Risorse apparenti e reali di Mario Salvatorelli

Risorse apparenti e reali I nostri soldi Risorse apparenti e reali «Che cosa si vuol dire esattamente con la frase: "Viviamo al di sopra delle nostre risorse", tanto spesso e volentieri ripetuta?», mi chiede Alberto Svituno, da Bologna. Anche Luigi Alessi, da Milano, vuol sapere se la frase: «Non possiamo consumare ciò che non abbiamo», ha più o meno lo stesso significato del vivere al di sopra delle risorse, e se si può paragonare il comportamento di un Paese con quello di un individuo o di una famiglia, che non può permettersi — almeno, non dovrebbe permettersi — di spendere 110 se guadagna 100. Il paragone può anche essere valido, purché si chiarisca che cosa s'intende per consumi e risorse di un Paese. Il primo mezzo che viene in mente per misurarlo è la bilancia commerciale. Non sembra dubbio che se un Paese esporta più di quanto importa, quel Paese si comporta correttamente, perché consuma meno di quel che produce all'interno o acquista dall'estero. Per esempio, la Germania Occidentale, che nei primi otto mesi di quest'anno ha registrato un attivo commerciale — cioè ha esportato più di quanto ha importato — per l'equivalente di quasi 7000 miliardi di lire italiane, non sembra certo un Paese che viva al di sopra delle sue risorse. L'Italia, invece, che nello stesso periodo ha accusato un passivo pari all'incirca alla metà di quell'enorme somma, dà l'impressione opposta. Ma non c'è solo la bilancia commerciale, cioè lo scambio di merci, con l'estero, c'è anche la bilancia dei pagamenti che comprende i servizi e i movimenti di capitale. Del resto, alla formazione del prodotto nazionale non concorrono solo l'industria e l'agricoltura, che producono beni «tangibili», ma anche le attività cosiddette terziarie — e che oggi sono le primarie nei Paesi più avanzati — e cioè il credito, il commercio, i trasporti, la pubblica amministrazione, eccetera. Con la bilancia dei pagamenti, il calcolo del rapporto risorse-consumi diventa un po' più confuso. Prendiamo il caso dell'Italia, la cui bilancia dei pagamenti ha registrato in luglio, per la prima volta nell'anno, un attivo, e per giunta eccezionale — oltre 900 miliardi — e in agosto ha di nuovo chiuso in attivo, per una somma minore — poco più di 300 miliardi — ma pur sempre ragguardevolissima, tanto più che verso la fine di quei mese, per l'inesatta interpretazione delle parole di un ministro, si era pensato al peggio. A questo punto, c'è di che essere disorientati. In luglio e in agosto, proprio nei mesi delle follie estive, delle grandi vacanze, delle migrazioni bibliche verso le spiagge, e chi più ne ha più ne metta, l'Italia avrebbe consumato meno di quel che ha prodotto? Sarebbe, invece, vissuta al di sopra delle proprie risorse nei primi sei mesi dell'anno, durante i quali, bene o male, la gente lavora? Ovviamente, le cose non stanno in modo così elementare: basti pensare ai movimenti dei capitali e a quelli dei turisti, in entrambi ì casi diretti dall'estero verso l'Italia più che viceversa, gli uni per i risultati elettorali, gli altri per motivi stagionali, per ridare un po' d'ordine a questo esame del comportamento economico — o antieconomico — degli italiani. Ma non credo che la chiave per capirlo sia questa. E neppure quella dei debiti, sia quelli del Paese verso l'estero, sia quelli dello Stato e delle amministrazioni locali, sia i debiti del sistema produttivo verso il sistema del credito e verso i risparmiatori. Fare debiti non significa, necessariamente, consumare più di quanto si produce, se non si limita il conto del dare e dell'avere al momento in cui i debiti si contrag¬ gono (nel seyiso che si dilatano), ma si abbraccia un arco di tempo più ampio. Si può anche spendere oggi più di quel che sì guadagna — e ciò vale per gl'individui, per le aziende e per gli Stati — purché si abbia la ragionevole certezza di rovesciare la situazione domani o dopodomani, cioè di poter spendere meno di quel che si guadagnerà, e con la differenza pagare i debiti. In parte, è anche il concetto degli acquisti .. rate, senza i quali non c'è dubbio che l'economia mondiale, e soprattutto proprio la più forte, quella degli Stati Uniti, si troverebbe a livelli di sviluppo molto più bassi degli attuali. L'affermazione che l'Italia vive al dì sopra delle proprie risorse, e le altre equivalenti, hanno il difetto, a mio parere, di porre l'accento sull'eccesso dei consumi, quindi sulla conseguente necessità di ridurli, anziché sulla scarsità delle risorse disponibili, quindi sulla conseguente necessità di accrescerle. Le parole non sono cifre, né le frasi somme, nelle quali si può spostare l'ordine degli addendi senza che il risultato cambi. Se si dicesse, invece, che produciamo meno di quel che consumiamo, forse una certa mentalità ristretta, tendente alla mortificazione e alla penitenza, lascerebbe il posto a un maggior dinamismo. Perché il punto è proprio questo: produciamo meno di quel che consumiamo, ma soprattutto meno di quel che potremmo produrre. E questo a tutti i livelli, soprattutto a quelli individuali. Si deve aggiungere, però, per spiegare certe capacità di resistenza che hanno del miracoloso, e fanno pensare alla moltiplicazione dei pesci evangelica, che produciamo più di quel che le statistiche ufficiali riescono ad accertare. C'è tutta la fascia del lavoro nero, c'è quella dell'evasione fiscale, c'è, in sostanza, un prodotto nazionale invisibile, che non entra nel calcolo del reddito pro-capite, ma si distribuisce tra molti milioni di abitanti e che, se entrasse in quel calcolo, farebbe fare all'Italia molti passi avanti nella classifica mondiale del benessere. In definitiva, produciamo meno di quel che consumiamo, ma più di quello che mostriamo di produrre. di Mario Salvatorelli

Persone citate: Alberto Svituno, Luigi Alessi

Luoghi citati: Bologna, Germania Occidentale, Italia, Milano, Stati Uniti