Tiziano di Marziano Bernardi

Tiziano VISITANDO PIEVE DI CADORE Tiziano (Dal nostro inviato speciale) Pieve di Cadore, settembre. La casa dove a Pieve di Cadore nacque Tiziano ad una data che i suoi più recenti studiosi pongono tra il 1488 ed il '90, cosi ritornando dopo molti dubbi alle fonti del Vasari e del Dolce e smentendo la tradizione della morte — il 27 agosto 1576 — all'età di quasi cent'anni, è una piccola costruzione in pietra grigia che il restauro non ha modificato nelle strutture esterne ed interne, situata un po' più in basso della piazza in cui campeggia l'ottocentesco monumento di Antonio Dal Zotto che con ingenuo ma affettuoso verismo raffigura nel bronzo il pittore in piedi con la tavolozza ed il pennello in mano. Una dimora modesta ma decorosa, adatta a un notabile di Pieve quale era il capofamiglia Gregorio Vecellio che, figlio di notaio e giureconsulto, esercitò varie magistrature nella Magnifica Comunità Cadorina: quattro ambienti al pianterreno, altrettanti al primo piano cui si accede per una scala esterna di legno sotto il largo sporto del tetto. Le incorniciature scolpite delle porte sono ancor quelle originali, avverte il custode, che mostra la grande cucina con il focolare avanzato a un terzo della stanza e circondato da panche, la cameretta dal soffitto basso nella quale si dice abbia visto la luce quel sommo, qualche mobile che potrebbe essere appartenuto ai Vecellio, alcune lettere autografe di Tiziano (ve n'è anche una dell'Aretino), il diploma di Carlo V, del 1533, che lo creava conte palatino e cavaliere dell'ordine dello Sperone d'oro col diritto di entrare a Corte, cimeli appesi alle pareti della stanza maggiore. Più di centocinquanta persone visitano ogni giorno, nella stagione turistica, questa casa che Tiziano lasciò fanciullo di nove anni, secondo l'asserzione del contemporaneo Lodovico Dolce nel Dialogo della pittura intitolato l'Aretitino, 1557, mandato dal padre a Venezia presso un suo fratello, che subito condusse il nipote « alla casa di Sebastiano » (cioè il modesto pittore Sebastiano Zuccato) « perché esso gli desse i principii dell'arte ». Siamo dunque a circa il 1500, e non è questo il luogo ed il momento di seguire la prodigiosa ascesa del ragazzo tosto passato dalla bottega del suo primo arcaizzante maestro a quella di Gentile e Giovanni Bellini, accostandosi in seguito a Giorgione. Piuttosto, usciti all'aperto e girato lo sguardo sulla verde valle e sui più lontani monti scabri, resta da domandarsi qual fu il rapporto sentimentale, il legame d'affetto di Tiziano nei tanti anni della sua lunghissima vita con il « castelletto chiamato la Pieve » (così l'annotazione nella popolare edizione Daelli del Dialogo, del 1863), con la casa dove, bambino, aveva lasciato i genitori, il fratello Francesco, le sorelle tra le quali la fedele Orsola poi venuta presso di lui a Biri Grande in contrada San Canciano a Venezia dopo la morte della moglie Cecilia. Neri Pozza nel suo Tiziano ora uscito da Rizzoli, vivacissima biografia in cui il gusto dello scrittore gareggia con la informazione dell'erudito, lascia supporre delle ore di nostalgia propiziate da certi ricordi infantili. Tornata a Venezia la pace dopo la dura guerra seguita alla Lega di Cambrai (e per anni l'artista avrebbe trascinato l'impegno con la Serenissima di dipingere La battaglia di Cadore), «gli sarebbe piaciuto passare a Pieve l'invernata; andare per i trozi del Tranego e di San Dionigi coi boscaioli a tagliare le piante, passare le sere davanti al fogo » ; e seguendo il funerale del suo maestro Giambellino, un funerale deserto d'affetti, « meglio, pensava Tiziano, morire a Pieve... gli uomini in chiesa cantano coi preti, e dopo le esequie e la sepoltura, tutti convengono in casa a discorrere delle virtù del trapassato, mentre le donne nelle stanze vicine preparano il pranzo, a ristoro delle lacrime versate ». E, morta Cecilia nel 1530, il Pozza fa risalire l'afflitto vedovo col fratello Francesco a Pieve, come a cercar conforto presso il paterno focolare: « Erano partiti come fuggissero, frastornati di dover ricominciare a vivere senza di lei ». Orsola si lascerà convincere a scendere a Venezia per governare la casa vuota di donna. Realtà o fantasia — una fantasia da « Vaghe stelle dell'Orsa » — questo mesto ritorno a Pieve? Realtà o fantasia l'altra sosta a Pieve durante il secondo viaggio ad Augusta, chiamato da Carlo V nel 