"Ho visto i monti squarciarsi e rovesciare enormi macigni,, di Clemente Granata

"Ho visto i monti squarciarsi e rovesciare enormi macigni,, SOTTO LA PIOGGIA "Ho visto i monti squarciarsi e rovesciare enormi macigni,, Drammatica testimonianza del nostro inviato - Dai luoghi del disastro 20.000 senzatetto si dirigono verso Udine - Ovunque distruzioni, paesi isolati, strade e ferrovie sconvolte (Dal nostro inviato speciale) Udine, 15 settembre. Vogliono andarsene. Molti se ne sono già andati. Sono oltre 20.000 i senzatetto dopo le nuove scosse di stamane. Li ho visti fuggire su ogni mezzo, auto, moto, furgoni, bici, portando con sé un abito, un cuscino, una coperta, povere masserizie. Se ne vanno perché questa terra, che pare maledetta, non dà un attimo di respiro. Sono brividi improvvisi, colpi sordi, schianti, crudeli sobbalzi. Quante scosse da questa notte? Quindici, venti, di più? In certi luoghi la terra è un fremito continuo. Due scosse sono state terribili, nono, forse decimo grado della scala Mercalli. Se non ci fosse stata la catastrofe di maggio, la catastrofe sarebbe avvenuta oggi. E ora si guarda a questo immenso cimitero di macerie. Magnano non è più. Gemona è rasa al suolo. E Artegna, Venzone, Trasaghis, Bordano, Cavazzo? E Braulins, Peonis, Avasinis, Alesso? Cancellate. Soffocati i palpiti di vita incipiente dopo la lotta del 6 maggio. Le scosse di sabato scorso, lo sconquasso avvenuto all'alba e nella tarda mattinata hanno calpestato tutto. Annullato le energie, distrutte le speranze. E allora si fugge tra grida e imprecazioni o sordi silenzi. Ci si affolla davanti alle baracche che ospitano gli uffici comunali, si chiede di partire. A Lagnano, a Udine, a Grado, pur di andare via. E si carica in fretta quello che si trova sottomano, magari si prende soltanto una borsa e si scappa. Anche a piedi, anche guadando i torrenti gonfi e cattivi. Sotto una pioggia che dopo la scossa delle 11,22 è diventata diluvio. «Dove andate?» si domanda. Rispondono con un vago cenno o dondolano il capo, o dicono Udine dove sperano di trovare una prima sistemazione. Ma anche Udine oggi pomeriggio appare una città morta. Chiusi la maggior parte dei negozi, chiusi i ristoranti, gruppetti di persone sedute sulle panchine dei giardini, altre, tante altre già allontanatesi alle prime luci. Le notizie del primo pomeriggio sono ancora incerte, contraddittorie. Manca un quadro completo di una situazione che sembra comunque insostenibile. Ci sono morti a Cavazzo, si dice. Un pulmino di militari è stato travolto da una frana di massi e terriccio. Poi la notizia si ridimensiona, no, sono soltanto feriti. Poi altri dubbi atroci si sollevano sulla sorte di alcuni abitanti di Trasaghis, Bordano, Avasinis e ancora Cavazzo, mentre si aprono dalle montagne torrenti di pietre che scendono con furia, ingombrano, interrompono, spazzano, mentre a Gemona come a Trasaghis edifici che avevi visto un momento prima in piedi, anche se puntellati o miracolosamente risparmiati dalle scosse di maggio e di sabato scorso, li vedi un istante dopo sfaldati, sbriciolati. Questa è la cronaca di un viaggio compiuto con l'amico Domenico Renna nelle zone più colpite dalla prima mattina fino a qualche ora dopo il grande sussulto delle 11,22. E ora, mentre sfoglio il taccuino con gli appunti, mi accorgo di assistere al progressivo deterioramento di una situazione, al precipitare degli stati d'animo dalla profonda delusione all'angoscia, al terrore tangibili, la verità di un istante prima è subito superata, il dramma di un'ora impallidisce nell'ora successiva. Ieri, quando la Commissione parlamentare aveva compiuto la visita, i terremotati sembravano animati da una nuova, improvvisa volontà di ripresa, erano rinati orgogli sopiti, il timore che un esodo potesse cancellare il tessuto sociale e familiare era diffuso, l'attaccamento alla propria terra era risorto con la forza propria dell'istinto. Poi c'è stato il primo sconquasso dell'alba. Secondi paurosi trascorsi nelle tendopoli con la terra che sembrava volesse scoppiare, catapultare lontano uomini e cose. E allora si va in cerca di nuove testimonianze, si tenta di ricostruire il nuovo itinerario della tragedia. Verso le 8 a Magnano il sindaco, Romeo Piccoli, mi parla di 14 edifici ancora recuperabili frantumati dal nuovo sismo. Davanti alla baracca del tabaccaio c'è una coda di persone, una trentina. Comprano la carta bollata per la doman¬ da di passaporto. Vanno in Svizzera, Austria, anche in Canada. «Ci siamo aggrappati alle brande questa notte, per poco il terremoto non ci sollevava come fuscelli». Altri sono nelle baracche degli edifici comunali. Si mettono in lista per l'esodo, parlano di Grado, Monfalcone, Lignano. Ad Artegna, tra sabato e questa notte, sono stati polverizzati oltre 80 caseggiati. Una ventina di famiglie è già partita per Lignano, il programma è di mandarne via