La vecchia tassa di patente di Mario Salvatorelli

La vecchia tassa di patente I nostri soldi di Mario Salvatorelli La vecchia tassa di patente Napoleone Bonaparte non fu soltanto un fulmine di guerra, ma anche un accorto riformatore fiscale. Infatti, mi scrive da Pecette il professor Narciso Nada, che insegna storia del risorgimento all'università di Torino, «quando volle estendere le tasse sui redditi a tutti i ceti di persone — mentre prima esse gravavano quasi esclusivamente sui proprietari terrieri — Napoleone si rese subito conto che sarebbe stato estremamente complicato e difficile stabilire con esattezza il reddito dei lavoratori autonomi, i professionisti, eccetera». Perciò «il grande corso» applicò ad essi e alle categorie affini la cosiddetta «tassa di patente», che variava secondo la professione, la località in cui veniva esercitata, l'anzianità professionale, il numero degli eventuali dipendenti, cioè in base a tutti quegli elementi dai quali si poteva desumere — e lo si potrebbe tuttora — il guadagno maggiore o minore del lavoratore autonomo. « Questo sistema fiscale — aggiunge il professor Natia — funzionò perfettamente allora, e non vedo perché non potrebbe funzionare bene ai giorni nostri», con numerosi vantaggi per il fisco e il contribuente, il primo perché potrebbe fare i suoi calcoli con maggiore approssimazione e riscuotere puntualmente le imposte, il contribuente perché non correrebbe più il pericolo di spiacevoli sorprese. Questi ed altri sono «vantaggi di tale rilievo che non si capisce perché l'esempio napoleonico non venga preso in considerazione». «Mi viene il dubbio — conclude il professor Nada — che ai nostri uomini politici non piacciano le cose troppo chiare e troppo semplici». Condivido il dubbio del professor Nada e giro la sua proposta a chi di dovere. Forse il ministro Pandolfi potrà trarne qualche utile consiglio, anche in vista della caccia all'evasore fiscale. ★ * Ogni lettore ha il diritto di criticare quello che legge sul giornale, ma non quello che non vi è scritto. Dalla mia rubrica di sabato 28 agosto, secondo il lettore Idilio Frezza da Palestrina, sì ricavava l'immagine di un'Italia «che non solo veleggia nel Mare della Tranquillità, ma addirittura procede sicura in quello dell'espansione economica, ottimi essendo i vari e diversi indicatori statistici». Il lettore aggiunge: «Di conseguenza, chi, e non da oggi, sostiene il contrario coraggiosamente, fa previsioni sbagliate». Non vedo proprio quale coraggio sia necessario per sostenere che le cose vanno male. Su La Stampa del 24 agosto ho scritto: «Nessuno mette in dubbio che la situazione economica sia preoccupante, anche se forse non così grave come tutti hanno interesse a dipingerla: gli industriali, per respingere le richieste dei sindacati; i sindacati, per avanzare nuove richieste; il governo, per farci digerire questa ed altre stangate; l'opposizione, per farsi merito domani di ogni miglioramento della congiuntura». Caso mai, quindi, ci vuol coraggio a dire che le cose vanno bene. Si può anche aggiungere, dando all'espressione un altro significato: «ci vuole un bel coraggio», perché sono d'accordo con il signor Frezza nel ritenere che le cose non vanno affatto be¬ ne. Però, come scrivevo il 25 agosto, «si può anche essere pessimisti, e prevedere che gli ultimi mesi del 1976 saranno pessimi, ma noi preferiamo essere moderatamente ottimisti, anche perché la fiducia è una forza che si autoalimenta, mentre la sfiducia si autodistrugge». Detto questo, e chiesto scusa per le autocitazioni, ritorno alla rubrica incriminata e chiedo al lettore Idilio Frezza che mi aiuti a trovare dove ho scritto cose tali da giustificare l'immagine — peraltro suggestiva ed efficace — d'un Paese che veleggia sicuro sui mari della tranquillità e dell'espansione. Mi sembra, di essermi limitato a ricordare che le «relazioni previsionali e programmatiche», presentate negli ultimi anni dal governo al Parlamento, non sono state confortate dagli avvenimenti successivi. In particolare, nel 1975 le cose sono andate peggio del previsto (flessione del prodotto nazionale del 3,8 per cento, al posto del previsto aumento dell'1,5 eccetera), mentre nel 1976, fino ad oggi, le cose sono andate meglio (la produzione industriale in aumento dell'8 per cento nel primo semestre, mentre si prevedeva sarebbe rimasta statica, eccetera). Come vede, caro lettore, nessun ottimismo, nessun quadro idilliaco, ma semplice cronaca, fatta di cifre. Per concludere questa replica, che non è polemica (e come potrebbe esserlo, con un lettore che si chiama Idilio), ma solo una necessaria messa a punto, in quella rubrica riconoscevo anche le difficoltà di far previsioni, soprattutto di questi tempi, e la facilità con la quale gli stessi addetti ai lavori, come gli industriali, e non solo i politici, si possono sbagliare. Tra i quali polìtici, se si dovesse sceglierne uno che ha sbagliato meno di tutti, per assegnargli un ipotetico «oscar della profezia», non c'è dubbio che il prescelto sarebbe Ugo La Malfa, che da almeno dieci anni va prevedendo i guai che poi ci piovono addosso.

Persone citate: Frezza, Idilio Frezza, Napoleone Bonaparte, Narciso Nada, Palestrina, Pandolfi, Ugo La Malfa

Luoghi citati: Italia, Torino