Usa, i romanzi del potere

Usa, i romanzi del potere GLI UOMINI DI NIXON DIVENTANO SCRITTORI Usa, i romanzi del potere Charles Colson, il primo che confessò nello scandalo Watergate, racconta la sua conversione religiosa - Ehrlichman e Agnew si sono dati al romanzo: cercano di non scomparire servendosi dello strumento che avevano più disprezzato, la fantasia (Dal nostro inviato speciale) New York, settembre. / fatti di Watergate e della presidenza Nixon sono ancora freschi, in America, e stanno pesando sulle elezioni presidenziali. Da lontano la sfida dì Reagan a Ford è sembrata lo scontro tra due rivali dello stesso partito. Ma molti delegati alla «Convention» di Kansas City non nascondono di aver pensato seriamente a Reagan anche per il desiderio di allontanarsi di più dalla memoria di Nixon, una memoria che Ford si porta addosso (ha concesso il « perdono » al presidente indiziato) nonostante l'onestà che tutti gli riconoscono. La faccia dei giorni di Watergate è stata presentata al cinema, con Dustin Hoffman e Robert Redford nella parte dei due giornalisti del Washington Post che hanno fatto crollare la «presidenza imperiale» con tante piccole spinte accanite. Si ascoltano i nomi, si ricostruiscono i fatti, passano le immagini e le ombre di quei giorni strani della storia d'America. La durata del Watergate sta negando la famosa persuasione dei mass media in America («la memoria di un fatto dura appena sei mesi») non solo perché il dramma si è svolto intorno alla caduta dì un presidente. Non solo perché intorno allo scandalo Watergate si sono raccolte le forze dell'opinione, dell'informazione, della vita politica, in America. C'è gualche altra cosa. una strana fisiologìa, nella catena di eventi che ha portato alla caduta di Nixon. Come in quelle amebe che continuano a mantenere una straordinaria vitalità benché separate dall'ambiente che le nutriva. I fogli bagnati Questa vitalità di Watergate è nei fatti e nelle persone. Faccio un esempio. Un giorno si è saputo di un piccolo incidente avvenuto in casa di Nixon. C'erano alcuni scatoloni pieni di quei documenti che Nixon da tempo sì era impegnato a restituire. Gli scatoloni, come può accadere in una casa che non ha spazio per un archivio, erano stati ammucchiati sotto una finestra. Per caso alla finestra c'era il cassone del condizionatore d'aria. Succede che, se il cassone è vecchio o imperfetto, perda un po' d'acqua. Nessuno si è accorto che l'acqua filtrava. Il giorno della consegna, un breve comunicato ha annunciato la scoperta spiacevole. L'acqua ha rovinato e reso illeggibili i documenti che con tanta cura erano stati preparati e che erano molto attesi. Niente è più realistico di un incidente così banale. Ma è facile immaginare l'espressione del cronista televisivo nel dare la notizia. Era l'espressione di tutta l'America. Eppure la vitalità del Watergate non viene solo dal divertito sarcasmo con cui si accoglie un fatto del genere. Il libro di Woodward e Bernsteìn fi due reporter del Washington PosW, il cu- mulo di materiale che dalla Casa Bianca di allora è sce- so sull'America, le deposizioni processuali, le celebri facce improvvisamente accusate, le crudeli interviste in primo piano a uomini che scendevano direttamente dalle stanze del palazzo alla panca degli imputati (alla cella della prigione, qualche volta), tutto ciò ha toccato nervi, sentimenti, coscienze e immaginazione, in Ameri- co, per due ragioni: lo scandalo e la verità. Queste due parole non raccontano esattamente la stessa storia. Lo scandalo ci dice le deformazioni incredibili e oltraggiose che l'esercizio del potere ha subito, per un periodo, in America. La verità va oltre. Rivela qualcosa sulla natura misteriosa del potere, i suoi uomini e i suoi fatti, non solo la sua malattia. Gli episodi del Watergate, certo, sono « malati ». La maggior parte dei suoi protagonisti, no. Sono persone come altre, funzionari, fiduciari, segretari, consiglieri, assistenti come tanti che sono entrati e usciti prima di loro dalle stanze del potere. Quando è scoppiato lo scandalo si è vista, per ciascuno, la parte dì colpa. Ma si è visto anche, a occhio nudo, senza esagerazione e senza