altre venti nel tardo pomeriggio. Tutti guardano verso il Monte Chiampon. C'è una larga ferita che dalla cima scende a valle, due orride labbra marrone e grigiastre tra il verde del bosco. Si sono aperte con la scossa delle 5,15, tonnellate di pietre e di roccia sono scese con la forza di un uragano. Parlo con il sindaco di Gemona, Benvenuti. Gemona, già martoriata, ha la frazione Ospedaletto rasa al suolo. La frazione Piovega è bloccata. La banca e l'istituto tecnico che in qualche modo avevano resistito si sono afflosciati. Via Nazionale, che ieri avevo visto in uno stato relativamente passabile, non esiste più. Lo splendido municipio del '500, che si sperava di recuperare almeno in parte, si è polverizzato. Il rosone della facciata della chiesa trecentesca è precipitato. La gente si guarda intorno incapace di reazioni. Via con il cuore in tumultuo lungo la statale per Tarvisio. La caserma «Manlio Feruglio» del battaglione Tolmezzo, ieri intatta, è ora ingobbita, inabitabile; il ponte sul Tagliamento poco lontano ha rughe profonde. Ecco Venzone. Giù il campanile come col- pito da una mazzata, giù l'abside della bella chiesa, scheletri i muri. La linea ferroviaria è bloccata proprio nei pressi di una galleria. Cento metri più avanti la statale per Tarvisio piega a destra. All'altezza della curva, sul dorsale della collina, c'è la Villa delle Mura, una bella costruzione. L'ingegner Walter Cocchiatti, con periti e funzionari, vi sta compiendo un sopralluogo. Drappelli di gente. Incombono a sinistra i monti Brancot e San Simeone, a destra il Plauris, feriti, spaccati e martoriati anch'essi. Qui è l'epicentro del sismo che colpisce il Friuli dal maggio scorso. E' piovuto fino a poco prima. Ora sono le 11,20, c'è uno squarcio di sereno e uno strano sole ammalato. Salgo in macchina. Voglio vedere Portis e Stazione di Carnia, lungo la statale. Sul momento penso: «Qualcuno ha tamponato la macchina». Poi l'auto procede a singhiozzo, rulla e si alza come imprigionata da gigantesche tenaglie. E nell'aria un qualcosa che è ciclopico rombo, selvaggio muggito, pazzesco sferragliare di treni in corsa. E' il terremoto che nasce proprio di lì, da quelle montagne, trecento metri a lato. E le montagne sembrano avere macabre movenze e squarciarsi. Precipitano altri torrenti di pietre giù dai fianchi, volano macigni dappertutto. Poi è una gran polvere giallo-rossastra che sale dal Brancot, dal Pleuris e dal San Simeone, i monti maledetti sembrano vulcani. La polvere ricade, fa bruciare gli occhi, sembra soffocare. Si è come circondati dalla nebbia. Un glaciale silenzio e poi le urla, le corse senza meta, le invocazioni. La Villa delle Mura è crollata, le macerie hanno ostruito la statale. Qualcuno è rimasto sepolto, ci sono macchine imprigionate? Momenti d'ansia, poi i vigili del fuoco fanno segno di no. Un miracolo, la strada verso Tarvisio ed il confine è infatti frequentatissima. E salvi sono anche l'ingegner Walter Cocchiatti e i suoi collaboratori, sfuggiti per una serie di circostanze casuali alla caduta della villa dove lavoravano. E che ne è di Portis, di Stazione Carnia? Oltre alla curva s'intravedono funghi di fumo e di polvere. Che cos'è successo? Impossibile accertare, la strada è bloccata. E Trasaghis, Bordano, Cavazzo, cioè la zona dei tre comuni su cui incombe il Brancot? Torno verso la caserma «Feruglio» e piego a destra. Camionette dei carabinieri e degli alpini sul ponte che immette nella zona del lago dei Tre Comuni. E qui incomincio a vederli fuggire. S'infilano negli ultimi casolari che in qualche modo rimangono ancora in piedi o nelle tende sistemate nei campi accanto alla strada, escono con una valigetta, una borsa, una coperta, un po' di cibo e corrono verso la statale. O si fermano sulla spalletta del ponte in attesa di un aiuto. Figure inebetite, stanche, rattrappite, quadri di dolore. O trascinano un carretto o passano stipati su auto, o vagano nella campagna. La strada per Cavazzo è ostruita da macigni, un istante prima non c'erano. Un'auto con sei alpini è stata travolta. I militari saranno recuperati feriti da un elicottero. Da Bordano l'esodo è massiccio, a Trasaghis ci sono case squarciate da poco e così sarà anche sulla via del ritorno. La terra è sempre percorsa da fremiti. E' un martirio continuo. S'incrociano ambulanze, mezzi dei vigili del fuoco, i primi autocarri della brigata Julia, della divisione Mantova, della divisione corazzata Ariete. Vanno verso il lago dei Tre Comuni per i primi trasporti. Il Tagliamento è livido, il cielo è di nuovo tutto coperto e la pioggia è diventata diluvio. Così muore una terra. Clemente Granata Venzone. Continua il forzato esodo: alcuni abitanti abbandonano il paese su un motocarro (Tel. Associated Press)

Persone citate: Benvenuti, Domenico Renna, Feruglio, La Villa, Lignano, Manlio Feruglio, Mercalli, Romeo Piccoli, Walter Cocchiatti