in lista — adornano la nostra mensa? Ezio Minetto

Persone citate: Walt Disney