illusione, accanto alla malattia, la strana «normalità» di gente che vede il mondo da lontano e dall'alto. Nasce di qui l'onda di purificazione contro Washington, contro /'establishment, contro i professionisti del potere, che ha fatto emergere la figura solitaria e lontana di Jimmy Carter. S'intende che quest'onda è insieme un sentimento vero e forte e una pretesa ingenua. Ma in un Paese senza cinismo e senza fucilazioni, questo è il modo in cui si esprimono le persuasioni di massa. Il resto (comprese le possibili delusioni) appartiene al futuro. Ma intanto la grande quantità di energia accumulata dal Watergate deve scaricarsi, sono i lampi e i tvoni di un temporale. Ed è qui che, accanto agli eventi politici, si notano conseguenze diverse e del tutto inattese della stagione del Watergate. Il terzetto Tre nomi, fra i tanti, sono rimasti impressi nella memoria dell'opinione americana. Uno è quello di Charles Colson, la persona più vicina a Nixon, e il primo a pagare, con la confessione e con la prigione. Un altro è quello di Spiro Agnew, il vicepresidente dal linguaggio colorito e beffardo, noto per la sua violenta ostilità verso gli intellettuali e l'attività creativa. Agnew — come tutti ricordano — ha dovuto dimettersi prima di Nixon e per ragioni personali (evasione fiscale), non per avere partecipato alle vicende del Watergate. Ma la memoria americana, ormai, lo ricorda come uno del gruppo. Il terzo, forse il più discusso, e anche il più duro, dei pretoriani di Nixon, era il «tedesco» John Ehrlichman. Il suo nome era così potente e «al di sopra», che le accuse a suo carico furono le più faticose da rintracciare e provare per i famosi giornalisti ■ segugi di Washington. «Ehrlichman? Il John Ehrlichman?» chiede con ansia incredula Hofjman-Bernstein a Redford-Woodward nel film Gli uomini del presidente. Questi tre nomi, adesso, sono ancora al centro dei l'attenzione americana. Per ragioni inattese, abbiamo detto. E a causa di una vitalità che resiste persino al tramonto del potere, del prestigio, della rispettabilità. Charles Colson è famoso, adesso, per la conversione a una appassionata devozione cristiana che lo ha fatto «nascere per la seconda volta». Born again è il titolo del suo libro. Nel risvolto di copertina si legge soltanto: «E' stato processato e condannato, ha trascorso un periodo in prigione, si è convertito, è nato a una nuova vita». La conversione dì Colson avrebbe potuto suscitare scetticismo e cattiveria persino nella opinione americana, meno maligna di quella europea. Se ciò non è accaduto, non si deve pensare a generosità facilona. L'America è stata severa verso ì protagonisti del Watergate. E Colson, come ho detto, ha pagato con la prigione. "Io so cos'è" Neppure la pietà sarebbe una spiegazione. Come tutti i convertiti, Calson è orgoglioso. Ammette le sue colpe ma concentra la sua energia sul fatto nuovo, «la vita in Cristo». E qui la gente gli crede. «Io so cos'è il potere e come il potere finisce. Dunque so meglio degli altri che nessuno ti può governare se non ti governa la tua coscienza. E che il solo sovrano a cui devi lealtà non è nell'ufficio vicino al tuo, ma è Dio». Del libro dì Colson colpisce il furore da antico predicatore. Il libro si vende. Ma il suo «successo» è un altro. Colson ha intorno a sé un gruppo, la «Fellowship House». Ne fanno parte repubblicani e democratici, ex amici ed ex nemici, politici e non polìtici. Le riunioni sono frequenti, i temi di discussione sono sempre religione, coscienza, vita interiore, la «nuova nascita in Dio». Mille miglia lontano, politicamente e fisicamente, si ascoltano quasi le stesse parole da Jimmy Carter, il candidato democratico alla presidenza, che è anche diacono e predicatore della Chiesa battista. Uno strano cerchio di energia, di persuasione e di fede tocca gruppi e uomini molto diversi. Era difficile aspettarsi che uno dei più compromessi protagonisti di Watergate sarebbe «nato di nuovo» con un atto intellettuale come quello di scrivere un libro, in una reincarnazione ascetica e interiore. Ma l'osservazione che viene in mente al testimone freddo di un simile evento è che c'è una vitalità capace di reagire anche ai segni di un