Lockheed: Andreotti pretende la verità di Gaetano Scardocchia

Lockheed: Andreotti pretende la verità I documenti sono falsi? Lockheed: Andreotti pretende la verità Il Presidente del Consiglio chiederà ufficialmente il giudizio della Società americana - Il funzionario che h? fornito le lettere fu condannato nel 1970 per aver falsif ..to documenti Roma, I settembre. Sappiamo che il presidente de! Consiglio sta meditando di intraprendere un'iniziativa diplomatica a Washington per sollecitare un giudizio della Lockheed, o dei suoi ex dirigenti, circa l'autenticità dei presunti documenti pubblicati dall'Espresso. Se Andreotti esita a compiere un passo ufficiale è per un duplice ordine di considerazioni: da una parte il governo americano appare ormai lanciato a capofitto nella campagna elettorale, e dall'altra il nuovo management della Lockheed sta faticosamente tentando di far uscire la società — un colosso dalle molte teste e dagli infiniti tentacoli — dal marasma economico, dalle irregolarità fiscali e dalle lotte intestine in cui essa è precipitala negli ultimi anni. Eppure sarebbe questo il modo più spiccio e efficace per chiudere la vicenda. Stavolta l'Italia ha tutte le ragioni per fare le sue rimostranze. Giustamente, nell'intervista a La Repubblica, Andreotti ha detto: «Aucune autorevoli voci straniere fanno la predica della correttezza e hanno ragione. Ma c'è da chiedersi se un po' di predica non vada fatta anche ai veri o presunti corruttori e ai loro agenti». Più che fare una predica, si potrebbero porre alla Lockheed, per tramite delle autorità di Washington, alcuni precisi quesiti: esiste un archivio della corrispondenza della società? E, se esiste, c'è traccia degli appunti e delle lettere pervenute alla stampa italiana? Sono in grado gli attuali dirigenti di confermare o smentire il contenuto di quelle carte? E cosa ne dicono gli ex diligenti, come il signor Kotchian o il signor Conley, che risultano firmatari delle lettere in cui si fa il nome di Andreotti? Si potrebbe osservare che la risposta a queste domande è compito specifico della Commissione Inquirente del Parlamento. Tuttavia, poiché le ultime «rivelazioni» appaiono quanto mai dubbie, è forse lecito sperare che basta anche una piccola pressione a Washington per far cadere subito la possibile montatura. Non saremmo affatto sorpresi, per esempio, se qualcuno scoprisse che i signori Kotchian e Conley ignorano ancora oggi che la stampa italiana ha pubblicato due lettere in cui essi affermano che Andreotti ricevette 28 mila dollari nel 1969 e 15 mila dollari nel 1975. Dagli archivi della Lockheed sono uscite migliaia di appunti e di ricevute che hanno fatto tremare il mondo; ma è proprio questa confusione di dati e testimonianze, questa ambiguità di silenzi e di mezze ammissioni che possono offrire a qualsiasi avventuriero o mestatore l'occasione di aggiungere un'altra colata di fango al già vasto e putrido panorama di corruzione che è emerso dai « dossier » del sottocomitato Church. E' compito della giustizia italiana di accertare se sono fondate o no le accuse contenute nei documenti autentici della Lockheed, ma è dovere della Lockheed smascherare coloro che, in suo nome, diffondano documenti falsi. Stamane abbiamo visto nella riproduzione fotografica i tre «documenti» pubblicati dall'Espresso e i dubbi si sono moltiplicati Dubbi formali e tecnici prima di tutto. Per esempio: le lettere di Kotchian e di Conley sono scritte a macchina e prive di firma autografa. I redattori del settimanale dicono che la firma compare nell'originale della lettera, ma essi hanno avuto a disposizione soltanto una fotocopia di una copia dell'originale. Troppo poco per poter parlare di documento. Il nostro corrispondente negli Stati Uniti, Vittorio