Due m corsa perla Casa Bianca

Due m corsa perla Casa Bianca Gerald Ford e Jimmy Carter; il mistero di due americani qualunque Due m corsa perla Casa Bianca (Dal nostro inviato speciale) New York, settembre. La campagna elettorale comincia adesso. Le luci si sono spente sul dramma e sulla festa delle «convenzioni». Gli sconfitti sono uscitici sccnai Adesso il campo è libero, per a riflessione, per la memoria, i per il desiderio e per la fantasia Al centro sono rimaste due figure: Gerald Ford, presidente «sostituto» degli Stati Uniti d'America, originario di un piccolo centro del Middle West (Grand Rapids, Michigan), politico esperto, membro del Congresso per vent'anni, capo della minoranza repubblicana fino al momento in cui è stato scelto da Nixon per sostituire il vicepresidente dimissionario Spiro Agnew. E Jimmy Carter, ufficiale di marina, tecnico nucleare, piantatore del Sud e proprietario di un'azienda di noccioline, go- vernatore, per quattro anni, dello Stato della Georgia. Né Ford, né Carter sono personalità controverse. La loro vita (o almeno la loro immagine) è limpida, essi hanno la persuasione interiore di essere due galantuomini. Questa persuasione sj veciej s; sente> vjene cveduta. E la «credibilità» dei due candidati non è un trucco. Essi non sono prodotti di confezione, non sono i Frankenstein di una formula politica messa insieme su ordinazione, come piace immaginare — a volte — ai commentatori europei che in America cercano sempre il complotto. Hanno vissuto una vita non drammatica, non oscura, non tormentata dall'ossessione del potere Ma un personaggio non con-1 troverso (cioè non discusso e moralmente non dubbio) è più misterioso di un personaggio che mostra le cicatrici, perché le I cicatrici hanno una ragione e una storia. Le due figure che gli I americani devono scegliere sono I avvolte nella lieve nebbia di, una certa genericità. Immagini semplici e chiare, facce che si ricordano bene. Ma una parte dei tratti di comportamento si sovrappone, perché ognuno dei j due ha qualcosa di «normale», j di «comune», che nello stesso | tempo piace e confonde. Molto lavoro, lìgli sani, mogli simpatiche. Il percorso della loro vita sembra un cardiogramma dai tratti regolari. C'è un'idea di salute che non c'era dal tempo dei Kennedy, un elemento di paternità che fa pensare ai tempi di Roosevelt, certi tratti dell'uomo dal vestito grigio — compresa la tenacia, mischiala a una impres- sione di lealtà — che ricordano Truman. Il confronto fra i due uomini mostra prima di tutto una somiglianza. E poi quel tan lo di misterioso che circonda la vita di chi non ha mai fatto niente di eccezionale, di chi ha la faccia della maggioranza dei suoi coetanei e ha avuto molta cura della sua vita privata. Un buon vicino, con la porta chiusa e la voce bassa. Alcune differenze biografiche dicono forse qualcosa. Ford è uri vincitore dell'ultimo istante. Era un orfano ed è stato adottato dalla famiglia «giusta» (tanto che dice di non ricordare di essere un figlio adottivo). Era «un bravo ragazzo» di provincia dedito allo sport e pronto a scomparire nella folla, quando l'occasione lo ha spinto a Washington. Era un deputato qualunque, ma le sue doti medie, la sua bonarietà, l'inclinazione ad andare d'accordo dei non ambiziosi, lo hanno spinto in su, verso il posto di «Minority leader», la classica terza scelta fra rivali duri e potenti. Era soddisfatto di questo punto alto della sua vita. Ma in sei mesi è diventato vicepresidente e poi presidente degli Stati Uniti a causa di uno scan| dalo che non ha precedenti e che nessuno poteva immaginare. La linea della sua vita, insomma, è allo stesso tempo diritta e strana. Va senza curve e senza incertezze alla Casa Bianca, benché l'uomo che la percorre non ne sia davvero il protagonista. Per questo Carter scruta cautamente e senza trionfalismi il suo avversario. Ford ha tutto | contro di lui, compresi i segni j evidenti di un paese che vuole cambiare, di un partito in crisi (i repubblicani) e della percepibile forza in ascesa dei democratici. Ford. Carter lo sa. non ha mai avuto molto, dalla sua parte. Tranne la conclusione Jimmy Carter è certamente un 'uomo che ha fabbricato se stes- so. Non secondo il modello del «self-made man» caro alla tradì- zione americana. Carter non è | j mai stato povero. Appartiene jon orgoglio, come i Kennedy, a un «clan» che nella sua piccola città di seicento abitanti è il centro di tutto, anche