1550? « Profittava del viaggio per passare a Pieve, far vedere ai concittadini l'equipaggio e gli onori con cui emigrava; e che la Magnifica Comunità tenesse conto che lui aveva raggiunto questa reputazione per il suo pennello invidiato ». Di questi due episodi narrati dal Pozza non fa cenno la rigorosa documentazione dell'uomo e dell'artista inserita nello splendido lavoro di Francesco Valcanover che altra volta qui ricordammo, Tutta l'opera di Tiziano, della esemplare collana Rizzoli « Classici dell'arte »: libro del 1969 che può essere un perfetto « viatico » nella ricorrenza del quarto centenario della morte del Vecellio. L'unico ritorno a Pieve documentato dal Valcanover (di cui il Pozza non parla) è quello del 1565, quando Tiziano vi si recò per dare istruzioni circa l'esecuzione su suoi disegni degli affreschi nell'abside dell'arcidiaconale di Pieve, un ciclo pittorico distrutto nei 1813. Fu durante questo soggiorno che l'ormai settantacinquenne artista si decise a dipingere il quadro votivo (ricordato dal Vasari) per la cappella dell'arcidiaconale dove avevano sepoltura i suoi genitori e il fratello Francesco? La paletta, una tela di 101 centimetri per 137, sta ora nella terza cappella a sinistra della nuova ottocentesca chiesa arcidiaconale di Pieve, e raffigura una soave Madonna allattante il Bambino tra sant'Andrea e san Tiziano; secondo la tradizione sarebbe effigiato Francesco nel sant'Andrea, ma certo è l'autoritratto di Tiziano, similissimo a quello famoso del Prado, nel vecchio che appare col pastorale in mano dietro san Tiziano. Nel suo monumentale Tiziano, due volumi pubblicati da Sansoni nel 1969, Rodolfo Pallucchini dà un'ampia scheda di quest'opera e, come il Valcanover, nota che la recente pulitura ne riconferma l'alta qualità e quindi l'autografia, prima messa in dubbio da qualche studioso. Entrambi la datano circa il 1569-70, il che contrasterebbe con la menzione del Vasari che avrebbe visto il quadro nella sua visita a Ver., zia del 1566, nello studio dell'autore. Ma potrebbe darsi che il dipinto fosse allora appena abbozzato o non terminato: Tiziano infatti indugiava a lungo sui suoi lavori; spesso li interrompeva, li meditava, li riprendeva; contrariamente a quanto possa apparire, non era un pittore rapido e d'impeto, né sempre di sé soddisfatto. Benché incerti, labili, scarsamente documentati e talvolta appena supposti, i legami sentimentali e forse il filo della nostalgia non furono mai recisi fra lui ed il luogo natio. E poi si tenga conto di quel segreto ineffabile rapporto che Tiziano, sull'onda di Giambellino e ancor più di Giorgione, seppe istituire tra le creature viventi e la natura, creando per il primo — nel Concerto campestre, nella Venere di Dresda, adi'Amor sacro e profano, nell'Offerta a Venere — quella che si potrebbe dire una « musica paesistica ». Non sorgeva in lui, questa musica, dall'antica memoria del fanciullo di Pieve? Ed i monti che si scorgono nel fondo di paesaggio della Presentazione della Vergine al tempio non sono quelli dolomitici del suo Cadore? Giustamente perciò Pieve di Cadore onora il suo grande figlio con una singolare manifestazione allestita nel nuovo « Palazzo delle mostre » appe 7ddpndblfic2ncscd na fuori dell'abitato. Scelte 79 opere tra le più significative del Vecellio, dal così detto Ritratto dell'Ariosto di Londra alla Pietà delle Gallerie di Venezia, ne presenta le riproduzioni fotografiche, ora in nero ora a colori, fin dove fu possibile nelle dimensioni degli originali. S'intende che la mostra, aperta fino a ottobre, corredata in apposita sala da proiezioni cinematografiche, visitata ogni giorno da centinaia di persone (più di 20.000 dalla sua inaugurazione), vuole essere soltanto documentaria, in un certo senso « nozionistica » e mnemonica. La « gigantografia » a colori risulta fatalmente traditrice dal punto di vista critico, e nel caso particolare di Tiziano può addirittura tradursi, bombile diclu, in una immagine «pop». Ancora una volta si rivela l'inadeguatezza dell'azione fotografica nei confronti dell'azione pittorica, lo svilimento del « multiplo » rispetto alla suggestione del capolavoro unico. Ma ciò nulla toglie al valore didattico della mostra di Pieve, che si inserisce come un commosso omaggio del Cadore tra le varie celebrazioni in tutto il mondo del centenario tizianesco. Marziano Bernardi Pieve di Cadore. La casa natale di Tiziano, d'inverno