Neil India di Indirà di Aldo Rizzo

Neil India di Indirà MENTRE SI ACCENTUA LA STRETTA AUTORITARIA Neil India di Indirà I modesti risultati della lotta al sottosviluppo non possono giustificare la sospensione della democrazia L'ostacolo pauroso della sovrappopolazione e l'inquietante aspirazione allo status di grande potenza (Dal nostro inviato speciale) i Bombay, settembre. j Ora il fragile universo in- j diano è sormontato da dure I parole d'ordine, firmate da Indirà Gandhi. La più inquietante intima: «Talk Less, Work More», parla meno, lavora di più. Altre sono meno drastiche, più accattivanti: «Anche tu hai un ruolo nell'emergenza nazionale». Altre ancora sono di tipo illuministico: «La vera magia è il lavoro, la determinazione, la lungimiranza». Alcune, infine, sono incoraggianti: «La disciplina ha già migliorato la nostra economia». Oppure, più ottimisticamente: «Il Paese è in marcia». Afa sotto il «Gateway of India», l'ampio e composito arco trionfale costruito nel primo Novecento per la visita di Giorgio V, e ora massimo punto di riferimento nella più grande metropoli indiana, fra i turisti che si affacciano sulla riva dell'oceano e la ressa dei battelli che partono o attraccano, e i gabbiani e i corvi frammisti e voraci, decine di persone dormono a mezzogiorno, o appaiono pervase da un torpore invincibile, stese sul pavimento. Altre, in maggior numero, sono in piedi, ma in un'estatica osservazione di ciò che accade, o che esse possono scorgere, in un albergo vicino. Questa folla fa un passo avanti, appena uno straniero ne fa uno a sua volta, per uscire sulla strada. I più sono bambini, dall'espressione supplichevole e dolce. Siamo nel centro anglicizzante, nel quartiere di stampo vittoriano che sta tra l'oceano e la giungla urbana che è, per il resto, Bombay. Uscire da questo quartiere e inoltrarsi nella giungla, nell'aria sfatta e corrotta di un pomeriggio tropicale, è fra le esperienze più vive e drammatiche che il mondo contemporaneo riservi a un viaggiatore. Bombay, o Calcutta sull'altra riva del subcontinente, va vista almeno una volta, come va vista New York o una grande città europea, Roma o Parigi: perché come New York o Parigi rappresenta, per certi versi alla pari, un aspetto della condizione umana, uno dei modi possibili, perché storicamente realizzatisi, della convivenza su questo pianeta. La folla miserrima dilaga senza soluzione di continuità da porte e balconi di case fatiscenti, a volte simili a uccelliere, sulla strada, dove pure transitano taxi e auto private e grossi autobus rossi e carretti a mano, fino alle porte e ai balconi dell'altra sponda. Il frastuono dei clacson si fonde con quello delle voci umane, e in un certo senso con gli odori drogati della città, fra sudori e spezie, in un insieme indistinto e tuonante, che ricorderebbe quello dei mercati arabi, della casbah mediterranea, se non fosse moltiplicato per mille, in una dimensione quantitativa inimmaginabile altrove. Questa è davvero l'uinflazione umana», in una chiave così angosciosa da risultare persino lirica. Poi si ritorna verso il centro vittoriano e si vede, su un palazzo vicino al «Gateway of India», la scritta: «Atomic Power Authority». E ci si ricorda che questo è il sesto membro, dopo le massime potenze del mondo, del «club» nucleare. Ci si ri corda che questo è un Pae se tendenzialmente egemone nell'Asia extra-cinese ed extra-sovietica, un Paese che ha anche vinto una guerralampo contro il Pakistan, smembrandolo del Bangladesh. Così appare l'India di Indirà, a Bombay, un anno dopo l'atto di forza che ha trasformato quella che si autodefiniva (da più grande democrazia del mondo» in un regime ambiguo, sospeso tra il vecchio garantismo di tipo britannico e le nuove tentazioni del dispotismo terzomondista, in un'incertezza che già si sta sciogliendo nella seconda direzione. Ci si domanda: con quali risultati concreti? Che cosa è cambiato o può cambiare? In altre parole: c'è un compenso per gli indiani, in termini di lotta al sottosviluppo, per la perdita di molte libertà? I dati governativi inclinano, è ovvio, all'ottimismo. La produzione industriale sarebbe aumentata del 5,7 per cento, contro il 2,5 di un anno fa e lo zero del '74. Soprattutto la produzione agricola avrebbe fatto un salto in avanti, con il massimo raccolto granario da molti anni in qua. Ma i gains of the emergency, i guadagni dell'emergenza, devono molto a un fattore occasionale, come l'andamento stagionale, e in particolare il ciclo monsonico, che ha riempito i bacini idroelettrici in una misura di cui si era perso il ricordo. D'altra parte è chiaro che la stretta autoritaria, in un Paese come questo, produce certi effetti sull'indole collettiva, condiziona certi comportamenti abulici o