Perché ritornati dalle ferie ci sentiamo subito stanchi di Ezio Minetto
Perché ritornati dalle ferie ci sentiamo subito stanchi LE MALATTIE DELL' UOMO Perché ritornati dalle ferie ci sentiamo subito stanchi Dalla gran corrida delle ferie estive siamo ormai quasi tutti puntualmente rientrati: e, guarda il caso, tra non molto saremo già subito terribilmente stanchi. Abbiamo lottato e vinto contro valigie, treni, roulottes e gommoni; abbiamo sopportato volontarie ustioni cutanee, sfacciate coliti, guerrigliere zanzare e relativi tussigeni sprays; abbiamo zappato, spinto e sollevato; ci siamo arrostiti, disidratati ed inzuppati. E adesso, non appena rinfoderate le ormai inutili callose piante dei piedi e l'abbronzatissima pelle, eccoci già di nuovo stereotipati soggetti da ambulatorio medico. Nessuna differenza, nel gran sfinimento, si noti bene: tutti uguali, noi, quelli delle ferie spese da cicale: ed anche quei pochi altri, le formiche, che son stati l'intero mese a sedia a sdraio ed a giornale. Abbiamo mangiato cose inaudite, caricato quintali, partecipato a tragiche cacce al tesoro di chiavi di casa smarrite, respirato gas di chilometri di auto in sei file. Mai un cedimento, né fisico né morale. Oppure, se qualche colichetta o mezzo colpo di calore c'è slato, durante il nostro « farnicnte », l'abbiamo accettato e sbrigato alla svelta, come l'Iva del prezzo di un po' di libertà. Adesso, ai rientro — quasi li avessimo lasciati, e puntualmente ritrovati, in casa, in ufficio o in fabbrica — c'è il muro e la miseria dei disturbi di prima: il mal di testa per ogni nonnulla, le ossa rotte al risveglio, le vertigini, la digestione lenta, la stipsi di sempre e la gran pena addosso. E una mattina, allo specchio, sotto l'abbronzatura che ormai cade a pezzi, ci vediamo già di nuovo grigi o pallidi o « occhiati » o sospetti anemici. E così si ritorna già su¬ bito alla fame di ricostituenti, di vitamine, di tonici, di antidistonici, di eneigizzanti e di euforizzanti; cioè di quei quasi inutili rimedi che oggi entrano nella lista dei « farmaci di trascurabile utilizzo clinico o di minimo rilievo sociale »: ma che, non c'è verso, sono proprio quelli che tutti amano alla follia. Che cos'è quest'imbroglio: è, moltiplicato per 30, il fenomeno del lunedi mattina (un debito, da pagarsi magari a rate, del « fine fatica ») oppure è il semplice rientro in noi stessi? Chi siamo, in realtà, quelli di solo un mese fa oppure quelli degli eterni altri 11 mesi dell'anno? Psicologi e sociologi ci danno dei pazzi e degli alienati: perché l'abbiamo cercata a lutti i costi, consumisticamente, quella nostra malattia delle vacanze. E dicono — e l'etimologia della parola vacanza li aiuta anche un po' — che il riposo è altra cosa dal far la Torino-Palermo sotto il solleone per poi piantar pali e paletti alla Robinson; o il comprimersi sott'acqua contro inafferrabili pesci; o il portar cuori sedentari sul Bianco o sul Rosa; o il navigar ad un miglio dalla costa scrutando carte nautiche come nemmeno Tabarly ha mai fatto. E aggiungono che il difetto — il maligno suggeritore della nostra recita estiva — è della nostra società mal organizzata, alienante ed ansiogena: e che noi siamo stati tanti burattini all'assurda ricerca di un falso ed assurdo ruolo. La verità è che, non avendo scelta su cose migliori fuori di noi (neppure sulla « non concentrazione » delle vacanze), in quel dolce mese da alienati — anche a costo di far la figura dei Ridolini al bagno — ci è terribilmente piaciuto cambiar le cose dentro di noi: con infantilismo (c'è qualcosa di più bello che tornar ragazzi?), con illusione (guai ad esser privi di un po' di fantasia), con dissennatezza pratica, forse. Ma lo spenderemmo malvolentieri, tutti quanti, un qualsiasi dosato, programmato e circostanziato « buono annuale » per le vacanze. E poi chi ci assicura che — anche dopo un quieto lungo e sedentario riposo al fresco, in zona arieggiata e ben provvista di televisore, magari speso a sorseggiar acqua e menta non ghiacciata, — al ritorno non saremmo lo stesso dei poveri stanchi, già subito oppressi dalle esistenziali nostre miserie quotidiane? Ezio Minetto
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