In viaggio fra i pochi, testardi friulani rimasti a vivere nel deserto di macerie di Clemente Granata

In viaggio fra i pochi, testardi friulani rimasti a vivere nel deserto di macerie Dicono: "Qualcuno deve restare se questi paesi vogliono risorgere,, In viaggio fra i pochi, testardi friulani rimasti a vivere nel deserto di macerie Sono operai, carpentieri, artigiani, agricoltori - Un pensionato: "Perché me ne dovrei andare? Qui ho i miei ricordi" (Dal nostro inviato speciale) Udine, 17 settembre. E' alto e robusto. Si chiama Primo Dibernardo, 51 anni, moglie e tre figli, fa l'agricoltore e commercia in legname. Tra un paio di giorni porterà i familiari lontano dall'inferno, lui rimarrà. «Qualcuno deve pur restare se si vuole che questi posti tornino a vivere». Abita a Borgo Gnocs, una manciata di case in una conca dopo Venzone e Portis, poco lontano dalla statale per Tarvisio. E' un giorno di sole. Là c'è il monte Brancot pieno di rughe e di ferite dopo i terremoti di sabato e di mercoledì, là c'è il monte Plauris dal quale continuano a cadere macigni e torrenti di pietre, ma proprio di fronte a Borgo Gnocs c'è il Monte Sole che, a differenza degli altri, appare di solidissima roccia. Così questo minuscolo centro sembra costituire un insperato rifugio. E alcuni abitanti di Venzone e di Portis prima di partire per Lignano e Grado vi portano le loro cose e le mettono in improvvisate baracche. Li si vede sfilare lungo la statale trascinando carrettini con le masserizie accatastate. «Andiamo a Gnocs, lì saranno custodite bene». Primo Dibernardo ha avuto la casa danneggiata dalla scossa di maggio, ha deciso di rafforzarla, l'ha abbassata di un metro e ha piazzato i tiranti. La casa ha superato la terribile prova degli ultimi terremoti, dovrebbe resistere anche se succederà di nuovo il peggio. Così l'uomo ha deciso di rimanere con un fratello e due cugini. Un viaggio nelle zone terremotate, due giorni dopo la nuova catastrofe, porta a que- sti incontri e a registrare questi episodi. C'è gente che vuole rimanere. Nonostante tutto, contro tutto. Ci si aggira in un deserto di macerie in un desolante silenzio. A Venzone come a Portis, a Trasaghis come ad Alesso, ad Interneppo e a tanti altri piccoli centri, e si pensa: ecco, è finito tutto, non c'è più nessuno, questi nomi saranno cancellati per sempre. Poi ci si accorge che qualche moto di vita esiste ancora. Sono pensionati. Si radunano in un piccolo spiazzo, discutono, parlano della loro terra con accenti di accorata nostalgia («Erano bei posti, sa? Si stava bene. Ora è successo quello che è successo, ma perché andarsene? Bisogna sperare che questo flagello abbia una fine, bisogna sperare sempre»). Alcuni sono rimasti soli, con il terremoto di maggio hanno perso tutti i familiari («E allora perché devo andare? Almeno qui ho i miei ricordi, qui ho ancora un amico. A Lignano, a Grado non conosco nessuno. Che cosa ci andrei a fare?»). Sono artigiani. Ne incontro nove nella tendopoli di Venzone. Sino a venerdì scorso qui c'erano più di mille persone, ora il posto si sta spopolando gradualmente. Ne sono rimaste trecento, domani altre duecento partiranno per luoghi più sicuri. Quegli artigiani invece non si muoveranno. Tempo fa avevano formato una piccola cooperativa, il lavoro non mancava e rendeva abbastanza. Ora, è ovvio, le prospettive sono radicalmente cambiate, ma loro si fermano, pensano che il peggio sia passato. Dicono: «Bisogna guardare bene in faccia alle cose. Se ci dicono chiaramente che Venzone, Gemona e tutti gli altri paesi disgraziati non dovranno pm esistere allora è giusto che ci ritiriamo tutti. Se invece si vuole che questi paesi rinascano allora tanto vale ricominciare subito, non aspettare». Sono operai attualmente in Cassa integrazione perché nelle loro fabbriche il lavoro è stato sospeso dopo lo sconi quasso di mercoledì, ma sperano che entro breve tempo l'attività riprenda. Sono carpentieri, sono agricoltori che non possono e non vogliono rinunciare alla loro terra. Dunque il Friuli non vuole morire, dunque ci sono ancora capacità, potenzialità da utilizzare, dunque la ricostruzione e la ripresa non dovrebbero essere impossibili. Queste che si incontrano in uno scenario spettrale sono isole di vita attorno alle quali potrà ricostituirsi una comunità. Per ora resistono grazie soltanto alle loro forze, alla caparbietà, alla cocciutaggine, allo spirito di iniziativa dei singoli. Ma è chiaro che da sole queste isole sono destinate a scomparire presto. Chi rimane ne è perfettamente cosciente e non si fa illusioni. Per questo chiede che ora, almeno ora, non si registrino altri ritardi e incongruenze nell'opera di intervento da parte dei poteri pubblici. Clemente Granata

Persone citate: Grado, Lignano, Monte Sole