destino decisamente negativo. Questa vitalità assomiglia a quella esercitata per anni accanto alla stanza ovale del presidente. E infatti il libro ne parla sempre. Come per liberarsi da un incubo, Colson non fa che ricordare la macchina del potere, per dirci quanto sia futile. Ma intanto la rivive, la ripercorre, e la lascia vedere. Nello scaffale dei libri del dopo-Watergate, accanto al testo-confessione di Colson, bisogna mettere il romanzo di John Ehrlichman (il John Ehrlichman) e quello di Spiro Agnew. E' la prima volta che ìin ex vicepresidente degli Stati Uniti scrive un ro¬ manzo. Ma questo vicepresidente non è un sereno pensionato che si gode i suoi giorni di riposo in un modo insolito. Spiro Agnew, dice sobriamente il risvolto di copertina, «viaggia il mondo ed è stato vicepresidente degli Stati Uniti». Ma prima ha mbìto l'umiliazione di essere letteralmente cacciato dalla sua carica, ha perduto la possibilità di esercitare la professione di avvocato, e dovrebbe essere uno straccio d'uomo che vive in vergognoso ritiro. Invece eccolo qui, con il suo The Canfield decision (La decisione di Canfield) che — ci viene detto — ha scritto da solo, senza collaborazioni, revisioni o consulenze. Se l'autore fosse ignoto diremmo: « un discreto romanzo commerciale ». Ma la novità è l'ingresso nella letteratura ■— sia pure ai piani bassi — dell'uomo che ha passato quasi tutto il suo tempo a denigrare l'attività creativa come ridicola e irrilevante a confronto del potere e dell'azione (tutti ricordano quella sua espressione in cui sì accennava alla debolezza dell'intellettuale liberal con una insinuazione di scarsa virilità). Il libro di Agnew non è rozzo, non è superficiale. E se non è l'opera di uno scrittore, certo è il lavoro di un buon artigiano che sa come tagliare le scene, montare le sequenze e costruire un ritratto. E' interessante la differenza fra il romanzo di Agnew e quello di Ehrlichman. Ehrlichman, nel suo The Company vede il mondo dal punto di vista della C.I.A., di un suo intelligente direttore, elegante e senza scrupoli, al servìzio di un presidente rozzo e senza scrupoli. Agnew fa girare la sua storia intor- sno alla drammatica decisio- \ ne di un vicepresidente (Can- ' fteld) che viaggia per il mondo in missioni inventate per farlo stare lontano, ma tiene gli occhi puntati voracemente su Washington e sul posto di presidente che vuo- le con una determinazione violenta e ben camuffata. Ehrlichman studia e spia il potere (sì può usare la parola letteralmente: « The Company » è una agenzia di spionaggio) dal punto di vista, forte ma poco esposto, dell'eminenza grigia. Agnew lo vede dal centro, anzi alla stessa altezza della sua esperienza e della sua vita: un vicepresidente che aspetta. Fascino che dura Ma nei due libri compare, assieme a un sogno di ricchezza, raffinatezza intellettuale, eleganza, che non era dei «Nixon» (se mai era dei Kennedy, il gruppo più avversato e disprezzato dai nixoniani), una descrizione spietata della macchina del potere. E non si sa bene se gli autori siano guidati dal desiderio di confermare i sospetti e le attese dei loro lettori (in questa epoca di sentimenti anti-Washington e anti-potere). O se invece ì loro libri — scritti con precisione, con cura, con una artigianale bravura nel costruire una storia — siano la continuazione di un sogno. Il bisogno, cioè, di respirare ancora l'aria dei corridoi e delle stanze dove si prendono le decisioni delicate e terribili. Nei due libri ci sono molti dettagli sul complicato meccanismo di accesso alla stanza del presidente, le guardie che parlano a bassa voce negli speciali microfoni, gli agenti segreti che sanno quale bottone premere per aprire un passaggio o un cancello, il conforto della limousine in servizio di Stato, dell'aereo con appartamenti e salotti. Sono libri sul potere che dicono alcune cose nella storia che narrano, molto più per il fatto di essere stati scritti. Rappresentano uh modo ostinato di continuare ad esistere, e con lo strumento che gli autori avevano più disprezzato, la fantasia. Furio Colombo Washington, 1970. Il momento del potere: il vicepresidente Agnew e Nixon alla Casa Bianca (Telefoto Ap)