Le ultime grida dalla Rai-tv di Stefano Reggiani

Le ultime grida dalla Rai-tv POLEMICHE FRA I DUE TELEGIORNALI MENTRE LA RIFORMA NON SI FA Le ultime grida dalla Rai-tv Dietro il contrasto giornalistico c'è un problema più largo, che tocca i politici - Barbato dice: "Chiediamo orari decenti, non vogliamo rubare nulla" - Milano: "Il pubblico non si sposta per decreto" - Il disagio dell'azienda testimoniato dai sindacalisti: giudizi sulla de e sulle tv private Roma, 24 settembre. Nella fortezza della Rai, assediata da concorrenti veri (le tv libere) e da nemici probabili, ma silenziosi (i politici), la piccola guerra tra i telegiornali (il TG2 contro il TG1), conclusa con un armistizio sindacale, è II segno di un disagio più largo. E' un confronto tra testate, che potrebbe, nel colore della cronaca e nel gusto pungente della polemica, mascherare il problema vero: come e perché la riforma non va avanti, come risolvere i problemi del dopomonopolio, della coesistenza fra tv di Stato e tv locali e straniere. Il nostro giornale ha aperto un dibattito sulla nuova situazione della tv in Italia; in questa stessa pagina ospitiamo altri due interventi, quello di Angelo Romano e quello del vicepresidente della Rai, Orsello. Il secondo, pur nelle reticenze ufficiali, non nasconde le autocritiche, dentro il consiglio di amministrazione. Dunque, la guerra dei telegiornali, come riconoscono alla Rai, è un « riflesso dell'eccitazione politica, del momento delicato che coinvolge soprattutto la posizione della de ». Ma, una volta chiarito il suo valore episodico, è anche una via per capire meglio come funzionano e come s'inceppano i meccanismi della Rai. Parliamo della situazione con i responsabili dei due telegiornali, Andrea Barbato, direttore del TG2, Emanuele Milano, vicedirettore del TG1. I motivi del contrasto sono ripetuti senza animosità, ma con puntiglio. Il TG1 è accusato di una posizione privilegiata sul canale di maggior ascolto, con un diritto di primogenitura che la riforma non ha scalfito pur proclamando di « voler riequilibrare le due testate ». Osserva Barbato: « Noi non vogliamo rubare nulla, chiediamo soltanto, nel nuovo quadro dei programmi, orari decenti, la possibilità di essere visti dalla fascia più larga di pubblico. La contemporaneità dei due telegiornali, come accade ora, è una sciocchezza degna di un sistema commerciale, dove le diverse reti sono impegnate a farsi concorrenza e dispetti ». Ribatte Milano: « La contemporaneità consente la scelta ». Sembra difficile da capire. Come? Spiega: « Poiché è arduo immaginare un telespettatore che vuole seguire programmaticamente i due telegiornali, la sfasatura degli orari potrebbe sollecitare una diversa, più grave forma di concorrenza. Mentre su un canale c'è il telegiornale, sull'altro c'è un bel film o un quiz. Io spettatore sono penalizzato: per vedere il telegiornale devo rinunciare al film. L'alternativa della « copertura », con programmi di scarso rilievo quando l'altro canale trasmette il Tg, ridurrebbe l'interesse di una fascia troppo ampia del tempo serale, per fare l'esempio del periodo di maggior ascolto ». Barbato dice: « Tutto non può essere come prima. In casa della Rai è nato un bambino, un telegiornale piccolo che deve crescere. Vogliamo trovare uno spazio per la culla o no? Vogliamo dargli una giusta collocazione all'interno degli altri programmi, o no? ». Milano è duro: « Noi non ci muoviamo dai nostri orari, non tocchiamo il Tgl delle 20. Il pubblico non può essere spostato, per decreto. Cambia canale quando ha voglia di cambiare programma ». Si sa che i due telegiornali sono nati con l'etichetta; sul primo canale