"Liggio fu l'ispiratore di ogni rapimento" di Vincenzo Tessandori

"Liggio fu l'ispiratore di ogni rapimento" Arringhe di pc al processo dell'«Anonima sequestri» "Liggio fu l'ispiratore di ogni rapimento" (Dal nostro inviato speciale) Milano, 7 settembre. «Questo è un processo di mafia». Per la prima volta al tribunale che deve giudicare gli «uomini d'onore» accusati di tre sequestri di persona si è parlato in modo esplicito del «sindacato clandestino dì persone al di fuori della legalità che esercita il controllo dì attività economiche e del sottogoverno». Toccherà ai giudici di Milano dare un esatto contorno ai personaggi e alle situazioni che vedono coinvolti Luciano Leggio, detto Liggio, e trentuno affiliati all'«onorata società». La discussione si è iniziata alle 10,15 e s'è cosi riannodato un discorso rimasto interrotto per due mesi e mezzo. Tra gli imputati detenuti, assenti don Agostino Coppola e uno dei fratelli Taormina, quel Francesco che si era accusato della detenzione di Luigi Rossi di Montelera. Ha parlato, per quasi tre ore, l'avvocato Luigi Manzini, di Vigevano, patrono di parte civile di Pietro Torielli junior. «Questo — ha detto — è un processo nel quale non ci si può illudere di avere prove fotografiche o altre che confermino la responsabilità di molti imputati». Quindi, capovolti i termini del discorso, ha dichiarato: «Questo è un processo indiziario, quindi mafioso». Della vicenda che lo vide coinvolto fra il 18 dicembre '72 e il 7 febbraio dell'anno successivo Pietro Torielli è protagonista singolare. Da una parte è la vittima impaurita, la sua liberazione e la sua vita hanno avuto dai banditi un prezzo: un miliardo e mezzo; dall'altra, travolto dal terrore per le minacce ricevute, s'è trovato a scegliere tra la verità e la menzogna. E, almeno in un primo momento, ha preferito mentire. Così è imputato, a fianco dei suoi stessi rapitori. Nell'ordinanza il giudice istruttore Giuliano Turone ha scritto parole dure: «Il comportamento del Torielli, anche se fosse dettato da un cieco terrore nei confronti dei suoi rapitori, non può trovare alcuna giustificazione». Stamani l'avvocato Manzini ha tentato di indicare i meccanismi che hanno determinato la spelta dell'industriale. Vittima, comunque, e non reo, ha sottolineato il difensore che ha confermato le richieste della parte civile: restituzione del riscatto, cioè un miliardo e 453 milioni; un adeguato risarcimento per i danni morali, che dovrà essere stabilito dal tribunale; la condanna degli imputati. Sulla traccia delle indagini condotte dai magistrati inquirenti, il difensore di parte civile ha poi disegnato un quadro d'assieme nel quale i vari personaggi alla sbarra, da Liggio a Francesco Guzzardi, da don Agostino Coppola a Ignazio Pullara, hanno una precisa collocazione. «Sono clan vincolati. Tutti gravitano attorno alla figura di Luciano Liggio e costui, benché non sia presente nei vari momenti in cui ì reati vengono commessi, è tuttavia il grande ispiratore, il distributore successivo dei frutti dei rapimenti». Manzini ha indicato una sorta di «solidarietà criminosa» che legherebbe gli «uomini d'onore» oggi sotto accusa. L'avvocato ha quindi posto il dito sulla vicenda di Pietro Torielli. «Per compiere il colpo i rapitori hanno potuto contare su basisti molto vicini a lui». E' il ruolo ricoperto da Michele Guzzardi, fratello minore di don Francesco. E da Michele, pedina secondaria anche se importante nella grande partita che si stava giocando attorno a Tornelli, si risale agli altri anelli della catena. Michele Guzzardi è il fidanzato della figlia del portinaio di villa Torielli, è lui che sarebbe stato l'intermediario nelle trattative, ruolo a cui non le vittime ma i rapitori lo avevano destinato. Quindi i punti di contatto che legano la vicenda Torielli al rapimento Rossi di Montelera. Ha aggiunto Manzini: «Il povero Torielli ha subito una specie di lavaggio del cervello. Ma anche lui, come Montelera, è stato nella cella sotterranea di Treviglio. Il suo racconto, quello non vero fatto subito dopo la liberazione, ne è la prova: ha parlato, infatti, di una cella "in alto", alla quale si poteva arrivare salendo una scala». Dunque, essendo «indiscutibilmente responsabili i Taormina della detenzione di Montelera lo sono stati altrettanto di quella di Torielli». Ci sono in questa vicenda «verità riconoscibili», ha concluso Manzini. Vincenzo Tessandori Milano. Luciano Liggio, sigaro in bocca, in tribunale alla ripresa del processo contro l'Anonima sequestri (Tel. Ansa)

Luoghi citati: Milano, Taormina, Treviglio, Vigevano