Le mani di Teodorico

Le mani di Teodorico 476: FINISCE L'IMPERO ROMANO Le mani di Teodorico Nell'immaginazione dei più, la caduta dell'impero romano è associata alle invasioni barbariche, quasi che una valanga improvvisa si fosse abbattuta su paesi prosperi e pacifici: orde pittoresche e feroci incendiano, massacrano, distruggono; tutti i romani da un lato, i barbari dall'altro. Di qua dal confine fortificato, lungo il quale praesidìa e castella sono disposti a distanze regolari, regna l'ordine, il diritto, la humanitas, di là la forza bruta e in luogo d'una lingua colta, come quelle nelle quali sono state formulate leggi, dottrine e carmi, un balbettìo informe che suggerì ai Greci, a Omero per il primo, l'epiteto « barbari ». In verità essi abbandonavano da secoli le sponde del Baltico, del Don, del Mar Nero, le cupe foreste, le terre contese al mare e alle paludi, i pascoli sfruttati, i cieli inclementi, le lunghe notti del nord per calare verso i paesi del sole, del grano, del vino. Da secoli durava un conflitto di razze e di costume fra i popoli della steppa e quelli delle città, fra il codice del clan e quello dello Stato; dalla fusione di popoli nordici con popoli mediterranei nacque l'Europa. Roma aveva attuato una unità politica, giuridica, amministrativa, linguistica smisurata; gli invasori del V secolo frantumarono quel monolite, lo suddivisero in regni particolari e questi a loro volta in contee, in ducati, in feudi; sotto il latino uniformemente diffuso da uffici amministrativi, da mercati, da guarnigioni, da scuole, riaffiorarono elementi linguistici preromani, culti locali. Le province romane assunsero nuovi nomi dagli invasori: da Angli e Sassoni l'Inghilterra, da Alamanni l'Allemagne, da Burgundi la Borgogna, da Scotti la Scozia, da Franchi infine la Francia; soltanto la Dacia, che fu l'ultima nazione annessa all'impero da Traiano e la prima perduta (nel 256) conservò nel nome la sua fedeltà alla cultura latina, il rifiuto di quella dell'invasore, Romania. I Galli che distrussero Roma nel 390 a. C. e si spinsero fino a Delfi erano Celti; i Cimbri e i Teutoni sconfitti da Mario ad Aix-en-Provence e a Vercelli (104-101 a. C.) erano Germani — « tanto ci vuole — commenta Tacito — per vincere la Germania »; appartenevano a due stirpi nord europee sospinte verso occidente da popoli più lontani, che venivano dalla Scandinavia, dalla Russia, dall'Asia: Tacito, quando scrisse la Germania, non li conosceva ancora. Per secoli costituirono una presenza ossessiva, una minaccia permanente, che costrinse il senato ad affidare il potere ai militari, a estendere l'occupazione di sempre nuovi territori per frapporli tra i confini dell'Italina e i barbari: la Gallia, la Pannonia, la Dacia, l'Uliria. La storia di Roma è una serie di rettifiche delle frontiere, di campagne sfibranti: Marco Aurelio morì a Vienna combattendo contro Quadi e Marcomanni, Settimio Severo in Britannia, Decio in Dobruggia, Giuliano sull'Eufrate, Valente a Adrianopoli: i fronti dell'impero. Nel 260, i Franchi giunsero ai Pirenei, gli Alani a Milano; Claudio il Gotico e Aureliano riuscirono ad arginare l'avanzata dei Goti ma, sintomo rivelatore d'insicurezza, attorno al 270 Roma fu cinta da mura. Ancora più imponente della pressione alle frontiere fu la penetrazione interna: i signori in città tenevano schiavi greci e orientali per l'eleganza, il vizio e il piacere, prigionieri barbari per i mestieri più duri: guardie carcerarie, carnefici, minatori, braccianti, mercenari, gladiatori. A gruppi, venivano collocati nelle zone limitrofe come coloni (i laeti) incaricati anche della difesa, oppure insediati all'interno a intere tribù con l'obbligo di fornire contingenti armati; combattevano come ausiliari in formazioni separate, con propri ufficiali; nel IV secolo entrarono nelle legioni, raggiunsero gradi elevati; nel 400 fu console un vandalo, Stilicone, reggente per gli eredi di Teodosio. I decreti di Valentiniano (365-375), che proibì scambi commerciali e nozze con i barbari, rivelano l'indice di inquinamento; l'assimilazione precedette le invasioni e le favorì, per complicità dei militari con quelli della loro stirpe o connivenza dei civili o, infine, perché non c'era più nulla da difendere. La storiografia germanica e l'etnologia giudicano positivo l'apporto culturale di quelle razze robuste, come una trasfusione di sangue giovane; certamente, introdussero armi, tecniche di guerra e d'agricoltura, principi di diritto e canoni estetici ignoti ai romani; ma il problema è un altro: la cultura che essi distrussero era ancora feconda? Disgregarono l'unità romana, che era stata il fine supremo degli imperatori; eppure, non erano che tribù in migrazione e non nazioni compatte, animate da imperialismo cosciente. Attraversarono il Reno ghiacciato l'ultima notte del 406, portando sui carri le famiglie e i loro beni; invasero le Gallie dal Nord: Magonza, Amiens, Reims, giù giù fino a Tolosa, fino ai Pirenei; nel 409, passarono in Ispagna; in Britannia, intanto sbarcavano i Sassoni; i Visigoti, che da anni abitavano in Grecia, calarono su Roma e, dopo un lungo assedio (408-410), la saccheggiarono: l'evento militarmente più irrilevante ma, per i contemporanei, il più tragico, il più significativo; nel 429, i Vandali dalla Spagna passarono in Africa e, compiendo distruzioni dalle quali non si