Amara beffa di Ragazzoni di Ernesto Ragazzoni

Amara beffa di Ragazzoni CRONISTA E POETA Amara beffa di Ragazzoni Per iniziativa di questo giornale, domani verrà inaugurata ad Orta una lapide in memoria di Ernesto Ragazzoni. Del giornalista-poeta l'epigrafe ricorda appena la data di nascita e di morte, memori forse gli ideatori della lapide preparata da sé da Ragazzoni, tale da scoraggiare ogni confronto: « Qui giace Ernesto Ragazzoni [d'Orta « nacque l'8 gennaio mille ed [ottocentosettanta ». E sotto, questo motto: « D'essere stato vivo non gl'im[poria ». Mori nel 1920 e, da allora, sono uscite due edizioni delle sue poesie, curate da Arrigo Cajumi per Chiantore (1927) e per Martello (1956-1959), subito esaurite da bibliofili ed estimatori; gli articoli sono dispersi sui giornali in cui Ragazzoni lavorò, La Stampa in primo luogo, poi II Resto del Carlino di Bologna e II Tempo di Roma. Lui vivo, apparve la raccolta giovanile Ombra e il romanzo L'ultima Dea, che non so se qualcuno, oggi, si sia trovato a leggere. Questo per dire che, se dobbiamo essere grati a Cajumi (così attento come critico alla pianta uomo) di averci serbato cordiale memoria di Ragazzoni, sentiamo tuttavia il bisogno di una più completa e aggiornata ricognizione della sua opera. Non per aggiungere nuove pagine a un libro poetico che ha già la sua piccola inconfondibile voce, ma per stabilirne le date e seguirne il movimento interno, per chiarire l'esatta portata e il senso dei prestiti da Thackeray, dal Fourest della Negresse Blonde e da altri ancora: bisogna essere cauti a parlare di tradizioni o «plagi», di fronte al comportamento di un D'Annunzio o di Gozzano, legittimati del resto da precise motivazioni di poetica. E, in fondo, la definizione di «Chroniqueur della poesia» dovuta al Cajumi, o quella di «chansonnier» dovuta a Franco Antonicelli, appaiono per Ragazzoni più tentanti che esaustive. Cosi come il termine scapigliato finisce col risultare una prevaricazione dell'uomo sul poeta. Una più precisa valutazione di Ragazzoni, la sua immissione, laterale fin che si vuole, nella letteratura di quegli anni, dovrebbe avvantaggiarsi dallo stemperamento della sua leggenda. Sono rimasti in pochi a ricordare il Ragazzoni bohémien che a La Stampa di via Bertolotti aveva portato certa aria di Londra e di Parigi dove fu corrispondente: insofferenze e pose, ghiribizzi e rovelli, voglia beffarda di « épater les bourgeois » che però si castiga includendo il motteggiatore nel cerchio del compatimento, fino ad ottundersi nella ripetizione, a comando, delle più note filastrocche. •¥• Il ragionier Ragazzoni licenziato più volte da Frassati (lo aveva scoperto a compilar bollette nell'ufficio spedizioni di Porta Nuova) come il signor Bonaventura eppure imperturbabilmente presente al tavolo di redazione. Ragazzoni che durante le ore di guardia notturna lascia i suoi distici sulle pareti della sala d'aspetto del giornale. Ragazzoni che « passa » tra le brevi la notizia della scoperta del Polo, traduce in linguaggio umoristico un discorso di Briand o inventa notizie seduto al tavolino di un caffè, davanti al bicchiere colmo. Eppure è ben lui ad averci restituito in un frammento l'eccitazione e la stanchezza, il senso di sollievo e di usura che si prova ogni volta all'uscita di un quotidiano: E' finita. Il giornale è stampato La rotativa s'affretta, me ne vado col bavero alzato dietro il fumo della sigaretta. La troppo facile leggenda... Dopo la seconda edizione accresciuta delle poesie si è ridimensionato anche il cliché di un Ragazzoni autore di versi inverecondi da sussurrare nell'orecchio degli amici. Insomma, rileggiamolo alla svelta questo poeta. Fa piacere intanto trovare in limine alla raccolta di Cajumi una poesia come I bevitori di stelle. Così il poeta sembra designare gli uomini che sono negati alla vita attiva e si nutrono di ideali contemplativi. C'è un bel movimento notturno, all'inizio della poesia: ...