Revel contro Palme

Revel contro Palme Perché la sconfitta dei socialisti in Svezia Revel contro Palme L'ex primo ministro non ha perduto per le riforme sociali della "rivoluzione svedese", che nessuno minaccia, ma per il pesante conformismo di sinistra degli ultimi anni II socialismo svedese non è diventato bruscamente un mito perché i socialisti svedesi hanno perso le elesioni. Al contrario, l'avvento al potere della « coalizione borghese » ne dimostrerà la reale natura, confermando la solidità del lavoro compiuto fin dal 1932. Metterà in evidenza il carattere definitivo delle trasformazioni, che sono veramente integrate nella sostanza della collettività, così bene, in modo così pacifico, che l'alternanza politica non può più avere per posta di rimetterle in causa. D'altra parte, è significativo il fatto che, durante la campagna elettorale, nessuno dei tre partiti d'opposizione, oggi maggioritari, abbia attaccato il sistema social-democratico in quanto tale. Perché i socialisti svedesi hanno proprio realizzato una rivoluzione: Gabriel Ardant ne ha brillantemente spiegato i principi e la pratica nella sua Rivoluzione svedese (editore Laffont). La formula svedese è consistita — ricordiamolo — nello sposare l'iniziativa privala alla collettivizzazione non dell'economia, ma del benessere, più precisamente anche nel far finanziare la società del benessere dallo sforzo creativo del settore privato, perché non può esserci progresso sociale senza una vigorosa economia. I « duri » del socialismo « meridionale » (quanti!) hanno ostinatamente negato al socialismo riformatore ogni portata rivoluzionaria, perché questo non aveva nazionalizzato i mezzi di produzione, procedendo con lentezza. Ora, secondo l'argomentazione incontestabile di Gabriel Ardant, la rivoluzione svedese è stata lenta perché è stata democratica. Ed è proprio perché è stata democratica che oggi è irreversibile. Prima di ogni riforma di strutture, i socialisti svedesi si sono dati da fare per convincere, affinché le nuove leggi non fossero soltanto votate, ma, accettate, divenissero vn patrimonio intangibile per tutti i partiti. Ciò che THumanité chiama con perspicacia « i frutti amari d'una gestione troppo leale della società capitalistica » si è tradotto nel livello di vita più elevato tra i paesi industrializzati, unito alla maggior correzione delle ineguaglianze ed al pieno impiego. Per quelli che credono ancora che il socialismo non sia soltanto il razionamento dell'indigenza stimolato dal terrore poliziesco, la socialdemocrazia svedese resta un successo che la sconfitta elettorale non diminuisce affatto. Perché dunque è stata battuta? Secondo me, perché i socialisti svedesi si sono allontanati dalla socialdemocrazia autentica, e questo non sul piano economico, ma nel campo dell'educazione, dell'informazione, della cultura, della formazione degli uomini. Regime o no? Mi spiego: ciò che fa l'originalità della socialdemocrazia e la distingue dal socialismo burocratico, non è tanto il « ponte degli asini » delle nazionalizzazioni (in Italia ci sono molte più nazionalizzazioni che in Svezia, ma c'è molto meno giustizia sociale), non è soltanto il mantenimento del pluralismo politico, innegabile nella fattispecie, com'è stato appena provato, ma anche il rispetto assoluto della libertà culturale. La vocazione della socialdemocrazia non è dì « foggiare un uomo nuovo » con l'indottrinamento e la propaganda. Le scelte di valori devono continuare a dipendere dall'individuo: lo Stato non deve combatterne la diversità o la dissidenza né con la costrizione né tanto meno con l'intimidazione. Ora, i socialisti svedesi, da una decina d'anni a questa parte, hanno cominciato a violare questo principio. Un conoscitore della vita svedese, un inglese per molto tempo corrispondente da Stoccolma deH'Observer, Roland Huntford, ha scritto sulla Svezia un libro inquietante, Il nuovo totalitarismo (Fayard). Personalmente, disapprovo l'uso di questo termine a proposito di realtà che non corrispondono esattamente alla sua definizione tecnica. Perché si possa parlare di totalitarismo socialista, bisogna che ci sia un partito unico che detenga il monopolio globale dell'iniziativa economica, politica, poliziesca, militare, sindacale, ideologica. Questo, sia chiaro, non è per niente il caso della Svezia. Resta, ciononostante, che Huntford cita dei casi concreti di manomissione dello Stato socialista, sull'educazione, l'informazione e la cultura, in una misura che confina con il condizionamento. Il monopolio dello Stato sull'educazione e sulla radio-televisione è utilizzato per imporre tanto ai bambini che agli adititi una visione favorevole al mondo dell'Est e decisamente antiliberale. « Io non vedo che cosa abbiano di particolare Firenze, Parigi o Roma — ha dichiarato un giorno Olof Palme —. Mi sento più a casa mia a Praga, Varsavia o a Sofia. Il preteso Rinascimento? La cultura occidentale? Che significato hanno per noi? ». Palme ha diritto dì preferire di vivere a Praga piuttosto che a Firenze, ma la preoccupazione è che, fin dal 1960, come ministro delle Comunicazioni, poi della Educazione e primo ministro, preso da frenesia pedagogica e moralizzatrice. Ita avuto la tendenza a confondere le sue preferenze con il socialismo, a imporre Mikhail Sciolokhov ed Eldrige Cleaver nelle scuole, a forgiare una televisione predicatrice, noiosa, alla quale l'opposizione non aveva quasi accesso, e in cui i documentari venuti dai Paesi dell'Est e da Cuba erano preponderanti. Autocensura D'altra parte, è un assioma del mondo svedese: la tv non è destinata alla distrazione. Perfino il Teatro reale è stato « riciclato a sinistra ». L'indipendenza della stampa, in maggioranza non socialista, e delle case editrici, compensava questa faziosità. Non senza essere stata limitata, anch'essa, da una certa autocensura, dovuta al. l'atmosfera generale: per esempio, Cuba è socialista? (Seuil), di René Dumont, non fu tradotto in svedese perché lo si giudicò « troppo critico ». Per alimentare la società del benessere, il direttore di fabbrica svedese che guadagna 28 milioni all'anno può eventualmente accettare con un po' di depressione di ver¬ sarne al fisco circa 18 (è la tariffa). Il quadro intermedio, che arriva agli 11 milioni l'anno, si rassegnerà senza dubbio stoicamente a pagare sui tre milioni e mezzo d'imposte. L'operaio che prende sette milioni e mezzo può sopportare senza dolore di lasciarne quasi due. Ma a una sola condizione: avere altre distrazioni, dopo il lavoro, che non le predi¬ che dei capì del partito socialista. La sconfitta di Olof Palme è dovuta, credo in larga parte, al bisogno di cambiare il clima morale: è una sanzio! ne non contro la socialdemocrazia, ma contro una deviazione che ne aveva tradito lo spirito. Jean-Francois Revel (Copyright de « L'Express » c per l'Italia de « La Stampa »)