Zucconi, ha avuto tra le mani a Phoenix una lettera, forse la copia originale, in cui c'era la sigla di Richie, altro dirigente della Lockheed che firmava per Kotchian. Altra stranezza: la lettera di Conley, ch'era presidente della Lockheed per il Medio Oriente, società anonima libanese con sede a Beirut (Gefinor Centre, suite 401 b), è scritta su carta intestata della «Lockheed California Company», che è una divisione californiana della Lockheed Corporation. E' come se il presidente della Esso italiana scrivesse su carta intestata della Esso californiana. Perché? Si potrebbe azzardare questa spiegazione: chi ha confezionato le due lettere aveva a disposizione un solo tipo di carta intestata, queila della Lockheed California. E non è finita: la lettera di Conley è diretta a un altro dirigenie della società e in questi casi — come risulta dal dossier Church — la Lockheed usava moduli speciali con la scritta in- terdepartmentul communication (corrispondenza interna). Le due lettere sollevano molte perplessità anche sotto il profilo del contenuto: quel nome di Andreotti che figura addirittura due volte in una lettera («Oggetto: inclusione di Andreotti nelle bustarelle per la AltayK»), mentre si sa che era obbligatorio per i funzionari della società l'uso del famoso codice segreto. E poi colpisce l'inutilità logica e concettuale dei due messaggi: Kotchian che conferma ad Antonio Lefebvre una direttiva che questi già aveva avuto, stando al testo, da Roger Smith; e Conley il quale certifica a Brubaker di aver ricevuto da lui, cioè da Brubaker, l'ordine di stornare 15 mila dollari a favore di Andreotti. Sono lettere che sembrano scritte apposta per mettere nei guai qualcuno, mentre la corrispondenza della Lockheed raccolta dal sottocomitato Church era secca, indecifrabile, e mirava a un solo scopo: vendere aerei. In attesa d'un chiarimento che tronchi tutte le speculazioni, l'innocenza di Andreotti può contare stasera su due testimonianze: la prima del senatore comunista D'Angelosante, uno dei membri della Commissione j Inquirente che si recò a Washin-1 gton nei mesi scorsi, e la seconda del giornalista britannico David Shears. Pur partendo dalla premessa che «tutto è possibile», D'Angelosante ha ricordato che il nome di Andreotti non è mai emerso durante i colloqui avuti negli Stati Uniti e che non figura in nessuno dei documenti e dei testi degli interrogatori che le autorità americane hanno fatto pervenire alla Commissione In-j quirente italiana. D'Angelosante. non pronunzia un verdetto di assoluzione per Andreotti, ma si mostra piuttosto scettico sulla ! credibilità delle «rivelazioni» dell'Espresso. Egli, anzi, sembra condividere certe perplessità sull'origine dei documenti: «Ci i può essere una speculazione po-1 litica». Infine c'è l'articolo di David | Shears sul Daily Telegraph, che la presidenza del Consiglio si è affrettata a tradurre e a far circolare nelle redazioni. L'articolo non parla di Andreotti ma di Ernest Hauser, l'uomo che ha messo in giro le lettere d'accusa contro Andreotti. Shears cono¬ sce bene Hauser, perché fu suo vicino di casa a Bonn, quando l'americano era «un piccolo ingranaggio» nel congegno commerciale della Lockheed. Ebbene, il giornalista rivela che Hauser fu condannato da un tribunale ed espulso dalla Germania nel 1970 perché «aveva falsificato dei documenti». Non riuscendo a farsi pagare i 50 mila dollari di commissione che una ditta americana gli doveva, pensò bene di procurarseli da solo invitando i clienti della ditta, con una pioggia di lettere false, a effettuare i pagamenti direttamente a lui invece che al fornitore americano. Qualcuno stasera a Palazzo Chigi, con un risolino soddisfatto, commentava: «Il lupo perde il pelo...». Gaetano Scardocchia