se la parola «potere» forse era fuori posto, per i Carter di Plains, prima che iniziasse questa incredibile carriera politica. Per capire Carter bisogna ricostruire la sua «crescita» come un fatto interiore. Non ancora religioso (la «conversione» avviene più tardi, pochi anni fa ma certo come qualcosa che avviene «dentro», per un bisogno o una ricerca di perfezionismo), la vita di Carter non si svolge per gradini successivi, uno più basso, uno più alto. Piuttosto a cerchi concentrici, cerchi che si allargano, fino alle proporzioni della sua immagine di adesso. La sua motivazione non può essere stato il potere, che gli si è «rivelato» (per usare il suo linguaggio) solo pochi anni fa. Ma sempre il suo modo di prepararsi per il passo successivo è stato prudente e meticoloso fino al dettaglio, sempre l'impegno è stato completo, come se quel che stava facendo (l'ufficiale, l'ingegnere, il coltivatore, il governatore) fosse tutto, per sempre. Ogni volta il distacco dal passato è stato totale, un voltarsi deciso verso «la nuova vita». Sola continuità: il clan, la famiglia, che ha esteso fino a volere ancora un bambino, alla soglia dei cinquantanni quando il figlio maggiore era già avvocato. Per questo Ford scruta a sua volta Carter con attenzione. Carter non ha fatto mai un passo falso. * * 11 confronto politico diventerà più chiaro nelle ultime settimane del dibattito elettorale. II partito di Ford si è spostato verso destra dopo la Convenzio- ' ne di agosto. Ford lo rappresen ta anche se non ha voluto que sto cambiamento. 11 partito de mocratico si è dato un program ma orientato sui bisogni e i prò- blemi sociali, sotto la guida e col diretto controllo di Carter. Dunque Ford sembra svantaggiato dal dover cavalcare un animale recalcitrante che non ha scelto. E Carter è favorito dall'armonia che ha creato. Eppure Ford sarà votato da una base attratta dal programma conservatore di Kansas City piuttosto che dalla persona del presidente. E Carter sarà sostenuto per la sua personalità e la sua immagine — che occupa uno spazio più ampio delle buone intenzioni del suo partito. In questa immagine entra il fatto nuovo e misterioso della stagione politica, la religiosità di Carter. E non tanto per i suoi aspetti formali (Carter è diacono della Chiesa battista, predica la do menica, ma tutto ciò non è ecce zionale nella vita di un uomo del Sud, e una certa ritualità religiosa si pratica apertamente in America). Piuttosto perché Carter costruito la sua vita (e la sua immagine) intorno alla visione reigiosa della realtà. Lo stesso cordone ombelicale che lega Carter al Sud e al particolare modo di essere religioso nel Sud, lo lega alle masse negre. E diventa un'attrazione strana e difficile da definire in due direzioni impreviste: le masse bianche della piccola classe media, e le élites laiche delle metropoli. Molti fanno notare le differenze psicologiche e umane dei due personaggi. Carter è più «intellettuale», cauto, introverso. Ford ha la faccia del buon vicino. Carierama il confronto individuale, dar dibattito al tennis. Ford detesta i dibattiti ed è stato — con molta forza fisica e un certo successo — un giocatore di rugby. La vita in pubblico è congeniale a Ford. Carter ama il cerchio ristretto, sempre la stessa gente, se possibile. Ma di fronte alla folla Carter, riconoscono gli esperti, ha un effetto notevolmente più grande. Eppure l'immagine dei due personaggi, con cui gli elettori dovranno confrontarsi, non è la somma delle qualità e delle contraddizioni personali, non è la bandiera politica che hanno in mano. E non è il frutto di una macchina di pubbliche relazioni. Ford è il prodotto medio della vita politica americana, sul versante provinciale che ha qualche goffaggine e pochi segreti. Carter viene da un mondo che la maggioranza degli americani non conosce, muove insieme sentimenti vecchi e nuovi che attraggono prima ancora di essere capiti a fondo. L'elettore americano ha la sensazione di essere a un bivio importante prima ancora di poter elencare tutte le ragioni della sua scelta. Spera di capire meglio durante il confronto televisivo delle prossime settimane. La forza delle immagini è grande. Gli esperti di opinione dicono che la maggioranza ha già deciso. Dalla parte di Carter c'è il fascino dell'imprevisto. Furio Colombo Carter e Ford, di Levine (Copyright N.Y. Review of Books, Opera Mundi e La Stampa)

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