asociali. Così la leggendaria indolenza della burocrazia, favo¬ rita dalla ripugnanza culturale della casta braminica a un lavoro regolare, deve ora fare ì conti con un potere politico attivista e dotato d'inediti mezzi di coazione. E gli speculatori, gli operatori piccoli e grandi del mercato nero, gli evasori fiscali, hanno un margine di manovra decisamente ridotto. Se poi si aggiunge a tutto questo la sospensione del diritto dì sciopero, accompagnata, mi dicono, dall'arresto del cavo dei sindacati, la produttività, in sé, non può che aumentare. E tuttavia i dati di fondo del sottosviluppo indiano restano immutati, né si vede in qual modo l'emergenza possa aggredirli meglio di quanto non abbia saputo fare la democrazia parlamen¬ tare, del resto dominata dallo stesso partito di Indirà, lo storico Partito del Congresso. Se l'emergenza può segnare dei punti al suo attivo, è sempre sul terreno della sopravvivenza, non su quello dello sviluppo e del decollo. Su questo secondo e decisivo terreno, i°.sta l'ostacolo pauroso, ancora praticamente inattaccato, nonostante molti sforzi sin aeri, della sovrappopolazione. Le campagne per il controllo delle nascite non hanno fin qui impedito un incremento demografico superiore al due per cento. Questo vuol dire, approssimativamente, che ogni anno nascono in India 21 milioni di persone e ne muoiono otto milioni; la popolazione globale si accresce di 13 milioni, che è il totale degli abitanti del! l'Australia. Anche in questo campo l'emergenza può avere una sua efficacia, superiore a quella della normalità democratica; ma i vantaggi vengono definiti marginali, dagli osservatori imparziali, in una prospettiva a lungo termine, salvo l'ipotesi radicale, apocalittica, di una sterilizzazione di massa coattiva. Si ritiene praticamente inevitabile che gli indiani, che venticinque anni fa erano 380 milioni e oggi sono circa 600, diventino un miliardo tra un altro quarto di secolo. Sulla base di questa previsione, uno studio della «Ford Foundation» giudica che, per assicurare all'India del Duemila un reddito annuo «prò capite» di 300 dollari, la produzione agricola dovrebbe aumentare di quattro volte, quella di carbone di 14 volte, quella dì elettricità di 19, quella di alluminio di 29, quella di plastica di 50. Fra tutti questi indici, i solo quello della produzione agricola viene considerato relativamente realistico, a certe condizioni. Così l'India appare come una superiore impasse economica ed un emblema del sottosviluppo, con una civiltà di massa di tipo mistico-contemplativo che sembra in grado di resistere, nel fondo, a ogni trattamento razionalistico accelerato (benché il governo abbia vinto una battaglia non indifferente, limitando la circolazione delle vacche sacre nei centri urbani). Restano, accanto agli opinabili vantaggi dell'emergenza, i sicuri svantaggi, come l'interruzione drastica di un esperimento democratico, che, seppure limitato e imperfetto, faceva dell'India una sfida positiva alla logica generalizzata del sottosviluppo dispotico. Tale interruzione si giudica ufficialmente che fosse necessaria, di fronte a una manovra, in effetti non limpida, comunque eccessiva, degli avversari di Indirà, che in un infortunio giudiziario, relativamente modesto, del primo ministro avevano cercato una decisiva occasione di rivalsa politica. Ma ora, col progetto di riforma costituzionale annunciato il 3Q agosto, che concede all'esecutivo poteri quasi illimitati, siamo ben oltre il senso di una reazione circoscritta o episodica; s'intravedono le linee dì un disegno autoritario permanente. Comunque, in virtù dei poteri discrezionali dell'emergenza, già trenta parlamentari dell'opposizione sono in carcere, e si contano a migliaia, in tutto il Paese, gli arresti per atti di vario genere, giudicati tali da creare disturbances. La stampa è sotto controllo. Inoltre tutti i vertici della Repubblica, da quello delle forze armate a quello della polizia a quello supremo dello Stato, sono già occupati da uomini di Indirà. Restano, ancora, le indicazioni inquietanti di una politica estera che, da pacifista e «non violenta», si è fatta gradualmente decisa e «realistica» fino allo status atomico e alla guerra come mezzo «normale» di soluzione di un conflitto politico 'quello col Pakistan per la questione del Bengala Orientale). Ora l'India del sottosviluppo macroscopico e dell'esplosione demografica è un Paese che sempre più manifesta atteggiamenti egemonici da potenza «regionale» (crescente influenza su Nepal e Bhutan, dopo la presa del Sikkim e il blitz del Bangladesh). Ma qual è il nesso tra il sottosviluppo e l'egemonia, e il potere personale, nella patria dell'altro Gandhi? Aldo Rizzo !

Persone citate: Atomic Power, Gandhi, Giorgio V, Less