è allora che vengono fuori, e, a un fiume che sanno, in piainelle, s'avviano giù i bevitori di stelle per bere le stelle. L'incanto di domestica fia¬ ba palazzeschiana dura proprio per lo struscio delle borghesissime pianelle. Ma a poco a poco i sognatori che si dissetano di lucenti costellazioni si tramutano in « Flemmatici Ulissi, argonauti - che insegne ostiere han per bussola, - e donchisciotlini ben cauti - impantofolati di mussola ». La degradazione si compie con una danza di idropici che invitano in cerchio il poeta sotto le fredde stelle inaccessibili. Siamo dunque alla contestazione della poesia o almeno di una certa poesia, al rifiuto del sublime per la frequentazione di una musa quotidiana e negletta: lungo le linee della poesia contemporanea e pensiamo, più che alla marinettiana cospirazione « contro il chiaro di luna », alla ironica riduttività di segno crepuscolare. Lo indica il lessico, la rima beffarda (poesia-osteria, simbolica-colica), la suggestione di rari e bizzarri accostamenti (« di blandule bolle bizzarrule »). Come non vedere in questa poesia anche una personale mortificazione, la confessione di uno scacco privato? Come non sospettare l'irrisione di una anacronistica, forse, infeconda e compromissoria bohème? ★ ★ Eppure, quando scriverà II mio funerale sembrerà indulgere con il sorriso alle « scelleratezze» del sognatore: «Era padrone di un castello in aria - e si beveva il cielo in quattro sorsi ». Ma la contestazione dei Bevitori di stelle è appena l'annuncio di una poesia « altra ». Dal fondo del suo tedio, dalla negazione della « serietà » della poesia e dalla denuncia della sua funzione vicaria rispetto all'onnipotente mondo dei benpensanti, nasce la sua vena più schietta e genuina, affinata dal lungo esercizio del tradurre (ne sono esempio persuasivo un manipolo di poesie da Poe). Arriviamo così alla filastrocca, al catalogo di nonsenses e luoghi comuni come nella celeberrima De Africa, in cui l'Affrica dannunziana viene identificata attraverso immagini stereotipe da figurine Liebig, inseguendo il gioco di inusitate grafie e assonanze. Non senza uno spiraglio di civile protesta: Benvenuto dal tuo Senegal fratel nero, e dal Sahara; dalla tua contrada avara benvenuto a crepar qui. Vieni L'Europa qui ti prodiga (giù la barbara zagaglia!) la civile sua mitraglia che già tanto suol nutrì! Siamo, ancora, a II teorema di Pitagora, dove le giovanili « zuffe con l'algebra » evocate da una affettuosa memoria garantiscono la sola bizzarra certezza, ossessivamente ripetuta a refrain, in un mondo stravolto: / tempi sono tristi! Il vecchio [mondo s'usa a trascinarsi il fianco nel giro [dei pianeti! Le balene si fan sempre più [rare, i feti vogliono dar fuoco all'angol ove [la vita han chiusa. Per consolarti, o povera anima [mia, ripeti: il quadrato costrutto sovra l'ipotenusa è la somma di quelli fatti sui [due cateti. Qui, dove il cannone viene definito « Tamagno delle battaglie », siamo già oltre gli echi della poesia parodistica e satirica italiana, siamo oltre le fumisterie palazzeschiane. Bastano i titoli (e citiamo soltanto le poesie più risolte, ignorando quanto di grezzo, di occasionale, di postprandiale è nella raccolta di Ragazzoni) a segnalare un approdo sempre più stralunato e surreale. Poesia nostalgica delle locomotive che vogliono andare al pascolo (dove si realizza un rovesciamento significativo dei valori futuristi), Le nostalgie del becco a gas, Le malinconie ed il lamento del povero biliardo che non vuol più essere verde. Fino a II mio funerale che, per quanti ricalchi possa suggerire, ha sicuramente di suo l'elegantissimo attacco: Quando, uditemi amici, quando [avvenga che questa che mi rosiga cirrosi il fegato e dintorni m'abbia rosi, come cirrosi fa che si convenga... Con questa amara allegria Ragazzoni si congeda da noi ma il conto, come si è detto, rimane aperto: delle attribuzioni, delle parentele, della sua presenza appartata e discreta. Valga l'occasione di oggi a sottrargli qualche effimero lustrino per ricondurlo alla norma, per confrontarlo, nel bene e nel male, con il tempo che fu suo. Lorenzo Mondo

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