i cattolici, sul secondo i laici. Come ha funzionato questa preordinata divisione? Barbato: « Non si tratta di etichette. Siamo diversi per vocazione personale e ideologica. Ogni telegiornale sceglie ì temi che gli sono più congeniali. Noi ci soffermiamo di più sui problemi sociali. Ma non mi sogno di dare indicazioni ai collaboratori; ognuno è libero, e responsabile di quello che fa ». Anche Milano rifiuta l'etichetta: «Siamo pluralisti e completi, sul primo e sul secondo cimale; ma ognuno segue un suo stile. Il Tg 1 è il miglioramento della formula che c'era: vorremmo occuparci dì tante cose, siamo stretti dal tempo. In mezz'ora i fatti culturali non ci stanno, o solo per accenni». Barbato s'inquieta: «In ogni caso, s'è trattato di un contrasto aziendale che ora s'è ingrandito, in modo errato, finendo nelle mani dei politici e fornendo loro un compito indebito». Certo, non tocca ai politici l'orario dei telegiornali, ma la riforma sta in mano loro. Barbato: «In via Teulada la riforma è incominciata, forse non c'è in viale Mazzini. 10 credo che la tv di Stato si rafforzerà, c'è un riflusso d'opinione in suo favore». Milano: «La riforma è stata utile finora all'informazione, non al resto. Trasmettiamo quello che c'è nella riserva. I nuovi programmi sono un altro discorso». Ma, in queste condizioni, non temete la concorrenza delle tv private, delle più forti? Milano: «La concorrenza è utile. Il solo pericolo è che spinga la Rai verso un ribasso della qualità. Per mio conto occorre un controllo pubblico anche sulle tv private». E Barbato: «Ben vengano le voci nuove, ma nel quadro di una legge. Finora esistono solo pirati». La guerra dei telegiornali, si dice alla Rai, non è per nulla un segno di disaffezione professionale; e si respinge con sdegno l'ipotesi del presidente Finocchiaro che ci siano giornalisti che fanno 11 doppio gioco, un piede alla Rai e uno, magari, a Telemalta. Ma certo l'inquietudine c'è e il disagio cresce tra il personale. Un sindacalista, Guido Levi, che lavora al primo programma e rappresenta i lavoratori comunisti della Rai, dice che il clima è quello « del nemico alle porte ». Poi precisa: « La critica dei dipendenti è rivolta soprattutto al consiglio di amministrazione. Ha commesso troppi errori, è sua la colpa se la riforma non è stata spinta avanti con energia. Il consiglio vuole fare tutto e si riduce a non fare nulla, ad emettere documenti e comunicati, mentre ci sarebbe bisogno di provvedimenti concreti. Finocchiaro ha gravi responsabilità, è troppo accentratore, non lascia ai collaboratori autonomia e libertà nelle scelte». Il nodo politico che sta alle spalle del consiglio di amministrazione non sfugge ai dipendenti. Dice Levi: « La de ha perso ogni affezione al monopolio, teme che la tv di Stato sia troppo di sinistra. Ma come può dirlo se le leve di potere sono quasi tutte ancora in mano sua? ». Il sindacalista ha una proposta da fare: « Sediamoci tutti attorno a un tavolo e parliamo serenamente, tra forze politiche. Si vedrà che le sinistre non hanno certo l'intenzione di prevaricare ». Crede che in questa battaglia della tv si stia « giuocando la partita tra privato e pubblico ». Osserva: « Ci vuole una soluzione, comunque. Questa è la peggiore di tutte le situazioni possibili ». Sono, per singolare convergenza, le stesse parole che ci disse Angelo Rizzoli, nel colloquio su Telemalta e sul dopomonopolio nel nostro Paese. Stefano Reggiani CcoesqletenvumacodcoilarladsetrncsoncpcqL« vsal'cnmligtri tesmcvdlep amo Il direttore generale Principe (a sin.) e il presidente della Rai Finocchiaro (Team)

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