"Li ho visti morire nella neve" narra ano dei salvati sul Bianco di Giorgio Giannone

"Li ho visti morire nella neve" narra ano dei salvati sul Bianco Nell'ospedale di Chamonix, a colloquio con i superstiti "Li ho visti morire nella neve" narra ano dei salvati sul Bianco Le vittime sono due fratelli milanesi - Il compagno di cordata dice: "Avevano le gambe congelate" - Nella bufera erano passati vicino a un rifugio ma non erano riusciti a scorgerlo (Dal nostro inviato speciale) I Chamonix, 31 agosto. «Sono salvo grazie al mio zaino. L'ho vuotato di tutto ciò che conteneva e vi ho infilato dentro le gambe, fino alle cosce. All'alba, dopo una notte di tormenta, ero l'unico di noi quattro che riusciva a reggersi in piedi. I miei compagni avevano le gambe congelate: non potevano muoversi. Ho raggiunto il vicino rifugio per chiedere aiuto: senza I quella provvidenziale prole- \ zione saremmo morti tutti». Donato Sudati, 19 anni, studente di Treviglio (Bergamo), uno dei due alpinisti superstiti della sciagura del Monte Bianco, nella quale sono morti assiderati due giovani fratelli milanesi, narra ai familiari stretti al suo capezzale come è riuscito a sottrarsi alla «morte bianca». Da questa mattina alle 10 è ricoverato assieme al suo compagno di cordata, Flavio Pizzamiglio, .20 anni, di Borghetto Lodigiano (Milano), nella camera numero 5 dell'ospedale di Chamonix. I medici hanno riscontrato ad entrambi un principio di congelamento agli arti. Nulla di preoccupante. Tra pochi giorni, dopo le analisi e le cure del caso, potranno essere dimessi. I due scalatori, stamane, sono stati trasportati a valle dal rifugio Gouter (sul versante francese), dove avevano trascorso le giornate di domenica e lunedi assieme ai loro soccorritori, da un elicottero della gendarmeria. Lo stesso velivolo con a bordo due guide francesi ha recuperato poi, nei pressi della capanna Vallot (4362 metri), i corpi di Tonino e Andrea Zucchelli, studenti universitari di 20 e 23 anni, stroncati sabato mattina dalla fatica e dal freddo. Entrèves con l'«Aiouet<e» delllo di Flavio Pizzamiglio, uno dea e a i » a i e n , n a e e nù a n o e gaa noa nbrno: a e, a, ule mLe salme, ancora ricoperte dalla neve gelata, sono state trasportate ad Entrèves e da qui con una «campagnola» dei carabinieri all'obitorio di Courmayeur. Pochi istanti dopo è arrivato il padre dei due ragazzi, il dottor Ettore Zucchelli, odontoiatra, ex sindaco di Borghetto Lodigiano (la famiglia possiede da sette anni una casetta ad Entrèves dove trascorre le vacanze). L'uomo è stato colto da malore. I fratelli Zucchelli erano conosciuti come esperti alpinisti. Lo scorso anno avevano già tentato lo stesso itinerario: la salita al Bianco dalla via delle Aiguilles Grises, un itinerario classico di salita, relativamente facile, ma insidioso a causa dell'altitudine, oltre quattromila metri. L'sperienza, contrariamente a quanto avrebbe dovuto fare, non è valsa ai due giovani fratelli a valutare in modo appropriato l'impresa. I quattro alpinisti, raggiunto mercoledì il rifugio Gonella (3071 metri) da Courmayeur, privi di equipaggiamento d'alta quota, hanno atteso il bel tempo per attaccare la via. Flavio Pizzamiglio, rievocando le fasi della scalata, racconta: «Le prime avversità si sono manifestate già venerdì mattina. Superato il ghiacciaio del Dòme. Andrea ha perso lo zaino. Sono occorse parecchie ore per recuperarlo: conteneva viveri e attrezzi senza i quali non avremmo potuto proseguire». Ma il dramma doveva aggravarsi qualche ora più tardi. Raggiunto il colle del Dòme (4239 metri), poco prima di affrontare un secondo crinale roccioso, il tempo è improvvisamente mutato. E si è alzato un vento violentissimo: turbini di neve hanno avvolto l'intera calotta del Bianco: «Andrea ha detto: dobbiamo rinunciare alla vetta e raggiungere al più presto il rifugio Gouter — racconta ancora Flavio Pizzamiglio — ma le piste davanti a noi erano tre o quattro. Abbiamo vagato nella neve, che raggiungeva le cosce, fino alle dieci di sera. Poi, stremati, abbiamo pensato che era inutile rischiare ancora, conveniva bivaccare». Gli alpinisti hanno scavato una buca nella crosta gelata e, uno a ridosso dell'altro, hanno cercato di ripararsi dalla furia del vento. «Io avevo uno zaino da spedizione, di quelli enormi, estendibili; vi ho messo dentro le gambe — dice Donato Sudati —. Ho evitato così il contatto con la neve gelida. Ogni ora facevamo l'appello ad alta voce, cambiandoci anche di posizione per vincere il torpore. Sapevamo che, se ci fossimo addormentati, non ci saremmo più svegliati: la morte bianca ghermisce nel sonno». Con estenuanti sforzi i quattro giovani sono riusciti ad attendere svegli l'alba. «Si è alzato per primo Andrea, anzi, ha cercato di farlo — racconta Sudati — non riusciva a restare in posizione eretta: "Non sento più le gambe, mio Dio!" ha gridato angosciato. Anche Antonio ha cercato di sollevarsi; aveva le gambe divaricate, immobili: è piombato nella neve. Siamo stati colti dallo sgomento. Soltanto allora abbiamo capito che era finita, proprio quando le nuvole si stavano diradando: "Guardate — ha urlato Flavio — il bivacco!"». La capanna Vallot (una piccolissima costruzione, meno di un box per auto, riparo che è valso a salvare la vita a centinaia di cordate colte dal maltempo sulla vetta del Bianco) era duecento metri sopra i quattro giovani. La cordata, vagando nella tormenta, gli era passata vicino ma non aveva potuto scorgerla. «Siamo salvi, siamo salvi, ho urlato», dice il Pizzamiglio, ma le parole di gioia gli si so¬ la gendarmeria francese. Il egli scampati (G. Ciminone) no smorzate in gola: «Anch'io avevo le gambe insensibili: ho battuto con la piccozza contro la tela dei pantaloni, pareva diventata roccia». Il Sudati è stato l'unico in grado di muoversi verso il rifugio. «Ho trovato quattro alpinisti bresciani che erano saliti con noi al Gonella e un'altra cordata di tedeschi». Gli scalatori si sono divisi in due gruppi: uno è sceso verso il rifugio Gouter (3816 metri) per chiedere soccorsi; l'altro si è diretto verso i tre giovani, riversi sulla neve. Tonino Zucchelli è stato stroncato da collasso ancor prima di essere soccorso. Gli è stata fatta un'iniezione per stimolargli il cuore, ma inutilmente. Andrea ha avuto ancora la forza di alzarsi in piedi: «Mentre lo stavano massaggiando con alcune coperte termiche, si è abbandonato senza vita su uno dei soccorritori». Giorgio Giannone Chamonix. Le salme dei due milanesi sono trasportate a Entrèves con l'«Aiouet<e» della gendarmeria francese. sacerdote, accanto a una salma, è «don Gianfranco», fratello di Flavio Pizzamiglio, uno degli scampati (G. Ciminone

Luoghi citati: Bergamo, Borghetto Lodigiano, Courmayeur, Entrèves, Milano, Treviglio