riprese mai più, la occuparono tutta. Nel 455 saccheggiarono Roma: ma ormai non c'era più nessuno capace di commenti né costernati né edificanti. ★ ★ A metà del V secolo, Visigoti, Franchi, Burgundi e Alamanni occupavano quasi per intero le Gallie, Svevi e Alani la Spagna, Vandali l'Africa, tutti sotto il titolo di foederati, cioè alleati dell'imperatore; si schierarono, infatti, a fianco delle esigue legioni che Ezio aveva portato dall'Italia nel 451, quando si trattò di difendere l'Europa dai mongoli, le orde degli Unni: fermarono Attila ai Campi Catalauni. Nei paesi occupati, requisivano 1/3 o la metà degli alloggi, delle terre, degli schiavi, in una forma che era coabitazione più che esproprio. Il popolo li preferiva agli agenti del fisco. Il solo motivo di contrasto non era di nazionalità ma di religione, cattolici contro ariani e pagani. E via via che avveniva una lenta assimilazione, i monumenti si coprivano di edera, le scuole si chiudevano, cessavano le comunicazioni e gli scambi, la gente inselvatichiva. I re barbari gradatamente si svincolarono dalla soggezione verso i sovrani effimeri e, tra il V e il VI secolo, si profilano dinastie destinate a durare, uomini già tutti medioevali: Clodoveo nelle Gallie e l'ostrogoto Teodorico a Ravenna. Clodoveo annientò le residue resistenze romane, sposò una giovane Burgunda, sconfisse Alamanni e Visigoti, nel palese intento di unificare le Gallie sotto il suo scettro, e stabilì la capitale a Parigi. Ma si rese conto che non sarebbe riuscito a tenere unito quel paese vasto e disgregato senza l'appoggio della sola autorità presente ovunque, l'episcopato, e non avrebbe ottenuto il consenso della popolazione di lingua latina se non condivideva l'unico cemento spirituale che ancora li univa, la religione. Fu certamente questo il movente della clamorosa conversione: il solenne battesimo preso a Reims — davanti all'altare dove, cent'anni prima, i Vandali avevano trucidato il vescovo Nicasio — segna l'inizio della Francia come nazione. Tremila cavalieri Franchi dai verdi mantelli si convertirono con lui. Nelle città povere, anguste, vivevano ancora pochi notabili, stretti attorno alla curia; nessuno usciva più né per viaggiare e nemmeno per mietere il grano. La protezione del re cattolico, anche se di stirpe teutonica, fu accettata con riconoscenza; e quando questi si impadronì dei terreni demaniali, del fisco, del tesoro, nessuno si oppose. La Chiesa, dal canto suo, interessata a convertire i Franchi, il solo popolo ancora pagano, si schierò con il nuovo re, il quale divenne il campione della cristianità in un paese che in cent'anni di devastazioni aveva visto rinascere idolatrie celtiche, e, in campo cristiano, apostasie, eresie. L'imperatore d'oriente, dal canto suo, considerò Clodoveo una specie di fratello illegittimo e gli inviò il titolo di « console onorario »; e il giovane re attraversò a cavallo le strade di Tours, adorno del diadema di re dei Franchi e delle insegne consolari roma ne. Quel costume simboleggia- va la sua duplice funzione e i l'epoca di transizione in cui viveva. Negli stessi anni il re degli | Ostrogoti, Teodorico, soppres- !so Odoacre, assunse il potere a Ravenna come capo dell'esercito, patrizio e console. Fu rispettoso del senato, della libertà ìeligiosa dei sudditi, lasciò intatte le magistrature romane, si valse della collabora- zione degli ultimi esemplari di I cultura latina, Cassiodoro e I Boezio; il vescovo di Pavia, |Ennodio, scrisse un panegirico in suo onore. Con un'accorta politica di matrimoni, strinse alleanze con tutti i sovrani d'Europa e d'Africa, Visigoti, Burgundi, Franchi, Vandali; cercò di riconquistare le province danubiane e di fondare una dinastia ostrogota in Italia; ma benché fosse rispettoso della Chiesa, l'esser ariano gli impedì di avere il consenso del papa e della popolazione: a tal punto la religione era diventata la sola coscienza nazionale latina. Mentre Clodoveo ha lasciato alla Francia il nome del suo popolo, e nell'immaginazione popolare fa parte d'un trittico luminoso, a fianco di Genoveffa e della sua sposa Clotilde, Teodorico in Italia restò uno straniero. Nella chiesa palatina che eress° a Ravenna, s. Apollinare Nuovo, fece raffigurare in due mosaici affrontati il porto di Classe e la sua residenza; sopra c'è scritto « Palatium », affinché sia ben chiaro che era quello imperiale. Tetti dorati, finestre, e un atrio porticato fiancheggia su due lati la parete di fondo, a tre arcate, come la sala del trono di Diocleziano a Spalato. Sotto i tre fornici erano raffigurati Teodorico e i dignitari; se ne scorge appena il contorno, per che pochi anni dopo, con la vittoria dei cattolici al seguito di Giustiniano, le figure degli ariani furono tolte via pietruzza Per pietruzza e sostituite da tende graziosamente drappeggiate: via il barbaro dal palazzo imperiale, via l'eretico dalla chiesa palatina. Del re germanico che volle essere l'erede di Roma resta soltanto l'ombra e restano le manl: g" artlstl incaricati di sopprimerne le sembianze non si sono curati di cancellarle. Sono aggrappate alle colonne della sala del trono imperiale: come nei secoli venturi Carlo Magno, Ottone III di Sassonia e Arrigo VII di Lussemburgo, in quelle colonne cercano un sostegno. Lidia Storoni S. Apollinare Nuovo: i mosaici epurati da Giustiniano, con le mani di Teodorico