Pci: bandiere rosse a mezz'asta di Gaetano Scardocchia

Pci: bandiere rosse a mezz'asta Pci: bandiere rosse a mezz'asta Roma, 9 settembre. Mancavano cinque minuti a mezzogiorno quando gli impiegati della direzione comunista hanno esposto sul balcone centrale di via delle Botteghe Oscure la bandiera tricolore e la bandiera rossa, entrambe a mezz'asta e abbrunate con un nastro nero avvolto a fiocco. Si è capito in quel momento che il pei aveva deciso di tributare il massimo delle onoranze a Mao Tse-tung. E i dissensi? E i contrasti? Ci sono e restano, ma Mao è Mao: la scomparsa di una figura tanto leggendaria cancella e oscura per qualche giorno tutte le polemiche passate e presenti. «Se l'ambasciata cinese di Roma decidesse di esporre un registro per le firme di cordoglio — diceva Giancarlo Pajetta ai suoi collaboratori — credo che Enrico Berlinguer andrebbe a firmare in nome del pei». Molti dirigenti non erano in sede quando è giunta la notizia della morte di Mao. Sergio Segre, il responsabile della sezione esteri, è in vacanza. Trivelli, Chiaromonte e altri membri della direzione sono impegnati nel carosello dei | dibattiti al Festival di Napoli. Berlinguer è rientrato ieri a Roma dalla Sardegna ma stamane non aveva ancora messo piede nel suo ufficio ed è stato contattato per telefono. Tutte le decisioni sono state prese in una riunione, durata poco più di un'ora, alla quale hanno partecipato i pochi membri della segreteria che si trovavano nel palazzo di via delle Botteghe Oscure. Alle 11 e 45 sono partite le prime telefonate per le fede- ■ razioni provinciali: bandiere ! abbrunate, commemorazioni j pubbliche, discorsi nei consi! gli comunali, un minuto di si! lenzio durante le manifestazioni di partito. Nel frattem¬ po L'Unità veniva invitata a | preparare un necrologio uffi1 ciale e un titolo di prima pa| gina a nove colonne, mentre i un comitato della segreteria i stendeva il testo del messaggio ufficiale da inviare al Co. mitato Centrale del partito I comunista cinese. Il testo del telegramma, diffuso più tardi, ricorda Mao Tse-tung come il protagonista del movimento di liberazione e di unificazione del suo paese e poi, dopo il 1949, di costruzione della Cina «popolare e socialista». Questo evento «ha modificato i rapporti di forza internazionali tra socialismo e capitalismo» e ha aiutato i popoli del Terzo Mondo a emanciparsi dal giogo coloniale. «I comunisti italiani — conclude il messaggio — nel ricordare l'illustre figura e l'opera del compagno Mao Tse-tung formulano l'auspicio più sincero che il popolo cinese continui ad avanzaj re sulla strada del socialismo j e dia il suo insostituibile apporto all'affermazione nel mondo del progresso e della pace». Abbiamo chiesto a Giancarlo Pajetta, responsabile della commissione affari internazionali del pei, che significato I ha questo messaggio dopo che da oltre dieci anni non esiste più alcuna comunicazione tra i due partiti. Pajetta ci ha risposto: «Abbiamo espresso la commozione per la scomparsa di un uomo che ha avuto una funzione così importante non solo nelle vicende del suo paese, ma nel movimento operaio e rivoluzionario mondiale. E' un protagonista che ha lasciato il segno nel destino dell'umanità. Abbiamo poi voluto testimoniare la nostra solidarietà e comprensione per i comunisti e il popolo cinesi in un momento delicato della loro storia». Tuttavia, Pajetta tiene a precisare che il pei non ha né la possibilità e tantomeno l'intenzione di entrare nel merito della situazione interna cinese dopo la morte di Mao: «Certo, un uomo che ha marcato così profondamente, con la sua personalità, la storia del proprio paese, lascia, nel momento in cui muore, dei problemi aperti. Detto que¬ sto, però, devo aggiungere che da lontano non sono consentite profezie e nemmeno interpretazioni sulla natura e vastità di questi problemi». Abbiamo chiesto: perché non avete accennato ai disaccordi ideologici che vi hanno diviso? Pajetta ha risposto: «I disaccordi non ci hanno fatto mai dimenticare ciò che Mao ha rappresentato nella storia del mondo. E perciò, se oggi dovessi fare un riferimento alle passate polemiche, lo farei per dire che esse non ci hanno impedito e non ci impediscono di esprimere il nostro cordoglio». Giancarlo Pajetta è stato l'ultimo dirigente comunista italiano che abbia avuto un contatto ufficiale con i cinesi. Fu nel 1965, quando ormai i rapporti Urss-Cina erano già precipitati ed era cominciata la rivoluzione culturale. «Ero in viaggio per Hanoi alla testa di una delegazione del pei. Era previsto uno scalo tecnico a Pechino e a bordo dell'aereo ci chiedevamo come saremmo stati accolti all'aeroporto. E invece trovammo ad attenderci uno dei massimi dirigenti cinesi, Kang Sheng, e una sfilata di "pionieri" che ci festeggiava. Fummo anche invitati a cena da Teng Shiao-Ping, segretario del partito, e fu una conversazione franca e polemica. Fu anche l'ultima. Dopo di allora, i cinesi rigettarono l'Invito che gli rivolgemmo di assistere all'undicesimo Congresso del nostro partito». Più volte negli anni recenti — attraverso la mediazione dello spagnolo Carrillo e dei comunisti vietnamiti — il pei ha tentato di aprire uno spiraglio nel muro dell'ostilità e del silenzio cinese. Un mese fa, in una intervista all'Espresso che aveva tutta l'aria di essere un tentativo di approccio, Pajetta ripeteva che il pei «rifiuta ogni politica di ripicca o di falso prestigio formale» e si diceva pronto a | ricevere a Roma una delegaj zione cinese o a inviare una delegazione a Pechino per I chiarire «le rispettive posizioI ni». Chiediamo a Pajetta: che risultati ha ottenuto con le | sue dichiarazioni? Risposta: «Ci sono state alcune repliche abbastanza grossolane da parte dei grup- Gaetano Scardocchia (Continua a pagina 2 in prima colonna)